Del: 10 Novembre 2005 Di: Redazione Commenti: 0

Il 13 ottobre scorso l’Accademia di Svezia ha assegnato il premio Nobel 2005 per la letteratura al drammaturgo inglese Harold Pinter, affermando che nelle sue opere «svela il baratro sotto la banalità quotidiana ed entra con forza nelle stanze chiuse dell’oppressione».

Pinter, classe 1930, nato a Hackney, un sobborgo di Londra, e figlio di un sarto ebreo, esordisce nel 1957 con l’atto unico La stanza, scritto in quattro giorni per un amico, in cui sono già ravvisabili i primi caratteri di quella che sarà la sua futura produzione: atmosfere ambigue che disorientano lo spettatore, un uso del dialogo che sottolinea la difficoltà della comunicazione e l’alogicità della conversazione quotidiana, il gusto per l’omissione degli antefatti, che carica il tutto di un minaccioso mistero. Gli inizi sono tuttavia difficoltosi e il giovane drammaturgo stenta ad affermarsi, raggiungendo però in seguito un successo duraturo che gli varrà il riconoscimento di maggior rappresentante inglese della sua generazione. La prima opera ad avere risonanza ampia è Il guardiano, del 1960, in cui come nuovo elemento Pinter introduce un approfondimento della psicologia del personaggio; seguono altre opere di grande successo, come Il calapranzi (1960), Silenzio (1969), Vecchi tempi (1971), Terra di nessuno (1975), La lingua della montagna (1988), Chiaro di luna (1993). Il suo stile personalissimo è valso la nascita di un aggettivo, pinteriano, ad indicare un disagio, una sensazione forte di timore e incertezza; meno radicale e catastrofico di Beckett, trova, comunque, proprio nell’opera del drammaturgo irlandese e in quella di Kafka le sue radici. Vi sono elementi che ricorrono spesso nelle opere di Pinter: un linguaggio ambiguo, carico di pause e silenzi più espressivi ed oppressivi dello stesso dialogo già di per sé difficoltoso e talvolta fermo su rovelli mai pienamente risolti, che caricano l’atmosfera d’attesa; la rappresentazione dei personaggi in ambienti chiusi, claustrofobici, sinistri, al riparo da un ambiente esterno ostile e minaccioso; la messa in scena dei timori, delle ansietà, delle nevrosi, della ricerca d’identità, degli inganni della memoria, che caratterizzano l’uomo moderno.

Autore di oltre 25 commedie, si è avvicinato nel corso della sua carriera anche alla radio, al cinema (con collaborazioni illustri) e alla poesia, sua attuale principale occupazione; da sempre è noto il suo impegno sociale (con Amnesty International e altre associazioni umanitarie) e quello politico, che lo ha visto spesso schierato contro la guerra, Bush e lo stesso governo Blair; solo pochi giorni prima della designazione a vincitore del Nobel, infatti, in occasione del suo compleanno, il drammaturgo ha presentato un nuovo testo, Voices, ulteriore atto d’accusa contro «la durezza impietosa dell’infernale condizione che stanno vivendo tutti gli uomini, in Occidente come in altre parti del mondo, per colpa di un potere dissennato».

Claudia Bernini

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