Nel panorama dei media italiani sono molte le notizie che, per quanto rilevanti, scivolano inesorabili in secondo piano, dietro le tinte più accattivanti della cronaca. Ciò accade in particolare se queste notizie si rivelano non propriamente lusinghiere per il nostro paese. E’ questo il caso dei risultati di due recenti statistiche, che hanno messo in luce due nuovi primati italiani molto indicativi: sia per quanto riguarda la libertà di stampa che il numero medio dei laureati tra i 25 e i 34 anni, il nostro paese si rivela infatti un fanalino di coda.
“La stampa in Italia non è più pienamente libera” è la conclusione di Freedom House, istituto di ricerca che promuove la democrazia liberale, riguardo al nostro paese. Secondo l’associazione infatti la libertà di stampa si starebbe deteriorando in molte parti del mondo. L’Italia non fa eccezione, passando dalla categoria “free” a quella “partly free”.
Freedom House è un’associazione con sede negli Usa, che pur proclamandosi indipendente è finanziata all’80% dal governo statunitense. Fondata nel 1941 (tra gli altri da Eleonor Roosevelt), da allora stila una classifica sul livello di democrazia in generale, e dal 1980 uno sulla libertà di stampa in particolare.
Nell’Europa occidentale solo la Turchia condivide il nostro poco invidiabile status, mentre subisce un brusca riduzione di libertà anche la Grecia, raggiungendo le altre maglie nere europee: Francia, Malta e Cipro (che però restano nella categoria “free”).
La notizia, potenzialmente epocale, ha destato poco rumore in Italia: alcuni l’hanno trovata scontata, altri eccessiva, i più non ne sono venuti a conoscenza.
Altre volte Freedom House è stata criticata per le sue conclusioni, ma in passato le critiche arrivavano da parte sovietica (l’eccessiva occidentalizzazione dei criteri era l’accusa principale). Se in questo caso l’obiezione sarebbe del tutto fuori luogo, è lecito chiedersi come si possano stabilire criteri oggettivi per rilevare qualcosa come la libertà di un paese. Freedom House ci prova, per quanto riguarda la stampa, valutando prima di tutto la legislazione in materia di libertà d’espressione. In secondo luogo cercando le ragioni che di fatto possono ridurre lo spazio di manovra del giornalista: l’eventuale rapporto di dipendenza di chi scrive con il potere politico e i possibili ostacoli al lavoro d’indagine (minacce o denunce).
La motivazione principale per la retrocessione italiana è ovviamente la concentrazione dei mezzi di comunicazione nelle mani del premier, oltre alle intimidazioni che i giornalisti ricevono attraverso i tribunali (sono ormai frequentissime le denunce miliardarie) e quelle, in realtà non numerosissime, da parte di gruppi di estrema destra (si allude soprattutto alla spedizione punitiva neofascista alla sede di Rai tre dopo una puntata di “Chi l’ha visto?”)
Le conclusioni dell’istituto americano ci autorizzano a parlare di regime in Italia? No. Sempre Freedom House, riguardo al livello di libertà politica, considera l’Italia saldamente democratica. Ci autorizzano però a dire quello che molti sembrano aver dimenticato: in un fondamentale aspetto del dibattito democratico, in Italia non si sta giocando ad armi pari.
Freedom House è un’associazione con sede negli Usa, che pur proclamandosi indipendente è finanziata all’80% dal governo statunitense. Fondata nel 1941 (tra gli altri da Eleonor Roosevelt), da allora stila una classifica sul livello di democrazia in generale, e dal 1980 uno sulla libertà di stampa in particolare.
Nell’Europa occidentale solo la Turchia condivide il nostro poco invidiabile status, mentre subisce un brusca riduzione di libertà anche la Grecia, raggiungendo le altre maglie nere europee: Francia, Malta e Cipro (che però restano nella categoria “free”).
La notizia, potenzialmente epocale, ha destato poco rumore in Italia: alcuni l’hanno trovata scontata, altri eccessiva, i più non ne sono venuti a conoscenza.
Altre volte Freedom House è stata criticata per le sue conclusioni, ma in passato le critiche arrivavano da parte sovietica (l’eccessiva occidentalizzazione dei criteri era l’accusa principale). Se in questo caso l’obiezione sarebbe del tutto fuori luogo, è lecito chiedersi come si possano stabilire criteri oggettivi per rilevare qualcosa come la libertà di un paese. Freedom House ci prova, per quanto riguarda la stampa, valutando prima di tutto la legislazione in materia di libertà d’espressione. In secondo luogo cercando le ragioni che di fatto possono ridurre lo spazio di manovra del giornalista: l’eventuale rapporto di dipendenza di chi scrive con il potere politico e i possibili ostacoli al lavoro d’indagine (minacce o denunce).
La motivazione principale per la retrocessione italiana è ovviamente la concentrazione dei mezzi di comunicazione nelle mani del premier, oltre alle intimidazioni che i giornalisti ricevono attraverso i tribunali (sono ormai frequentissime le denunce miliardarie) e quelle, in realtà non numerosissime, da parte di gruppi di estrema destra (si allude soprattutto alla spedizione punitiva neofascista alla sede di Rai tre dopo una puntata di “Chi l’ha visto?”)
Le conclusioni dell’istituto americano ci autorizzano a parlare di regime in Italia? No. Sempre Freedom House, riguardo al livello di libertà politica, considera l’Italia saldamente democratica. Ci autorizzano però a dire quello che molti sembrano aver dimenticato: in un fondamentale aspetto del dibattito democratico, in Italia non si sta giocando ad armi pari.
E’ percezione diffusa, anche tra noi studenti, che la laurea sia ormai un titolo di studio piuttosto comune, soprattutto nella sua formula triennale. I fatti però ci restituiscono una realtà ben diversa. I dati dell’ultimo rapporto dell’Eurostat, l’ufficio statistico della Commissione europea, rivelano infatti che, se l’Europa viaggia su una media del 30% di laureati nella fascia di età tra 25 e 34 anni, con paesi come Francia, Spagna, Danimarca, Svezia e Regno Unito che si attestano intorno al 40%, l’ Italia raggiunge appena il 19%, con una media di poco superiore agli ultimi posti della classifica (Slovacchia, Romania e Repubblica Ceca).
Il dato è già abbastanza emblematico per catturare l’attenzione. Questo fattore già significativo però, si accompagna anche al manifesto fallimento dell’università italiana come strumento di promozione sociale. La possibilità di conseguire titoli di studio superiori a quelli dei nostri genitori è piuttosto esigua: tra i laureati della fascia di età tra i 25 e i 34 anni infatti, solo il 9% proviene da famiglie a “basso livello di formazione”. Un dato che ci vede alla pari solo con Polonia e Lettonia.
Naturalmente, passando ad una fascia d’età più elevata, i dati non sono certo più incoraggianti: nel range anagrafico tra i 35 e i 44 anni, la media italiana scende infatti al 14%, contro una media europea che si stabilizza attorno al 25%.
C’è insomma una notizia buona e una cattiva. Quella cattiva è che il nostro paese, in tema di istruzione superiore, non riesce a schiodarsi dagli ultimi posti delle classifiche, in particolare per il numero di laureati, che nonostante stratagemmi come il 3+2 resta uno tra i più bassi d’Europa.
La buona notizia è che noi laureati o futuri tali, agli immancabili commenti sarcastici di amici e parenti sul fatto che “la laurea, ormai, ce l’hanno tutti” avremo dati alla mano con cui ribattere. Potremo fregiarci di un titolo di studio la cui rarità può costituire forse un motivo d’orgoglio personale, ma che per il nostro paese è un dato sicuramente amareggiante.
Il dato è già abbastanza emblematico per catturare l’attenzione. Questo fattore già significativo però, si accompagna anche al manifesto fallimento dell’università italiana come strumento di promozione sociale. La possibilità di conseguire titoli di studio superiori a quelli dei nostri genitori è piuttosto esigua: tra i laureati della fascia di età tra i 25 e i 34 anni infatti, solo il 9% proviene da famiglie a “basso livello di formazione”. Un dato che ci vede alla pari solo con Polonia e Lettonia.
Naturalmente, passando ad una fascia d’età più elevata, i dati non sono certo più incoraggianti: nel range anagrafico tra i 35 e i 44 anni, la media italiana scende infatti al 14%, contro una media europea che si stabilizza attorno al 25%.
C’è insomma una notizia buona e una cattiva. Quella cattiva è che il nostro paese, in tema di istruzione superiore, non riesce a schiodarsi dagli ultimi posti delle classifiche, in particolare per il numero di laureati, che nonostante stratagemmi come il 3+2 resta uno tra i più bassi d’Europa.
La buona notizia è che noi laureati o futuri tali, agli immancabili commenti sarcastici di amici e parenti sul fatto che “la laurea, ormai, ce l’hanno tutti” avremo dati alla mano con cui ribattere. Potremo fregiarci di un titolo di studio la cui rarità può costituire forse un motivo d’orgoglio personale, ma che per il nostro paese è un dato sicuramente amareggiante.
Laura Carli