Del: 16 Ottobre 2009 Di: Redazione Commenti: 1
C’era una volta il buonismo. Il dizionario De Mauro lo definisce come un “atteggiamento di benevolenza (…) nei rapporti sociali e di continua ricerca di mediazione tra posizioni divergenti”. Ai più oggi “buonismo” suona come una parolaccia. Un misto di candida ingenuità, debolezza e stupidità di chi considerare ancora tutti gli esseri umani come fratelli, e non ha ancora aperto gli occhi alla realtà. Da qualche tempo pare essere diventato più trendy essere cattivi. A dettare la linea ci ha pensato il ministro degli Interni Roberto Maroni, quando, qualche tempo fa, ha detto chiaramente, durante un comizio, che bisognava essere “cattivi con i clandestini”.
Discendenti dirette di questa nuova filosofia del “cattivismo” sono le norme sull’immigrazione contenute nel cosiddetto “pacchetto sicurezza” varato dal governo. Un intricato e cervellotico insieme di leggi e cavilli burocratici che, preso nel suo complesso, sembra preoccuparsi più che altro di rendere la permanenza in Italia dei cittadini stranieri ai limiti del possibile, piuttosto che di rispondere a reali problemi di sicurezza della nazione. E, dal momento in cui le statistiche non sono riuscite a dimostrare che tutti i clandestini sono dei criminali, ci ha pensato il legislatore a creare questa equiparazione. Un legislatore che pare appagato dalla propria ottusa intransigenza, e con la smania di sdoganare il “cattivismo” come valore condiviso dal sentire comune. Cattiveria dunque. Da applicare con zelo. Con le denunce negli ospedali e nelle scuole. E, perché no, anche con qualche manganellata a un potenziale criminale, inequivocabilmente individuabile grazie alla colore della pelle di tonalità “Emanuel negro”. A noi che ingenuamente e buonisticamente ci domandiamo ancora quale potenziale minaccia possa rappresentare per il patrio suolo una badante peruviana irregolare che pulisce il deretano della nostra nonnina, alcuni politologi spesso ci ricordano che i partiti fautori di questa linea dura contro gli stranieri hanno il pregio di “saper parlare alla pancia del proprio elettorato”. Quasi come per dire che parlare alle viscere delle persone sia più corretto che parlare al loro cervello.

Beniamino Musto

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