Del: 27 Ottobre 2010 Di: Gemma Ghiglia Commenti: 0
Il DDL Gelmini, dopo numerose proteste in piazza e in parlamento, ha trovato la sua battuta d’arresto nella Commissione di Bilancio che, per mancanza di copertura finanziaria, ha deciso di rimandare la discussione del decreto al 7 dicembre, al termine della fase di bilancio. L’indisponibilità finanziaria sopracitata riguarda i 9.000 posti promessi ai ricercatori, posti sentiti da molti come un tentativo da parte del governo di far scemare la protesta e nulla più: è impensabile cercare di assumere tutti quei ricercatori quando gli stessi fondi alla ricerca hanno subito tagli ingenti. Se fino al 2008 solo il 3% (la percentuale più bassa d’ Europa) del PIL veniva destinato alla ricerca, ora l’investimento è stato drasticamente ridotto allo 0,9%. Ma il DDL Gelmini porta con sé anche altri problemi. Con l’ideazione, ad esempio, della figura di un “super-rettore”, che ha il potere di nominare i membri del Consiglio di Amministrazione, la rappresentanza dei ricercatori scompare in favore di privati e baroni. La lotta al baronato è stato il cavallo di battaglia della ministra Gelmini, peccato che, nel concreto, con l’istituzione del super-rettore, con l’autovalutazione interna alle Facoltà e con il blocco del turn over, l’élitarismo accademico non faccia altro che acuirsi. Un punto in particolare riguarda poi anche noi studenti. Molti infatti avranno pensato a un futuro nell’università e nella ricerca ma, con questa riforma, appare difficilmente realizzabile: se già prima il 90% della progressione di carriera dipendeva dalle conoscenze e non dal merito, ora i nuovi ricercatori avranno un contratto a tempo determinato di 3 anni, prorogabile a 5 che, senza le giuste conoscenze, difficilmente verrà rinnovato. Davanti a questa situazione non stupisce la decisione dei ricercatori di far fronte comune, insieme a precari e studenti, contro questo decreto. In molti si sono dichiarati indisponibili e hanno deciso di operare un blocco della didattica che va dal non tenere lezione, compito che peraltro non è previsto dal loro contratto (per stessa definizione un ricercatore si occupa di ricerca), all’occupazione di alcune Facoltà, nello specifico Fisica alla Statale di Milano e Ingegneria alla Sapienza di Roma.

Vulcano ha intervistato Piero Graglia, ricercatore del Dipartimento di Storia della Società e delle Istituzioni della Facoltà di Scienze Politiche della Statale di Milano, tra i coordinatori della Rete29Aprile.

Lei fa parte della Rete29Aprile. Può spiegare brevemente cos’è e di cosa si occupa questo movimento?
Rete29Aprile è un raggruppamento spontaneo nato per organizzare la protesta dei ricercatori indisponibili e di tutti coloro che si sono detti contrari al disegno Gelmini.
Quali sono i punti del DDL Gelmini che colpiscono maggiormente l’Università e la ricerca in particolare?
Innanzi tutto l’attività di ricerca scompare e così viene emarginato il sapere più originale e innovativo. È gravissimo anche il “fondo ad esaurimento” dei ricercatori, che con i contratti a 3 più 3 vengono usati per fare didattica, perché è certo più economico assumere a tempo determinato che creare posti fissi. È un’università fondata sul lavoro dei precari. Un altro punto a cui sono fortemente contrario è l’autovalutazione d’ateneo. Altro che lotta al baronato! Una valutazione seria deve essere effettuata per dipartimento e da una fonte esterna, altrimenti non serve a niente, si riduce a un atto autocelebrativo.
Cosa ritiene positivo di questa riforma?
L’unica cosa salvabile del DDL è l’incentivo salariale per chi ha svolto un lavoro degno di nota ma non condivido il metodo con cui viene stabilito. Sono anche favorevole all’accorpamento dei dipartimenti, con circa 45 docenti per ognuno.
Uno dei punti più controversi della riforma sembra riguardare la meritocrazia. Qual è la sua opinione?
L’unico modo per dare onore al merito è un lavoro di valutazione a tappeto su ricercatori, associati e ordinari eseguito da soggetti esterni all’università. Per quanto possa essere state enfatizzate meritocrazia e lotta al baronato, questo DDL, di fatto, protegge i baroni. Contestano le leggi ad personam e poi aumentano esponenzialmente il potere dei rettori. Siamo ben lontani dall’idea di università aperta e meritocratica che questo decreto vorrebbe propinare.
Quali sono le cose che dovrebbero e che concretamente possono essere cambiate nel nostro Ateneo?
Questo Ateneo funziona abbastanza bene ma c’è poca partecipazione, soprattutto nei Consigli di Facoltà. Da noi viene fatta la “seduta ristretta”, che prevede solo associati ed ordinari. Permettere la partecipazione di tutti sarebbe una piccola ma significativa concessione alla trasparenza e alla democrazia. Noi ricercatori svolgiamo lo stesso lavoro e abbiamo le stesse responsabilità di associati e ordinari, e dovrebbe esserci riconosciuto. È anche per questo che, con Rete29Aprile, abbiamo proposto il ruolo unico del professore universitario.
Il 7 dicembre in Parlamento si tornerà a discutere del decreto: quali scenari si prospettano nella migliore e nella peggiore delle ipotesi?
Nella migliore delle ipotesi il decreto verrà riformulato tenendo conto degli emendamenti che Rete29Aprile ha presentato alla Camera tramite Granata (Fli). Verrebbe elaborato un DDL diverso o perlomeno sanato nei suoi punti peggiori. Nell’altra ipotesi, invece, la maggioranza si arroccherà su questo disegno e andrà avanti a colpi di fiducia. Se ciò dovesse accadere, spero solo che al decreto verrà dato il tempo di agire, almeno così si capirà che è sbagliato.

Gemma Ghiglia

Gemma Ghiglia
Classe 1990, studentessa di Relazioni Internazionali. A metà strada fra Putin e la Rivincita delle bionde.

Commenta