Del: 7 Gennaio 2012 Di: Francesco Floris Commenti: 0
foto di O_Bbiond

I ritornelli, al pari di miti e leggende, possiedono sempre un fondo di verità. Dunque, quando sentiamo ripetere in maniera ossessiva che la “carta è morta” e per quanto questa formula sia meno inquietante del più famoso “Dio è morto”, per non parlare dell’indubbiamente più attuale “Gheddafi è morto”, dovremmo forse interrogarci sul merito di questa asserzione, senza snobbarla come forma estrema di grillinismo e senza accettarla come un assioma matematico. A questo si deve inoltre aggiungere che, se ancora oggi è valido l’iper inflazionato motivetto del defunto Macluhan “il mezzo è il contenuto”, allora oltre agli epitaffi dedicati al supporto cartaceo, andrebbero aggiunte una serie di onoranze funebri per madame Scrittura. Nulla di nuovo sotto il cielo, si dirà, tanto che il ventesimo secolo per certi versi è stato il periodo in cui l’umanità (o quantomeno l’occidente) ha imparato a domandare delle proprie stesse pratiche, con meta interrogativi sul genere “è ancora possibile la poesia? E’ ancora possibile la filosofia?”, fino a condurre alcuni fra i più illustri intellettuali contemporanei ad interrogarsi sul destino del pensiero stesso e sui circoli più o meno Heideggeriani del “pensare ciò che pensare non si può”.La tecnica e l’efficienza, ci dicono, sono le nuove matrone del sapere, tant’è che al posto di logos e calamaio, i quali hanno avuto per millenni diritto di scorribanda sulle nostre terre, suggestionando amori e suicidi, avremo microchip ed i-pad tascabili, per la gioia della foresta pluviale e per l’ira dei molto diffusi “reazionari di sinistra”: il Bradbury post industriale ci aspetta al varco.Il solo dettaglio che non stiamo tenendo in considerazione è questo: la pratica della scrittura è perfettamente assimilabile al concetto di tecnica, anzi ne è addirittura un suo surrogato; essa nasce proprio per porre fine alla temporalità limitata dell’oralità e dunque, proprio in nome dell’aprioristico principio che governa la società della tecnica ovvero l’efficienza. Sarebbe quindi corretto sostenere che nel seno delle proprie contraddizioni intrinseche, la scrittura come pratica perirà, si auto supererà, si dissolverà nell’etere di un cosmo tutto onde elettromagnetiche e disturbi cerebrali, per essere sostituita, nelle sue funzioni, da prassi più consone all’accidia contemporanea, in stile floppy disc inserito fra scapola e vertebre e “conosco il Kung fu”.Quando questo avverrà, i libri o i testi che dir si voglia a seconda che voi siate delle persone comuni o delle persone comuni di professione filologi, non scompariranno ovviamente come materia, ma saranno semplicemente considerati alla stregua delle ornamentali brocche mesopotamiche che popolano le mostre ed i musei delle arti e dei costumi, indubbiamente piacevoli alla vista, seppur nessuno si sognerebbe di utilizzarle per offrire un drink a parenti e amici.Libri come manufatti, nulla ci sembra indicare il contrario, basti pensare al gradevole excursus storiagrafico ad opera di Ford Madox Ford, quando da direttore della Transatlantic review scriveva: …che oggi, se si vuole leggere l’opera di Aristotele in originale, quello che si leggerà, che ci piaccia o meno, è il testo tedesco di una resa rinascimentale greca di un testo latino, che a sua volta è una traduzione dall’arabo. E il testo arabo sarà una traduzione di una copia greco– alessandrina degli scritti di Aristotele, il tutto messo insieme in una serie di testi elaborata da un ebreo dotto del diciannovesimo secolo e pubblicata da un altro. Non conosco nessun esempio più straordinario di questo della tenacia e del vigore del pensiero umano che sottende ogni rivoluzione, ogni tumulto organizzato dagli esseri umani, a dispetto del tempo che passa e divora…”Ma Madox Ford scriveva, quando ancora i libri avevano un valore per così dire “in sé”; venivano bruciati o adorati dai regimi di tutto il mondo proprio perché essi sono lo strumento per mezzo del quale il pensiero può “sottendere ad ogni rivoluzione”; ma cosa finirà realmente il giorno in cui essi perderanno il loro potere? Nel momento in cui, leggendoli, nulla accadrà poi realmente? Avremo perso il dott. Pereira che una notte bussò alla camera d’albergo del prof. Tabucchi e che un giono potrebbe accostarsi al vostro di uscio. Perderemo i suicidi alla Martin Eden che “quando sentii allora smise di sentire”.Niente più infinita diatriba fra la Beatrice – donna e la Beatrice – allegoria, che a distanza di secoli scalda ancora gli animi, dopo qualche bicchiere, di aspiranti letterati e letterati falliti.Sarà arduo imbattersi in uno sbomballato americano residente a Parigi deciso a pubblicare il libro che finalmente “polverizzerà Proust” come nelle fantasie dolci – amare dell’irriverente Henry Miller.E il sesso liberatorio di Winston Smith con Julia ci ricordava che “bisogna difendere tutto ciò che ovvio, sciocco e vero”, mentre lo “sciagurato” delle langhe ci insegnava che la morte può arrivare con i tuoi occhi.Il sardonico sarcasmo “precipuamente americano” di Mark Twain o quello un po’ più “very british” di Lawrence non colpirà più nessuno, e magari ci fosse a Omero a ricordarci che nessuno è pur sempre qualcuno.Verremo abbandonati dall’idiota della famiglia, dimenticati dal Funes di borgesiana memoria e chi avrà più tempo per accomadarsi in poltrona a leggere l’ultimo romanzo di Italo Calvino.Personalmente non potrò più invidiare Eco per la sua dispensa letteraria di quarantamila libri o fingere di aver letto Tojlstoy mettendo in luce quella grandezza realista contrapposta a quella zolaniana, il tutto mediato dalle critiche del Lukàcs.Idolatrare Manzoni e Macchiavelli non sarà più lo sport della terza età e ingiuriarli non sarà più quello giovanile; non sussisteranno più differenze fra le opinioni di un clown e fra le confessioni di un oppiomane.

foto di Tuttoslide

I non – uomini e i non – vivi ci hanno permesso di comprendere chi fossero gli uomini vivi, per non parlare del fatto che i bianchi non saranno più soggetti al giogo del proprio fardello, e finalmente i neri vivranno a sud di nessun nord, il tutto mentre Sartre si riappacificherà con i “teppistelli algerini”.Quando non sarà più possibile la scrittura come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi, allora non saranno possibili i dubbi amletici, come anche le cartesiane certezze. Vorrei sapere se a questo punto della storia cambieremo tutto per non cambiare nulla e se l’esperienza sarà soltanto metà dell’esperienza.Chissà se ubriacarsi a Parigi senza aver sfogliato le prime pagine di Fiesta susciterà ancora quel fascino misterioso ed indecifrabile e chissà se l’Africa comincerà ad esistere e se Kapuscinsky potrà finalmente raccontarla.John Fante, l’abbruzzese del Colorado, si sentirà sollevato dal fatto che nessun paragone fra il suo Bandini e Faulkner sarà più lecito ed è certo che nessun Benji piovuto dal cielo avrà la possibilità di accelerare il tempo a suo piacimento.Sarà amaro svegliarsi senza aver assunto sembianze scaraffaggesche e già m’immagino lo stupore dei credenti nello scoprire che anche Gesù non potrà più ottemperare al proprio ruolo di salvatore.Abbiamo discusso con Leibniz e Voltaire sul “miglior mondo possibile”, e tutto ad un tratto avremo l’unico mondo possibile, ove non vi sarà spazio per boschi narrativi, terre di mezzo e città invisibili.Mulini a vento, moschettieri, visconti, vicerè e principi, grilli parlanti, balene e conigli bianchi, lillipuziani o ciclopi, giri del mondo e mondi nuovi, paradisi o tempi perduti, le donne, i cavalieri, l’arme, gli amori, le cortesie le audaci imprese; non canto più.Di rossi e di neri, di quasi blu, di delitti e di castighi, di guerre e di paci, di maestri e margherite, di lolite, di puttane e di angeli; nemmeno l’ombra.Ultime lettere e lettere a un bambino, operette morali e nichilistiche asserzioni, templi profani e divin commedie, torri d’avorio e biblioteche alessandrine, stanze dei bottoni e palazzi dello scià, bastiglie, l’isola che non c’è, colossei e paesi delle meraviglie; odissee elleniche ed odissee spaziali, secoli interi di solitudine racchiusi all’interno di libri dell’inquietudine composti da alter ego fasulli e super ego schizzofrenici. Autoritratti a settant’anni, dolori di giovani artisti e ritratti di signore, foto di gruppo e germanici musicanti; vetigini da lista e poetiche a posteriori, cosa è letteratura e cosa è “cerbiatto”, geografie del romanzo e ventri di balena. Niente più tavole rotonde o tavole delle leggi insomma niente più questa grande umanità.E mentre incombe questa questa apocalisse tutta personale, sorrido nel rendermi conto che stringo forte una penna fra le dita.

Francesco Floris

Francesco Floris
BloggerLinkiesta
Collaboratore de Linkiesta.it, speaker di Magma, blogger.

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