Nel caso non ve ne foste accorti, ci sono state le primarie del centrosinistra. Ne abbiamo parlato per due settimane sul nostro podcast, oppure potreste averne sentito parlare di passaggio al TG, o letto qualcosa su Repubblica.it, o su un blog.
Magari siete perfino tra gli oltre tre milioni che sono andati a votare.
Parte dell’entusiasmo nei confronti delle Primarie è che sono nuove, sono un argomento interessante di cui parlare. In Italia, sono fonte di grande interesse mediatico grazie alle fortissime tensioni che da sempre scuotono le alleanze di centrosinistra, e il Partito Democratico stesso, oggi.
Le Primarie sono un’occasione per guadagnare preziosi minuti televisivi, per riunire i propri elettori e i militanti, e per sfogare un po’ di acredine che normalmente ribolle silenziosa.
Fa sorridere, certamente, quanto hyper sia stata la risposta dei giornali—se pensiamo che l’idea delle primarie nasce in America, in Oregon… nel 1910. L’idea fu fortemente contestata e la percentuale di adozione sarebbe salita e scesa, come un pendolo, per i successivi vent’anni.
Questo si può concedere ai giornali italiani (e a Vulcano stesso), che se in America le primarie sono cosa vecchia, in Italia non sono iniziate dal 2005, ma piú propriamente da quest’anno. Mai si era visto un vero scontro e non una schermaglia prima di un’incoronazione.
Ed è una storia emozionante da raccontare.
Cosa è successo la scorsa domenica? Cosa succederà la prossima?
Il 25 novembre è stato Natale con un mese di anticipo per il centrosinistra. I due candidati del Pd ne sono usciti entrambi estremamente forti, e sebbene il numero stampato a fianco al nome di Nichi Vendola si sia fermato al di sotto delle aspettative, questa settimana di campagna elettorale porterà giocoforza il Partito democratico piú vicino ai temi piú cari a Sel—e considerato quanto fosse impossibile per il Governatore pugliese raggiungere la vittoria, è indubbiamente il miglior risultato che potesse desiderare.
Il primo turno. Con un sano, ma non esaltante 44.9%.
Attuale Segretario del Pd, Bersani ha alle spalle una campagna elettorale europeista, di sinistra, con forti accenti sui problemi dei deboli e degli studenti, e sui diritti — sia LGBT che degli immigrati.
Bersani aspetta domenica sicuramente piú tranquillo del proprio avversario, sapendo che gran parte dei suoi elettori sono nello zoccolo duro del Partito democratico. Elettori che si ripresenteranno certamente, e che continueranno a fare campagna elettorale per tutta la settimana.
La scalata. Il Sindaco di Firenze, media darling dal primo giorno della campagna elettorale, si trovava, e si trova, in una situazione difficile. Per raccogliere voti doveva presentarsi come espressione di un “nuovo tipo di sinistra,” ma questa strategia ha concentrato su di lui critiche di essere troppo–poco–di–sinistra per guidare la Coalizione. I legami con Azione Cattolica e le tecniche di comunicazione scelte da Renzi hanno reso estremamente difficile negare questa critica da parte del suo Comitato.
Renzi ha basato parte importante della propria campagna elettorale sull’essere giovane. In piena tradizione di pigrizia, i giornali, e noi sul podcast, abbiamo riportato la sua posizione tale e quale. Un’analisi sicuramente piú interessante è osservare come il grido di gioventù fosse piuttosto un richiamo a quella che abbiamo etichettato Generazione X. I giovani nati e cresciuti nella nuova Italia degli anni 70 si sono svegliati, e sono affamati.
Questo autore sorride a tali pretese, dall’alto dei suoi ventitré anni. Giovane? HA!
Meno lucidi dalle primarie sono usciti il Movimento 5 Stelle, il Pdl, …e il Pd stesso, in qualche modo.
Il Movimento 5 Stelle, con le reazioni acide del leader Beppe Grillo fatica sempre di piú a nascondere la propria identità da partito padronale all’italiana, modello Pdl/Lega/Idv/Sel. Un partito coorte invece che un “movimento.” Nessuno si aspetta che il M5S cambi, o cambi di colpo, ma è una realtà che gli attivisti di Grillo dovranno affrontare mentre si avvicinano all’inevitabile ingresso in Parlamento. Il successo della politica tradizionale di domenica ricorda in maniera chiarissima al M5S che lo scuotere il bastone porta voti per un po’, ma poi per far politica, si diventa politici.
Il Pdl continua ad agonizzare, indecisi se fare le primarie, indecisi se Berlusconi sarà ancora parte della baracca, indecisi. La destra italiana sembra finita, il pozzo sembra essere secco, anche quello degli elettori—storicamente già meno schizzinosi rispetto a quelli di sinistra.
Tutti detestano il lunedì. E il Pd, dopo il trionfo di domenica, ne ha visto uno davvero brutto. Dopo un inizio notturno fulmineo dello spoglio, è stato il buio. Il sito ufficiale che doveva seguire i risultati in diretta si è congelato, e a metà giornata è diventato irraggiungibile. Renzi, in uno dei suoi momenti di dimenticanza di fare parte del Partito democratico, ha iniziato a sparare a zero sull’organizzazione, e nemmeno–troppo–velatamente ad accusare Bersani di trafficare con le carte.
(Accusa particolarmente divertente, considerati i molteplici dati errati comunicati ai giornali dal suo Comitato, primo tra tutti il famigerato “Quattro milioni”)
Cosa succederà domenica prossima.
Due sono le incognite che attendono gli elettori di centrosinistra e il Partito democratico.
Quanto sono fedeli gli elettori di Matteo Renzi? Torneranno a spendere i propri 15 minuti per la seconda volta in due settimane? Gli aficionado democratici di Bersani, senza dubbio.
E gli elettori di Sel? Torneranno a votare ora che il loro candidato è fuori dalla corsa in cui non è mai stato? Voteranno il candidato piú chiaramente di sinistra, Bersani, oppure, guidati dall’odio per Casini e l’establishment politico consolidato, voteranno Renzi?
Sarebbe troppo facile provare a prevedere comportamenti monotematici dai due gruppi, quando è piú probabile una atomizzazione del voto.
Dovremo aspettare domenica per sapere come andrà a finire.
Vi avevamo detto che sarebbe stato emozionante.