Fine primo tempo. Mi volto verso il mio compagno di lettura e visione con sguardo attonito. Lui mi vede, alza le spalle e dice: “Eh…abbiamo letto un altro libro.”
Stiamo guardando Educazione siberiana, regia di Gabriele Salvatores, tratto dall’omonimo romanzo di Nicolai Lilin, uscito nelle sale italiane il 28 febbraio 2013. Ora: qualsiasi lettore intellettualmente onesto sa che un film è altro rispetto al libro – solo uno sprovveduto chiederebbe totale fedeltà e reciprocità tra pellicola e carta. Ma. C’è un ma. Come per le traduzioni, le trasposizioni cinematografiche dovrebbero avere, secondo le logiche del più mite buon senso, alcuni punti cardine da cui sarebbe bene non allontanarsi troppo. E sebbene gli innumerevoli video del making of che si trovano su Youtube facciano mostra di aver ben presente questi punti, ciò che risulta dal film è tutt’altro.
Partiamo dai valori. Educazione siberiana è, come non nasconde il titolo, un libro costruito su un impianto di valori precisi, definiti da regole e abitudini rigide e motivate; non condivisibili? Talvolta. Ciò non toglie che essi costituiscano la colonna vertebrale dell’opera e della comunità siberiana di cui l’autore ci parla. Di tutta questa struttura educativa il film riporta qualche frase, qualche rapida immagine non sempre pienamente comprensibili ai non lettori, qualche scena ad effetto. Per lo più è il vecchio Nonno Kuzja (John Malkovich) a farsi tramite della saggezza della tradizione. Specifica il libro: “La parola «nonno» nella società criminale siberiana ha molti significati: sono […] anche le massime autorità del mondo criminale. Anche un educatore anziano è chiamato nonno, ma mai nonno e basta: va sempre aggiunto il suo nome o il suo soprannome”. E, sempre nel libro, è questo il ruolo di nonno Kuzja. Il rapporto tra anziani e bambini è alla base della comunità, al di là dei legami di parentela, ma si tratta di una nozione che è impossibile desumere dal film, che ci mostra nonno Kuzja come necessario sostituto di una figura paterna invece presente nel libro.
Sarebbe sciocco voler riassumere qui le mille ramificazioni culturali della tradizione di cui ci parla Nicolai Lilin nelle sue 343 intensissime pagine, vorrebbe dire riassumere il libro. Scegliamo qui di sottolineare come, insieme ai valori di cui nonno e protagonista si fanno portavoce, anche numerosi episodi del libro sono stati riassunti, accorpati e, in definitiva, banalizzati. Il capitolo “Il giorno del mio compleanno”, il più lungo del libro, ci racconta attraverso numerosi flashback una giornata emblematica della vita del protagonista, carica di tensione, paura, sangue. Il giovane Kolima (Arnas Fedaravicius) e il suo disastroso amico Mel (Jonas Trukanas) devono, volenti o nolenti, affrontare Avvoltoio, un giovane bungor (sorta di capo) della casta Seme Nero, fintosi figlio di un grande e temuto criminale ma sbugiardato in passato dal protagonista. Ebbene, di tutto questo lunghissimo capitolo nel film non resta che una rissa di pochi minuti e qualche legamento reciso. Manca, nel film, la violenza che impregna le pagine del libro, una violenza necessaria per comprendere uno stile di vita come quello della comunità siberiana, e che l’autore ha già avuto modo di edulcorare nel libro. Paradossalmente, il fim fa violenza al libro proprio nel sottrargli la sua violenza. Senza dubbio molti capitoli (ad esempio “Carcere minorile”) non avrebbero mai trovato posto nella pellicola ma altri avrebbero reso giustizia alla realtà che descrive.
Ad ogni modo, gli episodi non sono gli unici ad essere stati discutibilmente modificati: anche per quanto riguarda i personaggi il più modesto dei lettori ha molto di cui dolersi. Ad esempio il povero Vitalicͮ (Vitalij Porshnev) è il risultato di un’economica fusione: nel libro i personaggi che lui rappresenta sono due, il bimbo vittima del bullismo dei georgiani che ha nome Lyëza –di cui il corrispettivo tridimensionale mantiene le fattezze- e il ragazzo che affoga durante l’inondazione, Vitalicͮ – di cui mantiene il nome. Anche l’episodio di cui è protagonista è stato stravolto: nel film la combriccola si allontana dal resto della comunità per andare a rubacchiare quanto più possibile…nell’originale i giovani sono occupati come e più degli adulti ad aiutare a ripulire il fiume per il bene comune! In ogni caso il personaggio più disante dall’originale rimane Gagarin (Vilius Tumalavicius), l’amico d’infanzia del giovane Kolima. Un esempio per tutti: nel libro Gagarin è colui che guida la spedizione punitiva contro chi ha violentato la povera Ksjusͮa (alias Xenya); nel fim è colui che l’ha violentata.
Giustificazioni possibili: Salvatores ha scelto di sintetizzare nel personaggio di Gagarin tutta quella parte di società che, corrotta, si sta allontanando dai saldi principi della tradizione siberiana. Volendo, ha senso: dare un volto e una personalità ad una serie di derive comportamentali ed educative , o meglio, di fatto, al cambiamento stesso è una strategia comunicativa efficace. Tuttavia, per chi ha letto il libro, è proprio la scelta del personaggio a risultare inappropriata. C’è da sottolineare comunque come la recitazione del “corrotto” Gagarin risulti di gran lunga più convincente del suo amico Kolima; inoltre la storia della loro amicizia costituisce forse un necessario filo conduttore per una narrazione altrimenti divisa in scene più o meno autonome e in significativi , ma forse troppo frequenti, flashback.
Qualche considerazione positiva è tuttavia doverosa. Innanzitutto, la colonna sonora a cura di Mauro Pagani. Coinvolgente, spiritosa, emozionante, da godersi per tutta la durata del film. La scena della giostra e, in generale, i momenti di serenità e spensieratezza che il gruppetto di amici riesce a condividere, ancora nell’innocenza di una giovinezza che sta per finire. La bella Xenya (Eleanor Tomlinson), la sua espressività, il suo essere bambina in un corpo ormai maturo e, drammaticamente, seducente. Infine, la sequenza del carcere minorile, in cui Kolima si esercita nell’arte del tatuaggio, grazie alle musiche e alle luci diventa significativamente suggestiva.
In conclusione, una voce fuori campo che spiegasse valore e funzione delle armi, dei ruoli, dei tatuaggi, delle usanze e delle rivalità avrebbe trasformato il film in un documentario. Ma ritengo che alcune precisazioni fossero doverose, per completare e approfondire la comprensione di chi non abbia ancora avuto la fortuna o l’occasione di leggere il libro, che, mi sembra chiaro, consiglio caldamente.
Delis Nisco