Del: 25 Maggio 2013 Di: Redazione Commenti: 0

E’ nato nell’ottobre 2012 come saggio della Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi lo spettacolo Boston Marriage, di David Mamet (1999), messo in scena dall’allievo regista Vittorio Borsari con alcune attuali ed ex-allieve del corso attori (Annagaia Marchioro, Roberta Lidia de Stefano e Valentina Malcotti) e selezionato, insieme ad altri undici, per partecipare a playFestival, rassegna teatrale per compagnie under 35 del Teatro Atir Ringhiera, svoltasi tra il 13 e il 19 maggio 2013.

Il testo, ambientato in epoca vittoriana, scelta inconsueta per un drammaturgo americano che non ha paura di ritrarre il contemporaneo, narra l’incontro di due donne che hanno condiviso una lunga relazione amorosa e che si ritrovano dopo un periodo di distacco. Divise tra desiderio e capriccio, richiesta d’amore e bisogno di protezione economica, le due si ritrovano a corteggiarsi e al tempo stesso darsi battaglia, in una continua  scherma verbale in cui acuti sillogismi filosofici e rapide stoccate di volgarità si alternano.

In questa lotta quasi titanica, fatica ad emergere l’umile cameriera. Il suo nome è Catherine, sebbene nessuno, uscito di sala, lo possa ricordare, perché le due “matrone” non riescono mai a chiamarla col nome giusto. Non riescono – o meglio non vogliono – dare identità alla ragazza, la cui inferiorità sociale galvanizza il loro stesso arrivismo, il loro credere di appartenere a un’alta borghesia, che si rivela in realtà disprezzarle come loro fanno con Catherine.

Felice, in questa messa in scena, l’incontro tra le due brave attrici protagoniste che, forti di una consolidata collaborazione artistica nella compagnia “Le Brugole”, raggiungono un’intesa e un’intimità molto vivide. Forse nella freschezza e nell’ingenuità che emerge da due donne che tentano continuamente di sostenere una parte (nella società e nella pièce), riecheggia qualcosa del duo comico “Bambine cattive” approdato al palco di Zelig, sebbene il regista scelga di non far lievitare il potenziale comico della brillante commedia, ma sia più interessato all’emergere di una verità drammatica celata nei giochi di parole.

Vittorio Borsari sceglie di trasportare la vicenda nella Boston degli anni ’20, in un’atmosfera soffusa di rosa e sincopata sui ritmi di uno swing da piano bar, in quel periodo storico, precedente la grande crisi, in cui le illusioni erano ancora possibili. Nonostante i sotterfugi e i rischi ancora in corso infatti, “Si vedrà” sono le parole che sigillano il testo, autoinganno infantile quanto necessario per vivere.

Forse non piccante e scandaloso quanto l’autore vorrebbe, l’attualità di questo testo risiede nel bisogno di sperare in un futuro più roseo di quello che ci sembra essere assegnato, in un altrove a lungo cercato o con fatica costruito. Tra le tre donne infatti, non è solo la cameriera scozzese, sbarcata da poco nel Nuovo Mondo, a custodire il sogno di riscatto della grande metropoli. Il sogno è necessario, anche se dovesse trasformarsi in una corsa per vendere la propria anima al miglior offerente, nella continua illusione che lo si stia facendo per la causa più nobile o, almeno, per la felicità più prossima.

 Sara Meneghetti

Spettacolo visto presso la Scuola Civica Paolo Grassi, Milano, ottobre 2012. Questo articolo è stato elaborato nel contesto del corso di critica teatrale Critici in erba, organizzato dalla Scuola Civica d’Arte Drammatica Paolo Grassi, in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano.

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