Del: 2 Giugno 2013 Di: Maria C. Mancuso Commenti: 0

Il 27 maggio scorso su Il Fatto Quotidiano Domenico Naso, calabrese cresciuto nella piana di Gioia Tauro, scrive un articolo dal titolo: “Calabria, la donna non vale nulla”.
Facendo riferimento al terribile episodio di Fabiana Luzzi, uccisa brutalmente a Corigliano Calabro a soli 15 anni dal fidanzatino di 17, scrive: “non mi ha colpito per nulla. Quando ho sentito la notizia, non ho mosso un muscolo, non ho mostrato segni di sorpresa. Sono calabrese (…) E so meglio di molti altri quanto vale la donna nella mia regione: zero.”
Il pezzo avrebbe dovuto essere la grande rivelazione del secolo? Sì, ma forse del diciannovesimo.
Forse Naso voleva dare un prezioso contributo alla sua regione, voleva essere il coraggioso giornalista calabrese che sfida i suoi conterranei bigotti e retrogradi, i quali – come precisa nell’articolo – lo accusano di sputare sulla sua terra.
Personalmente non affermerei questo. Direi piuttosto che il giornalista in questione è un fantasticatore, un idealista, un visionario.
Oppure è un gran mitomane, desideroso di fama.
Ciò che è sicuro, però, è che Naso non vuole togliersi i paraocchi. Ma non è colpa sua, è stato abituato così, aspetta che lo faccia per lui sua madre: femmina calabrese costretta a servire tutti i membri maschili della famijja.

donne_calabresiForse Domenico ha vissuto in un paese degradante e degradato: ce ne sono molti in Italia.
Ma il punto è che non ci si aspetta affatto che un giornalista che scrive su un quotidiano come Il Fatto si basi, per l’analisi di un problema sociale così diffuso al mondo come la violenza contro le donne, sui fatti avvenuti venti anni fa nel suo paesino della piana, affermando che questi siano comuni in tutta una regione. Gli consiglierei vivamente di andare oltre la punta del suo naso.
Con grande immaginazione il mio conterraneo ha descritto le famiglie calabresi come mostri mitologici “metà pranzi luculliani, metà aguzzino”, le ragazze come oggetti a cui viene impedito di frequentare la scuola secondaria perché bisogna che preparino da mangiare agli uomini e che stirino le loro camicie. Le ragazze, a quanto dice, non possono scegliere il proprio compagno e neanche il proprio lavoro.

Ho alcune cose da chiedere al Signor Naso: prima di tutto di venire a fare una passeggiata nel mio paesino di 3000 abitanti in provincia di Vibo Valentia, dove le ragazze mettono fard e eyeliner senza che i ragazzi, come afferma lui nell’articolo, approfittino di loro credendosi in diritto di usarle come oggetti. Oppure di farsi un giro nelle università di Cosenza, di Reggio Calabria, di Messina, di Roma e chiedere alle studentesse calabresi se abbiano avuto la possibilità o meno di scegliere a quale facoltà iscriversi, prima di affermare il contrario.
E poi vorrei chiederle: in questo ultimo periodo si è forse appassionato di Verga? Mi sembra che abbia preso qualche spunto dalla Vita dei campi.
E mi spiace per il suo articolo del 28 maggio in cui cerca di spiegare le ragioni delle sue affermazioni del giorno prima, mi pare che aggravi soltanto la situazione: non fa che affermare le stesse fandonie.
E citando Totò, da donna calabrese le dico: ma mi faccia il piacere!

Maria Catena Mancuso

Maria C. Mancuso
Scrive di agricoltura, ambiente e cibo. Mal sopporta chi usa gli anglicismi per darsi un tono.

Commenta