Del post grillocasaleggiano uscito ieri è rimbalzato sui media soprattutto il contenuto attuale e circostanziato, ossia: siamo contrari all’abolizione del reato di immigrazione clandestina, perché in Italia già stiamo male di nostro e non c’è posto per tutti. Una posizione semplice, lineare e chiara, che vanta già una lunga tradizione leghista e un’ampia letteratura.
Si è anche discusso molto del suo significato politico in relazione all’operato del Movimento 5 Stelle. Su questo vale la pena di soffermarsi un attimo.
In pratica succede questo: due senatori della Repubblica propongono un emendamento ad una legge, e viene approvato in Commissione Giustizia. I due non-leader del movimento (dove uno-vale-uno) fanno immediatamente notare che l’opinione dei due senatori è “strettamente personale”, non si concilia con la loro, non faceva parte del Programma, non è mai stata sottoposta ad alcuna “verifica formale all’interno” – capi di imputazione l’uno più interessante dell’altro.
Opinione strettamente personale
Che il grillismo abbia un’idea tutta particolare della rappresentanza politica in democrazia, è fatto noto. In effetti dev’essere difficile, per un movimento che è partito propugnando ideali di democrazia diretta basata sul web (forse poi dimenticandosene), trovarsi a che fare con questa strana ed antiquata creatura ottocentesca che è il parlamentare. Diventa complicato conciliare l’obbedienza ai capi – o se preferite al Programma, al popolo della rete o a chi altro – con i princìpi di libertà e autonomia che la Costituzione sancisce per i rappresentanti eletti dai cittadini. In una parola: l’assenza del vincolo di mandato, in virtù della quale, forse gioverà ripeterlo, un parlamentare durante la legislatura ha il dovere di agire solo secondo la propria coscienza, nel rispetto delle leggi vigenti e della Costituzione. Questo a Grillo e Casaleggio dà particolarmente fastidio, e non ne hanno mai fatto mistero. Per questo nel post parlano di “dottor Stranamore in Parlamento senza controllo” per indicare un parlamentare che semplicemente svolge il proprio dovere. Ma va bene, potremmo dire che si tratta di una particolare idea di parlamentarismo. Resta però curiosissimo che quella di due senatori eletti sia un’opinione strettamente personale, mentre quella di due privati cittadini, espressa su un sito web privato, debba avere valore vincolante per tutti i componenti del terzo partito d’Italia. Ci si appella poi al Programma, sottolineando che la proposta dei due senatori non ne faceva parte.
Il Programma
Questa è un’argomentazione già più sensata. È vero infatti che non esiste il vincolo di mandato, ma, come si sa, ciascun partito presenta in campagna elettorale un programma più o meno dettagliato, che dovrebbe contenere in linea di massima l’idea di stato e di governo che il partito in questione si impegna a costruire. Accettando il programma, i parlamentari eletti sono entro un certo limite vincolati. Peccato che il programma del M5S (“votato da otto milioni e mezzo di elettori”) non contenesse alcunché di sostanziale. Tant’è vero che, con auto-ironia involontaria, si chiamava Non-Programma. Molte delle critiche avanzate in quel periodo riguardavano proprio questa vaghezza generale, e soprattutto l’assenza di grandi temi che nessun partito che si rispetti può trascurare. Tra questi, appunto, l’immigrazione.
A qualunque osservatore politico dotato di un minimo di intelligenza fu subito chiaro che su questa indeterminatezza deliberata il Movimento 5 Stelle intendeva basare il proprio boom elettorale e la propria trasversalità: facendo proprie fino all’esasperazione battaglie “facili” e largamente condivisibili (la lotta agli sprechi, l’inefficienza della politica, eccetera), sull’onda della crisi e della rabbia sociale, ed ignorando invece temi politici più complessi, che richiedono un certo grado di riflessione, approfondimento, competenza – e una certa idea del mondo. Dai temi etici alle politiche industriali, dalla pubblica istruzione all’immigrazione: sono argomenti che dividono più che unire l’opinione pubblica, e sono quelli che di più contribuiscono a determinare l’essenza vera di un soggetto politico, il suo orientamento.
Il M5S, mascherandosi dietro ad un non meglio precisato post-ideologismo (malattia concettuale purtroppo molto diffusa), ha optato in realtà per un nulla-ideologismo, perfettamente rappresentato da quel programma scarno e fatto di slogan. Ad un certo punto però succede che gli eletti debbano pronunciarsi sulle questioni politiche prima taciute: i nodi (ossia gli orientamenti ideologici diversissimi raccolti sotto il nome del M5S) vengono al pettine. I senatori e deputati rischiano di spaccarsi un giorno sì e un giorno no, si contraddicono, si minacciano a vicenda, prendono iniziative autonome. Emerge allora anche la seconda faccia della medaglia —la più inquietante— di quel non-programma: non è servito solo a tradurre in voti un confuso e trasversale malcontento, ma anche e soprattutto a rafforzare e consolidare per il futuro il verticismo di Grillo e Casaleggio. «Cosa succede se un parlamentare vota o propone qualcosa su cui non siamo d’accordo?» – «Semplice: lo sconfessiamo dicendo che quella proposta non faceva parte del programma». Come più o meno qualsiasi cosa. In questo modo si può dettare comodamente la linea unica (riempiendo a poco a poco il vuoto iniziale dei contenuti), con la forza del carisma e del culto della personalità. E non servirà dire che nel M5S non esiste nulla che somigli ad un sistema di “verifica formale dall’interno” (qualunque cosa significhi) – anche ammettendo per assurdo che una proposta legislativa debba essere sottoposta ad un simile sistema – al di là del parere unilaterale dei suoi diarchi.
“Un portavoce non può arrogarsi una decisione così importante su un problema molto sentito a livello sociale senza consultarsi con nessuno” (leggi: con noi).
Ma a questo punto si raggiunge il nucleo centrale della questione, quello che riguarda l’intima natura del Movimento 5 Stelle. La sua rilevanza politica è enorme, ma purtroppo, tra le varie discussioni sul merito, è passato leggermente in sordina. Nel passaggio centrale del brevissimo post, Grillo e Casaleggio escono infatti allo scoperto, e dichiarano con una incredibile mancanza di pudore l’idea sottesa alla loro operazione politica. Analizziamolo frase per frase:
“Se durante le elezioni politiche avessimo proposto l’abolizione del reato di clandestinità, presente in Paesi molto più civili del nostro, come la Francia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, il M5S avrebbe ottenuto percentuali da prefisso telefonico.”
Dimentichiamoci l’immigrazione, il razzismo, la clandestinità, e soffermiamoci sulla prassi politica. Ciò che Grillo e Casaleggio ci stanno dicendo è: non ci interessano questioni di giustizia. Non ci interessano princìpi, non ci interessano le idee. Ci interessa solo il loro esito in termini elettorali. Dunque il nostro partito è una tabula rasa, un guscio vuoto, che si potrà riempire all’occorrenza di tutto ciò che potrà di volta in volta portarci a percentuali sempre maggiori.
D’altronde Grillo è un attore, Casaleggio un esperto di marketing: ed è una regola del marketing (che con la politica vera non dovrebbe aver niente a che fare) quella di dare alla gente ciò che vuole. Dunque siamo di fronte ad un partito che elegge a strategia politica la mancanza di idee propositive, abolendo qualsiasi possibile scrupolo di fronte all’accoglimento indiscriminato di ogni pulsione “popolare”. Il principio viene enunciato ancor più chiaramente nella frase successiva:
“Sostituirsi all’opinione pubblica, alla volontà popolare è la pratica comune dei partiti che vogliono ‹‹educare›› i cittadini, ma non è la nostra.”
L’appello alla volontà popolare porta un chiaro olezzo di fascismo. Ed è un nonsenso politico. Che cosa sia infatti la volontà popolare, non è chiaro. I risultati di un sondaggio? I commenti ai post del blog? I “mi piace” su Facebook? E dichiarare di non voler educare i cittadini sembra quasi una velata ammissione della realtà palese: il M5S pesca da un bacino di ignoranza, vive di ignoranza e pertanto intende alimentare e cavalcare l’ignoranza. Di fatto è un insulto ai propri elettori, una professione di superiorità, offensivo per chi abbia un poco di autonomia di giudizio, ma probabilmente rassicurante per gli altri (forse la maggior parte). Una cosa come: venite tra le nostre braccia, non preoccupatevi di dover imparare come funziona una realtà complessa, non ascoltate gli altri politici che parlano un linguaggio incomprensibile: da noi, qualsiasi cosa diciate e sentiate, avrete ragione.
E si arriva così all’immagine finale, che sa di totalitarismo:
“Il M5S e i cittadini che ne fanno parte e che lo hanno votato sono un’unica entità.”
Ah, bene. Verrebbe da chiedere: e quindi chi ha votato quei due senatori lì…?
Ma in certe affermazioni non ha senso cercare raziocinio politico secondo le categorie a cui siamo abituati. Come nella fisica quantistica, anche nel pensiero di Grillo e Casaleggio neppure il principio di non contraddizione vale più. La loro strategia però è chiara. Resta da vedere se non si rivelerà fallimentare: non solo il gruppo dei grillini in Parlamento, ma anche la tanto decantata base popolare è divisa e rischia di disperdersi, punendo il movimento alle prossime elezioni. Per adesso i due capi hanno giocato bene le proprie carte – e cavalcare l’odio contro l’immigrato garantisce sempre un certo effetto. Ma entrare in aperto contrasto con quelli che alla fine siedono concretamente in parlamento (non dietro a una scrivania) è pericoloso: prima o poi potrebbero svegliarsi dal proprio sonno di automi – come alcuni hanno già fatto – e mostrare finalmente un po’ di dignità politica e umana di fronte alla deriva sempre più palese e disgustosa di questo pseudo-partito.
Supponiamo però che tutto vada nel modo migliore per loro (che è difficile ma non si sa mai), e che il movimento cresca ancora di più, fagocitando il resto delle forze politiche, ottenendo il vagheggiato 51% e il governo. A quel punto la domanda è: con la loro grande percentuale, e nessuno straccio di disegno politico preciso, che cosa faranno? Quale sarà allora la “volontà popolare” da seguire?
Sebastian Bendinelli