
Tra le tematiche ecologiche di cui il genere umano dovrebbe interessarsi, nessuna è più preoccupante del surriscaldamento globale.
Generato da uno sviluppo sregolato delle attività antropiche, esso è causa dello sconvolgimento meteorologico che sta interessando il pianeta negli ultimi 150 anni.
La terminologia trae in inganno: parlare di surriscaldamento fa pensare al fatto che di in anno in anno la temperatura della Terra aumenti in ogni suo punto sempre di più, fino a dare origine a inverni tiepidi ed estati sempre più torride.
Non è così.
Se mettessimo sul fuoco una pentola con acqua e ghiaccio, ci accorgeremmo che prima che l’acqua inizi a bollire tutto il ghiaccio si sarà fuso.
Più o meno la stessa cosa accade al nostro pianeta.
Sebbene la Terra subisca un continuo riscaldamento, noi non ci accorgiamo dell’aumento della temperatura, poiché gran parte del calore viene assorbito dai ghiacciai, che fondono e quindi “raffreddano” l’atmosfera, ma la conseguenza di tutto ciò è che la temperatura media del pianeta aumenta.
Quest’ultima oscillava di anno in anno con regolarità e periodicità, ma negli ultimi due secoli ha iniziato una rapida crescita, che mette a rischio la stabilità del clima e l’incolumità della biosfera.
La pericolosità del fenomeno
L’acqua derivante dalla fusione dei ghiacciai confluisce nell’oceano, e così facendo ne innalza il livello, con conseguente rischio di esondazione per gli insediamenti antropici e gli ecosistemi lungo le zone costiere. Inoltre, l’aumento del livello del mare provoca un aumento dell’evaporazione, che comporta un incremento di vapore acqueo in atmosfera, da cui risultano precipitazioni di più intense e di maggior entità.
Infatti, se durante l’estate troppo vapore si accumula ininterrottamente in atmosfera, non solo si allunga la durata delle siccità estive, ma durante le stagioni restanti (soprattutto autunno e primavera, le famose mezze-stagioni-che-non-ci-sono-più) si avrà lo spostamento, dall’atmosfera verso il suolo, dell’enorme massa d’acqua accumulata.
Il rischio è che l’alternanza regolare dei climi e delle piogge stagionali venga sostituito con lunghi periodi di siccità intervallati da precipitazioni di intensità devastante.
Effetto serra, buono o cattivo?
L’effetto serra è provocato da particolari gas atmosferici, detti appunto “gas serra”.
Quando la radiazione solare penetra nell’atmosfera, urta contro le molecole di questi gas che hanno la capacità di prelevare da essa una gran quantità di energia, sotto forma di calore.
Da quanto detto fin qui, l’effetto serra ha origine totalmente naturale e non provoca surriscaldamento globale, perchè mantiene la temperatura media in un determinato intervallo, che oscilla periodicamente nel tempo.
Senza di esso la Terra sarebbe un pianeta gelido e lo sviluppo della vita non sarebbe stato possibile.
Tuttavia, l’avvento della rivoluzione industriale ha dato inizio ad una serie di attività antropiche (principalmente deforestazione ed emissione di gas serra di origine artificiale) che hanno aumentato oltremodo l’efficacia di questo fenomeno, fino a fargli perdere la sua funzione di mitigatore del clima, e a trasformarlo in un meccanismo di surriscaldamento globale.
Le forzanti dell’effetto serra
I gas serra sono principalmente quattro: anidride carbonica, metano, alocarburi (prevalentemente CFC: CloroFluoroCarburi) e vapore acqueo.
La loro influenza sull’effetto serra dipende da due fattori: il tempo di permanenza ―cioè il tempo di vita di una molecola di quel gas, dall’istante in cui viene emessa fino a quando viene disgregata da processi naturali― e l’assorbanza o GWP (global warming potential), cioè la capacità di prelevare calore dalla radiazione solare.
L’anidride carbonica non ha assorbanza elevatissima ma ha vita media da 50 a 200 anni, il metano ha assorbanza 30 volte maggiore della CO2 ma possiede un tempo di permanenza di 25 anni, mentre i pericolosi alocarburi durano qualche secolo e hanno assorbanza pari a 16000 volte quella della CO2 !
La stragrande maggioranza dei gas serra emessi dall’uomo ha origine da attività industriali e da processi di combustione (settore dei trasporti e settore energetico), che generano come prodotti di scarto metano, vapore acqueo e soprattutto anidride carbonica.
Sempre in ambito industriale vengono prodotti gli alocarburi, impiegati come propellenti in bombolette spray e, fino a una decina di anni fa, come fluidi scambiatori di calore nei frigoriferi; fortunatamente il loro utilizzo è stato molto ridotto e in parte bandito.
Le attività di agricoltura intensiva e di allevamento su larga scala, non soltanto producono grandi quantità di metano, ma richiedono anche vaste opere di deforestazione, contribuendo doppiamente all’intensificazione dell’effetto serra.
Proprio la deforestazione è un’altra forzante dell’effetto serra: ridurre il numero di piante sul pianeta significa ridurre l’efficacia della fotosintesi clorofilliana, uno dei più importanti meccanismi di rimozione naturale della CO2 .
Difficoltà di controllo: i feedback positivi
Oltre alle forzanti antropiche dell’effetto serra, esistono anche meccanismi naturali che provocano il surriscaldamento globale.
Se gli oceani contengono più acqua e il loro livello è più elevato, la superficie degli oceani è maggiore, perciò può assorbire ancora più calore dai raggi solari, questo innescherà la fusione di altri ghiacciai, che andranno a loro volta ad aumentare la quantità d’acqua negli oceani.
Si genera così un ciclo di fenomeni che si alimentano e si intensificano a vicenda, e che fanno aumentare sempre di più il surriscaldamento globale.
Questo meccanismo di auto-sussistenza viene denominato “feedback positivo”, il termine indica che le conseguenze amplificano la causa che le ha provocate.
Oltre a quello della fusione dei ghiacciai esiste un altro fenomeno dannoso di feedback positivo, quello dell’evaporazione.
L’incremento di temperatura media terrestre, o della superficie degli oceani, rendono più efficace il fenomeno dell’evaporazione, che provoca l’aumento della quantità di vapore in atmosfera.
Poichè il vapore acqueo è un gas serra, la sua presenza in atmosfera fa aumentare a sua volta l’efficacia dell’effetto serra, che incrementando il surriscaldamento globale fa crescere il livello dei mari e quindi incentiva di nuovo l’evaporazione.
L’esistenza di questi meccanismi “automatici” rende evidente la difficoltà di rimediare ai danni causati: una volta che questi circoli viziosi raggiungono una certa inerzia, diventano difficili da rallentare.
Quali soluzioni?
E’ chiaro che il primo provvedimento da prendere è la riduzione di quelle attività che aumentano i gas serra in atmosfera, ma se anche da un giorno all’altro potessimo decidere di bloccare tutte le forzanti antropiche dell’effetto serra, dovrebbe passare almeno un millennio affinchè l’atmosfera ritorni alla sua conformazione “naturale”, e nel frattempo il livello del mare e il cambiamento climatico continuerebbero ad aumentare.
Poiché con le tecnologie conosciute non è possibile agire direttamente sull’effetto serra e riportare il pianeta all’equilibrio iniziale, per adesso possiamo soltanto cercare di attenuare l’impatto della civiltà sull’ecosistema terrestre, e ingegnarci per affrontare le conseguenze immediate del mutamento climatico, come le anomalie meteorologiche che mettono a rischio i raccolti.
Su questo fronte sono già stati compiuti alcuni progressi.
Ad esempio, per consentire l’agricoltura anche in territori aridi, è stato inventato il sistema “pivot” un braccio meccanico irrigatore ―nel deserto libico ne esistono già alcuni lunghi fino a 500m― che, ruotando intorno a un perno, distribuisce l’acqua in una zona circolare, mantenendola umida e rendendola coltivabile.
Sempre in ausilio alle attività agricole è stata inventata la molto discussa tecnica del cloud seeding (inseminazione delle nuvole), questa consiste nello spargere in atmosfera particolari sostanze chimiche in grado di alterare l’entità delle precipitazioni, consentendo di regolare la quantità d’acqua che si vuole apportare al terreno.
Nonostante alcuni risultati incoraggianti ottenuti sull’immediato, esistono problemi futuri di entità molto maggiore, le cui soluzioni potrebbero rivelarsi più drastiche di quanto si possa immaginare.
Si pensi infatti che, per quanto riguarda l’innalzamento degli oceani, uno dei progetti che sta prendendo piede tra le comunità scientifiche consiste nella costruzione di gigantesche dighe e argini che, cingendo i continenti, tengano l’espansione dei mari al di fuori del territorio abitato, come già avviene nei Paesi Bassi.
Ma anche nell’ipotesi che in futuro, con l’ausilio di nuove tecniche, si possano realizzare queste mastodontiche opere di ingegneria, ci rimane comunque da fare i conti un problema ben più attuale: gli anomali e abnormi eventi meteorici che già interessano diverse comunità, devastando le infrastrutture e minando l’incolumità umana.
Tommaso Sansone