Del: 19 Febbraio 2014 Di: Francesco Floris Commenti: 0

Torniamo in prossimità di quella cosa sporca e zozza che è la politica, ovviamente in chiave italiota. Come dice Santoro nelle interviste che periodicamente ottiene dal Corriere “va tutto declinato in avanspettacolo per fare ascolti” ―un approccio integerrimo da giornalista d’assalto che gli riesce piuttosto istintivo.

Gianluigi Paragone cambia stile: dal verde de “La Padania” al glam rock de “La Gabbia”. Non sappiamo quale sia peggio.

Visto che siamo in tema di grandi giornalisti, pensate un po’ se una frase del genere l’avesse pronunciata Enzo Biagi – R.I.P. – che conduceva il più noioso approfondimento politico dai tempi del De Monarchia, che riusciva in cinque minuti a cavallo fra l’antipasto di mare e le lasagne di tua nonna (non chiedete) a farti desiderare intellettualmente Barbara D’Urso.
Fatto sta, ognuno ha i tempi che si merita – ma questo non è passatismo.

Quest’anno una partita di giro fra i tre principali network televisivi italiani ha visto passare Nicola Porro – sì, quello de Il Giornale la raièbruttaecattivaperchépubblica – a Raidue, Luca Telese – sì, quello che leccava i testicoli a Travaglio – a Mediaset, mentre il giovincello del gruppo, la scheggia impazzita in quota Lega Nord Gianluigi Paragone ha ottenuto il sue bel programmino in prima serata al mercoledì su La7.
Questo basterebbe a farmi chiudere baracca e burattini, trasferirmi nella Terra del Fuoco e cominciare un dialogo costruttivo con gli spiriti dei pinguini esploratori per comprendere il futuro della sinistra intergalattica; ma visto che Fausto Bertinotti ha declinato il mio invito alla partecipazione in quest’impresa allora me ne resto spiaggiato sul divano a sorseggiare Johnnie Walker, cercando maniacalmente la pubblicità di Barilla sulle coppie omosessuali.

Ubriaco come uno straccio “La Gabbia” mi sembra accettabile, una profonda riflessione sui problemi che affliggono la contemporaneità, un platonico dialogare su chi e cosa debba stampare la moneta e soprattutto su chi debba poi spenderla.

Paragone lo vestono come una parodia fuori tempo massimo di Fonzie, corre in lungo e in largo per lo studio stellare che gli hanno costruito attorno, con movenze che si collocano a metà fra Pulcinella e Angus Young durante il live di Donington.
C’è qualcosa sul suo volto, tipo un solco lungo il viso, come una specie di sorriso; deve dipendere dalla paralisi facciale del giorno in cui gli hanno mostrato i dettagli del contratto – e con dettagli
intendo il numero di zeri.

Gli ospiti sono di frequente delle personalità pacate, niente affatto eccentriche, come Paolo Barnard vestito da scienziato pazzo, Michele Boldrin – economista di Fare, lo dico per chi legittimamente non fosse interessato alle specie in via di estinzione – o Giulietto Chiesa, noto negli ambienti della stampa italica con l’affettuoso soprannome di o’ gomblotto.

Il giornalista Paolo Barnard su fondo blu futuristico

Il compromesso, la soluzione dei problemi reali, l’elegante dimostrazione matematica, l’uso della ratio non fanno parte dei fini pedagogici previsti dal programma; tutt’altro, si cercano complesse alchimie fra le scimmie urlatrici, coppie dicotomiche irrisolvibili:

  • uno anarco-sindacalista/l’altro monarchico
  • uno reaganiano/l’altro leninista
  • uno berlusconiano/l’altro berlusconiano (cazzo!)
  • baritono/soprano
  • Pelè/Maradona
  • Cane/gatto
  • Kant/Hegel

Tutte categorie rappresentative del “Paese reale”.

Ampio spazio viene concesso alle voci della gente comune e agli outsider della politica ―cosa che sta iniziando a farmi odiare il popolo in tutte le sue forme e manifestazioni― attraverso collegamenti via satellite disturbati e invitati sul campo.
Si scoprono forme umane sconosciute alla scienza tradizionale:
l’imprenditore eroe del comasco che non paga le tasse perché “le tasse sono sbagliate” e comunque “ lo Stato è una merda”; poi viene fuori che ha sempre votato Forza Italia (ma guarda un po’ te che sorpresa?) e che si diletta nel tempo libero in giochini erotici con il busto del duce sfuggito alla barbarie partigiana.

L’economista fuffa uscito da un master all’Università del Missouri ottenuto attraverso i punti del Simply Market: con poco amore del proprio mestiere sostiene che l’economia è una “cosa” adatta a chiunque e che siamo tutti (inclusi voi e i vostri amici) servi delle banche se proviamo a dire che stampare banconote a muzzo – forse – fa salire un po’ l’inflazione.

Oscar Giannino, noto soprattutto per la mancata partecipazione a “Lo Zecchino d’Oro”

L’economista di Fare Per Fermare Il Declino ―o come lo chiamo io, il partito dal prolisso nome e la vita sintetica― sostiene che per far ripartire i consumi e la domanda interna bisognerebbe licenziare anche le cicale, che se ci pensate bene è un’idea così progressista da farmi attraversare il corpo da un brivido di novità.

Il tremontiano che l’aveva previsto, vera proprio specie umana a sé stante che si riproduce per partenogenesi.

Il grillino che l’aveva previsto, figlio illegittimo di cui sopra.

Il parlamentare Pd semisconosciuto fra le gerarchie del partito (si chiama ricambio generazionale adesso) e che arringa il popolo della sinistra dichiarando fiero che bisogna assolutamente dialogare con coloro che, fino a due giorni fa, vi prendevano per il culo perché non possedevate un Suv per il vostro animale domestico.

Il falco pidiellino, la cui moderata-centrista-attendista posizione sui processi di Berlusconi è che “la Ruby in quanto negra poteva essere sventrata dal pisello del premier in carica nell’esercizio delle sue funzioni perché – diciamoci la verità – a tutti piacciono le minorenni anche se a qualcuno non piacciono le negre, ma questa è la definizione di libertà.”. Quando si suol dire una sintesi degli atti processuali.

Il dirigente dell’Inps che se la pavoneggia per Via Vittorio Veneto con i ticket restaurant da 70€ l’uno gridando “basta odio per la pubblica amministrazione”.

Solo alcune delle categorie umane che potete trovare allo zoo del digitale extraterrestre italiano.

Mentre guardo esterrefatto la trasmissione, il mio occhio tenta d’impalarsi da solo con lo stuzzicadenti usato fino a quel momento per sacrificare al Dio dell’Autan le zanzare che sopravvivono al rigido inverno longobardo, quando un particolare colpisce la mia attenzione.
Gianlù Paragone ha sempre una cazzo di chitarra in mano: la postura non è quella da accademia e conservatorio, per intendersi quella che ti procura la scogliosi a dodici anni ed il tumore alla sciatica a quaranta.
È più che altro una postura da imbroglione che in vita sua al massimo ha suonato “Don’t cry” in acustico al saggio scolastico delle medie davanti ad una folta schiera di mamme inorgoglite – la postura dell’incapace.
Quel super coatto di Paragone ogni tanto interrompe il normale fluire dell’etere con immagini di se stesso che improvvisa Fossati o Vecchioni, erroneamente convinto di esserne l’erede predestinato.

Vi domanderete perché abbia inserito frame dal taglio musicale in un programma che discetta di economia politica per accattoni; me lo sono chiesto anch’io e dopo lungo tergiversare mi sono risposto che:
a Paragone piace la politica.
A Paragone piace la musica.
A Paragone piace la televisione.

Nella testa di paragone prende forma questo pensiero:
“faccio un programma televisivo a sfondo politico-musicale”.

“Perché Gianluigi è rock” direbbe Celentano.

In questo apparentemente insignificante dettaglio si dimostra una volta e per sempre la totale incapacità del giornalismo italiano mainstream di distinguere fra il soggetto e l’oggetto – annoso problema fenomenologico – fra il “mi piace” ed il “è bello”, fra “Io” e il “mondo”.

“La Gabbia” è chiaramente il sintomo di una malattia degenerativa allo stato terminale nei media e non certo la causa primaria di un diffuso malcostume comunicativo.
È stata la trasmissione più gettonata dai social network alla sua prima puntata, quella che – per inciso – ha visto Marco Travaglio e Daniela Santanchè scannarsi per una buona mezz’ora sul fatto che nessuno dei due si sarebbe reciprocamente trombato – ingraziandosi entrambi il folto pubblico di casalinghe grilline e scapoli arrapati dalle fantasie disgustose che affollano i mercoledì del piccolo schermo.

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=FwVoslrzmm8[/youtube]

Perché? Perché l’avanspettacolo effettivamente paga, perché a nessuno interessa realmente quali siano le quarantasette forme contrattuali esistenti in Italia, o da chi sia composto il pool di esperti che studia i cicli sismici per la Commissione Grandi Rischi.
Incluso il sottoscritto, visto che sono qua a parlare di un cialtrone megalomane salvo poi chiedere spiegazioni il giorno in cui un terremoto spezza in due un’intera regione.

Perché la pubblicità ricopre di denaro e fasti chi filma un gattino bulimico e lo pubblica su YouTube, o chi depaupera la macroeconomia rendendola un talent show di campagna per deficienti con problemi ormonali, sempre a patto che questo raggiunga il maggior numero di persone/individui/spettatori/ascoltatori/utenti/follower.

È una menzogna che la qualità paghi. Non paga, a maggior ragione in televisione e non lo fa da diversi anni, ammesso e non concesso che lo facesse in passato.
Abbiamo inconsapevolmente scambiato una finta libertà delle opinioni con il Paese del “tutto vale tutto”, dove il parere di un laureato in economia sullo spread vale quanto quello di un pecoraio che però, al contrario del laureato, è in grado di riparare un recinto senza doversi scaricare un’applicazione per iPhone o cercarsi un tutorial.

Lavoratori come Paragone ed il suo staff c’entrano eccome con questa deriva: persone che avrebbero, nella migliore delle ipotesi, potuto scrivere su La Padania si ritrovano a condurre uno dei più seguiti talk show televisivi italiani e non fanno nulla per cambiare la realtà dei fatti, sebbene ne abbiano i mezzi.
Preferiscono marciare sul degrado di un Paese ormai arreso ed incrementare la propria piccola, minuscola, fetta di potere virtuale alla tavola imbandita degli arrivati.

Forse arriverà il momento in cui ognuno pagherà per la propria ingordigia ma a quel punto non resterà altro da fare che lavare i piatti abbandonati sul tavolo.

Come potete intuire da questo piccolo sermone finale, la puntata di extraterrestri inaugura il filone “dovete ridere ma anche un po’ pensare se non volete finire i vostri tristi giorni in un ospizio per malati d’Alzheimer a sbraitare contro il signoraggio bancario”.

L’alternativa è attendere qualche settimana in religioso silenzio, perché sta per arrivare uno speciale di extraterrestri dedicated to Andrea Scanzi, l’astro nascente del fancazzismo giornalistico tricolore.

Se i vecchi sono Bruno Vespa e Michele Santoro e i giovani sono Paragone e Scanzi, beh cari telespettatori, io mando la pubblicità e commetto un duplice infanticidio ―meglio la beatitudine sulla Terra e la dannazione negli inferi che il contrario.

È stato un piacere – più per me che per voi.

Francesco Floris
@Frafloris

Francesco Floris
BloggerLinkiesta
Collaboratore de Linkiesta.it, speaker di Magma, blogger.

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