Del: 3 Febbraio 2014 Di: Stefano Colombo Commenti: 0

Un provvedimento del Garante della Privacy impone alle procure di adeguare le strutture per le intercettazioni ad una serie di parametri di sicurezza, oppure a febbraio 2015 si dovranno sospendere le intercettazioni —o i magistrati si faranno carico delle conseguenze penali ed economiche derivate dalla loro prosecuzione divenuta automaticamente illecita.
Il nocciolo è che questi adeguamenti sembrano costare vari milioni di euro: soldi che il Ministero della Giustizia non ha.

Il provvedimento è datato 13 Agosto 2013 e ha come scopo dichiarato la messa in sicurezza —da trafugamenti, contraffazioni, abusi eccetera— di un’attività effettivamente mai ben sagomata nei suoi limiti, norme e dettagli.
Tale provvedimento reca al suo interno passaggi più che ragionevoli, come quello sulla sicurezza informatica:

“Le comunicazioni elettroniche tra l’Autorità giudiziaria e i gestori [vanno] effettuate esclusivamente in modo cifrato con strumenti, anche di tipo online o web, che assicurino comunque l’identificazione delle parti comunicanti, l’integrità e la protezione dei dati.’’

Certo, ne ha anche altri più spiazzanti —saranno davvero così fondamentali gli “impianti per il rilevamento e l’estinzione di incendi, comprensivi di porte antincendio” nei locali di intercettazione? Si sarà pensato: all’interno c’è roba che scotta!
Però, per trovare il vero punto caldo, bisogna leggere il provvedimento fino alla fine, dove il garante impone alle procure ―per dirla in poche parole― di farsi dare i soldi dal Ministero per mettere in atto quanto sopra entro 18 mesi, facendo un rapporto iniziale il 30 giugno 2014.
Probabilmente, a quel punto, diverrà solare quello che molti mormorano – e qualcuno spera: il Ministero non sarà in grado di coprire i non ancora precisati ma di certo esorbitanti costi. Dunque, basta intercettazioni.

Sulle intercettazioni sono corsi fiumi d’inchiostro e di polemiche ―ultimo caso quello che ha visto protagonista l’ex ministra De Girolamo― ma rimangono uno dei grimaldelli principe in mano alla Magistratura e all’informazione per scardinare corruzione, malefatte e intrallazzi vari. Non bisogna essere cinici di professione per immaginare che lo scopo non dichiarato del provvedimento sia di soffocarle almeno in parte, almeno per un po’, almeno fino a che a qualcuno non verrà in mente qualcos’altro: una tattica al cloroformio, insomma, a quanto pare più efficace delle roboanti battaglie compiute in passato (non solo) da Berlusconi.

Aspettando Giugno, il Consiglio Superiore della Magistratura solleva dubbi sul potere vincolante del garante nei confronti del potere giudiziario (e, si può presumere, prepara battaglia).
Noi, più modestamente, ci limitiamo a notare come questo bavaglio sia stato cucito da una moderna larga intesa: il Garante per la privacy segue una lottizzazione partitica stile RAI, e per un vicepresidente Augusta Tannini ―scelta dal PDL come rappresentante e da Bruno Vespa come consorte― c’è un presidente Antonello Soro (ex capogruppo PD alla camera) che mette la sua firma a provvedimenti come questo.
Soro stesso, a dispetto delle battaglie per la legalità di cui ama fregiarsi il suo partito, tradisce una coda di paglia nemmeno troppo ben nascosta facendo la morale ai giornalisti: “Per favorire un giornalismo maturo e responsabile” a scapito di “quel giornalismo di trascrizione che finisce per far scadere la qualità dell’informazione”, starebbe percorrendo “una strada meno divisa e forse più concludente rispetto alle diverse ipotesi legislative tentate nella scorsa legislatura”.
Le code di paglia bruciano in fretta. Forse dovrebbe munire di una porta antincendio pure il suo ufficio.

Stefano Colombo

Stefano Colombo
Studente, non giornalista, milanese arioso.

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