Del: 17 Febbraio 2014 Di: Sebastian Bendinelli Commenti: 0

A proposito del colpo di mano di Matteo Renzi, molti commentatori hanno protestato per la nomina del terzo Presidente del Consiglio, dopo Monti e Letta, “non eletto dai cittadini”. Altri hanno invece salutato l’arrivo di Renzi a Palazzo Chigi come un risveglio, addirittura, della “sana” democrazia parlamentare, ricordando che, come dovrebbe essere noto a tutti, l’ordinamento costituzionale italiano non prevede l’elezione diretta del Presidente del Consiglio.

L’estrema confusione che su questa materia regna tra l’opinione pubblica è tutto fuorché casuale. Da oltre vent’anni, infatti, il carattere parlamentare della nostra repubblica subisce violenti attacchi politici e mediatici, che hanno portato ad un suo snaturamento sostanziale. Diciamolo: il parlamentarismo è un vestito che ci è sempre stato stretto, data la smodata passione che non manchiamo mai di dimostrare nei confronti dell’uomo della provvidenza o leader di turno. Nonostante una Costituzione pensata apposta per scongiurare derive autocratiche, la vita politica del nostro Paese è sempre stata dominata da grandi figure carismatiche. La Seconda Repubblica, poi, invece che portarci l’“alternanza” sul modello anglosassone, ci ha portato Berlusconi: il primo ad apporre il proprio nome sul simbolo elettorale, il primo a trasformare definitivamente la politica in marketing, e se stesso in un marchio vincente, costruendo un partito interamente coincidente con la propria persona e rivendicando, sempre, un rapporto diretto ed esclusivo con gli elettori.

La demolizione progressiva del parlamentarismo, da Berlusconi in giù, ha seguito due direttrici parallele: una mediatica, con l’assidua e costante veicolazione, da parte di televisione e media, dell’idea errata di un’elezione diretta del primo ministro da parte dei cittadini; e una politica, con la metodica esautorazione del potere legislativo a favore dell’esecutivo (attraverso l’abuso dei decreti-legge) e, non da ultimo, con l’abolizione del voto di preferenza.

L’avvicendamento di Matteo Renzi al governo esprime appieno l’ambiguità in cui ci troviamo: se la manovra di per sé è costituzionalmente ineccepibile, il suo protagonista è proprio colui che prosegue energicamente, a sinistra, l’operazione berlusconiana di personalizzazione e accentramento carismatico del potere politico: lui stesso aveva dichiarato che mai avrebbe sostituito Letta senza passare dalle urne (ancora, insinuando l’idea che tale passaggio sia dovuto o necessario). Piaccia oppure no: il PD a guida renziana si è allineato al modello del partito personale, che, informando già le altre due principali forze politiche, rimane ormai l’unico sulla piazza.

Queste due condizioni — partiti personali e mancanza del voto di preferenza — bastano a privare di qualunque significato il regime democratico parlamentare. Il cittadino ha perso il rapporto diretto con l’unico organo che dovrebbe rappresentare il suo potere: vota un simbolo di partito dietro cui non si cela più nemmeno un vero partito, ma un brand commerciale e, in ultima istanza, una singola persona. Il deputato o senatore, d’altra parte, privo di legittimazione popolare (salvo il caso, formale e un po’ ridicolo, delle “parlamentarie”), deve ringraziare per la propria nomina qualche “capo” di turno, e difficilmente ci si potrà aspettare da lui l’autonomia di giudizio e l’indipendenza che sarebbero richieste dal ruolo.

Un nominato, per definizione, viene scelto non certo per la brillantezza d’ingegno, che potrebbe rivelarsi pericolosa, quanto piuttosto per la disposizione all’obbedienza: e così le Camere si sono popolate di amici, avvocati e tirapiedi, con il ruolo di ratificare decisioni governative, votando per indicazione del partito testi che nella maggior parte dei casi non leggono e non conoscono. L’abolizione delle preferenze — che quando c’era da criticare demagogicamente il porcellum erano in cima ai programmi elettorali di chiunque, e all’improvviso non piacciono più a nessuno — viene abitualmente motivata con l’argomento del voto di scambio. Secondo questa logica bisognerebbe abolire il denaro, dato che rende possibile il furto. (Come se poi mafie e clientelismi fossero magicamente scomparsi dalla politica italiana).

In questo senso le critiche all’”anomalia” italiana e le paure per la salute della nostra democrazia sono tutt’altro che ingiustificate. Sui meccanismi che hanno portato alla nomina di Monti e di Renzi (diverso il caso di Letta) non ci sarebbe infatti nulla da ridire, se potessimo affermare di avere un Parlamento funzionante nella propria autonomia, in grado di esprimere un voto di fiducia che non sia un’imposizione esterna; o se potessimo onestamente dire che le consultazioni concluse questo sabato non sono state un rito formale, teso ad avallare costituzionalmente un accordo già scritto.

A questo punto sarebbe preferibile abbracciare apertamente una forma presidenziale o semi-presidenziale (a cui peraltro quasi sicuramente ci porteranno le “riforme istituzionali” che si sentono invocare di qua e di là), piuttosto che mantenere ipocritamente le forme di un sistema e le prassi dell’altro, sfruttando l’uno e l’altro a seconda dell’opportunità del momento.

Sebastian Bendinelli
@se_ba_stian

 

Sebastian Bendinelli
In missione per fermare la Rivoluzione industriale.

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