Del: 26 Marzo 2014 Di: Maria C. Mancuso Commenti: 2

“Un computer vale più di un panino”, così recita un avviso appeso in BGLF, biblioteca di Giurisprudenza, Lettere e Filosofia in via Festa del Perdono.
E se non suona insensato andare a pranzo lasciando il proprio computer sul tavolo dell’aula studio, non sembra in effetti di certo irragionevole ritenere di potersi allontanare solo pochi minuti lasciandovi i libri e la borsa.
Studiare in biblioteca è parte integrante della quotidianità di molti studenti e la sede in via Festa del Perdono ne conta, tra tutte, 21.
E grazie al clima di familiarità e di cordialità che si crea nelle biblioteche universitarie diventa piuttosto semplice non preoccuparsi di avere sempre dietro tutti gli oggetti di valore.
Con questa inchiesta ho tentato di comprendere quale sia la portata del fenomeno: si fa un gran parlare di furti e sembra che negli ultimi anni siano aumentati, è così? Sono gli stessi studenti a rubare ai loro colleghi? Quali sono i luoghi e le fasce orarie maggiormente interessate?

In biblioteca

Ho intervistato Laura Frigerio, direttrice della biblioteca di Filosofia, dove si verificano tre o quattro furti all’anno tra borse, PC e portafogli.
Ma, sottolinea subito “sempre su oggetti lasciati incustoditi, nonostante vi sia la possibilità di lasciare gli oggetti di valore negli armadietti dati in dotazione”. La reazione dei derubati è sempre di sorpresa: “Tra studenti non ce la si aspetta”.
Qui, la fascia oraria in cui i furti avvengono con maggiore intensità sembra essere quella che va dalle 12 alle 13.30, orario in cui, andando a pranzo, gli studenti si allontanano a lungo dalle proprie cose.
E questo lo sa bene anche Andrea, studente al quale hanno rubato i libri nella biblioteca BLGF proprio durante l’ora di pranzo: “Purtroppo ho dimenticato di coprire il titolo, ho sempre paura che passi uno del mio stesso corso e voglio evitargli la tentazione”.

La Crociera sembra essere la biblioteca dove si ruba di più: uno al mese, ma più della metà sempre a causa della negligenza degli studenti.
Emanuele è un dipendente che lavora sia nella BLGF che in Crociera. Ci racconta che a febbraio un ragazzo aveva lasciato il computer incustodito per andare in bagno, pochi minuti e al suo ritorno era sparito.
Il giorno dopo uno studente ha rubato alcuni libri, è stato identificato ed ora è stato sospeso dal sistema bibliotecario.

Ai furti non sembra essere immune neanche il personale docente.
Ho intervistato Beatrice Del Bo, ricercatrice a tempo determinato di storia medievale, derubata del suo computer —acquistato con i fondi del dipartimento— nella biblioteca di storia.
“La sensazione che si prova è quella di fastidio, quel forte fastidio che provi quando entrano i ladri in casa”.
Avendo sempre frequentato la biblioteca senza timori simili, non si è preoccupata di allontanarsi e lasciare il computer sul tavolo per venti minuti. Sfortunatamente quel giorno un ragazzo è riuscito ad entrare con un grosso zaino, si crede grazie all’aiuto di un complice, il quale si sarebbe premurato di distrarre l’unica bibliotecaria in servizio quella mattina con il pretesto di fare una ricerca sull’OPAC.
Assieme a lei vi era anche un dottore di ricerca che in passato ha lavorato in Statale e a cui è stato sfilato dalla borsa un PC, ma non l’iPad.

L’ingresso della biblioteca di storia è dotato di una telecamera.
Dopo la denuncia, la polizia è entrata in possesso dei filmati, che tuttavia non sono serviti ad identificare i due.
Alessandra Carta, direttrice di questa biblioteca, sostiene che il fenomeno da metà 2013 sia in crescita. E quando le chiedo quale provvedimento crede possa essere efficace, risponde: “Una collega che utilizzi una postazione di lavoro in sala studio per qualche ora durante la giornata potrebbe funzionare da deterrente”. Per quanto riguarda l’aumento del numero di telecamere invece “è giusto che vi siano delle telecamere, ma sul patrimonio e non sulle persone. Questi sistemi non servono a trovare chi è stato, i filmati servono alla polizia soltanto quando qualcuno viene fermato e il volto coincide con quello delle riprese”.

Intanto settimana scorsa sono stati acquistati degli armadietti nuovi —ora ottanta in tutto— installati per garantire ad ogni utente la possibilità di depositare gli oggetti più preziosi.
Il fatto che un controllo così serrato all’ingresso possa essere stato eluso ci porta dritti al discorso sicurezza: quasi tutti gli intervistati rimarcano il fatto che in via Festa del Perdono non ci sia alcun controllo degli ingressi, a tal punto che un mendicante è difatti un habitué del chiostro Ghiacciaia.

In chiostro
E proprio nel chiostro Ghiacciaia, il 25 febbraio appena dopo pranzo è stata derubata Giulia.
Con i soldi della laurea e con quelli messi da parte grazie a lavori saltuari, aveva deciso di comprare un Sony Vaio da 13 pollici del valore di circa 800 euro. Sono bastati pochi secondi perché le venisse sottratto dalla borsa che aveva affianco, leggermente aperta.
Giulia ha denunciato il furto alla polizia di Lecco, dove abita, ma ad oggi nessuna notizia del ladro.

In aula

Secondo le testimonianze che ho raccolto, il maggior numero dei furti che avvengono nella nostra università interessano le aule.
Sembra chiaro che siano proprio questi i luoghi in cui è più facile distrarsi, sia per la confusione che si crea al momento dell’uscita dalle aule, sia per lo stato d’animo in cui versano gli studenti il giorno dell’esame.
Proprio di tre giorni fa è la notizia di un furto avvenuto in aula 411 alla fine della lezione: il ragazzo derubato ha raccontato sulla pagina di Spotted Unimi di aver lasciato il cellulare sul banco sopra i libri, di essersi voltato un attimo e di non essersi accorto di ciò che stava avvenendo.
Alla stazione di polizia hanno detto che si tratta del quindicesimo furto in questo mese.

Anche a Silvia hanno rubato il suo iPhone al cambio dell’ora, mentre a Chiara è successo durante l’esame di storia contemporanea in un’aula del terzo piano.
Il professore era uscito per la pausa pranzo e gli studenti in aula erano pochi. E’ bastato che si allontanasse pochi minuti con la sua amica per andare nel bagno vicino all’aula perché le rubassero il cellulare e il portafoglio dallo zaino che aveva lasciato sul banco.
Sembra che i suoi colleghi non si siano accorti di nulla ma alcuni ragazzi che si trovavano in corridoio hanno detto di aver visto un uomo sulla quarantina entrare in aula ed uscire poco dopo.

La stessa vicenda si è ripetuta per un’amica di Chiara pochi mesi dopo: ha lasciato per qualche minuto lo zaino nel dipartimento di filosofia davanti agli studi dei professori e, rassicurata dalla presenza di molti studenti, si è allontanata pochi minuti. Qualcuno ha aperto lo zaino e le ha rubato il MacBook.
“Non c’è da fidarsi di tutti” mi dice, “ma ti riesce più facile farlo di un tuo coetaneo!”.
C’è però qualcosa di particolare nel racconto di Chiara: un mese dopo ha comprato un telefono nuovo, è andata sul market di Android e ha notato che il suo vecchio cellulare rubato era ancora associato al suo indirizzo e-mail, questo può voler dire che il ladro in questione non fosse molto esperto.
Chiara ha contattato Google per localizzarlo, ma non è stato possibile.

Sempre durante un esame, questa volta scritto, anche Marta, la nostra redattrice, è stata vittima di un furto: al ladro è bastato il lasso di tempo necessario a consegnare il foglio d’esame per aprire lo zaino che aveva sotto la sedia e rubarle il portafogli.

Videosorveglianza sì, videosorveglianza no

La maggior parte dei ragazzi che ha subìto questi furti non ha celato un forte desiderio di maggiore sorveglianza all’interno dell’università e dei luoghi di studio, soprattutto attraverso l’installazione di telecamere. Tuttavia, come mi è stato detto da Laura Frigerio, e poi confermato da Alessandra Carta, sembra che i filmati non possano portare concretamente all’identificazione del ladro dopo il singolo furto.
Ciò che invece appare chiaro nella maggior parte dei casi, anche se purtroppo non in tutti, è che una maggiore attenzione di noi studenti porterebbe alla drastica diminuzione di questi spiacevoli episodi.

Colpisce la risposta di Andrea: “Non vorrei altre telecamere, sono stato cresciuto con una concezione diversa. Mi piace l’idea che l’università la facciano gli studenti e che siano loro l’espressione più autentica del suo spirito. Non voglio che sia il triste avanzo di divieti e imposizioni.”

Maria C. Mancuso
@ MariaC_Mancuso

Foto di Federica Bonalume

Maria C. Mancuso
Scrive di agricoltura, ambiente e cibo. Mal sopporta chi usa gli anglicismi per darsi un tono.

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