Del: 30 Aprile 2014 Di: Redazione Commenti: 0

Lifehouse. Questo avrebbe dovuto essere il nome dell’ambizioso progetto partorito alla fine del 1970 dalla mente vulcanica di Pete Townshend, chitarrista e leader degli Who: una rock-opera, una fusione tra musica e teatro, suonata dal vivo dagli stessi Who per replicare o, se possibile addirittura superare, l’incredibile successo ottenuto con Tommy solo un anno prima. Avrebbe dovuto trattarsi di una sorta di romanzo di fantascienza sulla realtà virtuale in cui un adolescente affrontava una serie di avventure alla scoperta della musica rock. Avrebbe dovuto, appunto. Perchè il progetto, così complesso ed innovativo, non doveva essere ben chiaro neanche nella mente di Pete, che faceva fatica a farsi capire sia dagli altri membri della band che dai collaboratori —soprattutto da Lambert, che tanto lo aveva appoggiato nei suoi lavori— per quanto riguardava le linee guida del progetto.
Ma di quel lavoro, ormai andato in fumo, la band non si sentì di eliminare il materiale già scritto e in parte inciso, ritenuto di buon livello. Queste tracce, riviste e messe a punto nei mesi successivi, confluirono in un LP d’impianto tradizionale, non a tema, che era destinato a diventare il migliore album mai generato da Townshend.

Who’s Next, pubblicato il 2 agosto del 1971, è certamente un album diverso rispetto alla precedente produzione del gruppo inglese. Ciò che lo rende unico è la sua complessità, dovuta al continuo alternarsi di toni e ritmi e ai diversi linguaggi musicali presenti al suo interno: si passa dalla ballata elettro-acustica “Bargain”, in cui Daltrey raggiunge quasi la perfezione, a “ Going Mobile”, dagli accordi e dalle tonalità zingaresche. Townshend, in evidente stato di grazia, abbandona i soli degli album precedenti per dedicarsi all’impianto armonico strutturale, spaziando dall’acustica al pianoforte, dal sintetizzatore alla voce, facendo confluire in questo lavoro tutte le sue capacità compositive mentre la voce di Daltrey, da sempre potente e graffiante, sa essere esplosiva e controllata. Discorso a parte merita il capolavoro prodotto nella sezione ritmica. Moon, con la sua batteria e il suo stile furente, inventa ritmi complessi e creativi, dialogando costantemente con il basso di Entwistle, che intreccia al ritmo vere e proprie sezioni melodiche.

PicMonkey Collage Who's next

La canzone che apre l’album è quell’eterno capolavoro di “Baba O’Riley”, così chiamata dal nome del santone Baba, amico del gruppo, e dal grande Terry Riley, considerato uno dei più grandi musicisti minimalisti viventi.
Dal silenzio emerge una frase al sintetizzatore, una frase forte e continua che sa però essere leggera, prima di venire spezzata dall’entrante piano, secco e preciso con i suoi accordi, e dalla batteria che lo sostiene. All’apice, giunge la voce seguita dalla chitarra elettrica che creano sonorità uniche, anticipando e dando l’imput ad uno dei più memorabili assoli della storia, eseguito al violino –per l’occasione elettrificato– dalla leggenda Dave Arbus, in un prolungato gioco di ricorsa con la batteria di Moon.

Alla fine dell’album, composto per lo più da canzoni d’amore —tra cui spiccano le bellissime ballate semiacustiche “Love Ain’t For Keeping”, “Behind Blue Eyes”— è custodito il brano manifesto degli Who:”Won’t Get Fooled Again”. Un pezzo travolgente, che inizia con un’incredibile scarica di chitarra seguita a ruota dall’organo e che risulta —almeno per quanto riguarda l’aspetto strutturale del brano— molto simile alla traccia iniziale. La tensione del brano è tutta scandita in un crescendo continuo fino all’urlo lacerante di Daltrey che, seguito dalla batteria di Moon, lascia letteralmente senza fiato.

Tracce

Lato A
1. Baba O’Riley – 5:09
2. Bargain – 5:34
3. Love Ain’t For Keeping – 2:11
4. My Wife – 3:41 (John Entwistle)
5. The Song Is Over – 6:16
Lato B
1. Getting In Tune – 4:50
2. Going Mobile – 3:43
3. Behind Blue Eyes – 3:39
4. Won’t Get Fooled Again – 8:38

Formazione
Roger Daltrey – voce
Pete Townshend – chitarra, pianoforte, sintetizzatore
John Entwistle – basso
Keith Moon – batteria
Musicisti aggiuntivi
Nicky Hopkins – pianoforte in “The Song Is Over e Getting in Tune”
Dave Arbus – violino in “Baba O’Riley”
Al Kooper – organo nella versione alternativa di “Behind Blue Eyes”
Leslie West – chitarra nella versione estesa di “Baby Don’t You Do It”

Federico Arduini

Photo credits: Lon Wenger, Kristof Robertson, HUBCAM

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