Del: 27 Maggio 2014 Di: Stefano Colombo Commenti: 0

Qualche osservazione 36 ore dopo il voto per il rinnovo del Parlamento Europeo.
Le forze europeiste hanno tenuto, più o meno. In un precedente articolo, segnalavamo come la strada più probabile per questa legislatura europea sarebbe stata una larga intesa tra le forze favorevoli tout-court all’ integrazione europea e alla moneta unica (APPROFONDIMENTO: le dinamiche tra Commissione e Parlamento), questo sarebbe stato possibile solo se PSE e PPE avessero raggiunto insieme la maggioranza più uno. Il risultato è stato ottenuto, il PSE ha mantenuto un 25,1% solo di poco inferiore al 25,8% del 2009 mentre il PPE, nonostante una flessione più evidente, si è confermato la prima forza parlamentare con il 28% dei voti. Il favorito per la carica di Presidente della Commissione è quindi il lussemburghese popolare Jean-Claude Juncker.

Juncker-(Lisbon-Council)

Il suo non essere del tutto allineato con il rigore merkeliano lo rendono un soggetto adatto a dialogare con i socialisti – ha già aperto ad alcune idee di politiche sociali proposte da Schulz e in campagna elettorale ha dichiarato in modo molto poco teutonico che ”l’Europa è amore” . Il lussemburghese ha reclamato la poltrona di Commissario non appena sono stati pubblicati i risultati, ma non è davvero sicuro di poterla dire già sua. Il nodo è squisitamente giuridico: non sta scritto da nessuna parte che, in quanto proposto dallo schieramento vincitore, sia automaticamente chiamato a formare la Commissione. Questa è una lacuna dei trattati europei, in particolare di quello di Lisbona, che nessuno ha mai colmato – forse per interesse dei governi nazionali ad avere un nesso così forte tra elezioni e potere esecutivo comunitario: i gruppi parlamentari possono soltanto fornire un’indicazione della loro preferenza. Ora il Presidente del Consiglio europeo Van Rompuy li consulterà – in questo frangente ha un ruolo simile a quello del Presidente della Repubblica in Italia – e in autunno assegnerà il mandato alla figura che riterrà più adatta, la quale dovrà poi farsi confermare dal Parlamento con un voto di fiducia.

Non è un mistero che Juncker abbia nemici anche all’interno del suo gruppo: malvisto da polacchi e inglesi, con la Merkel scorrono vecchie ruggini e differenze di vedute. In realtà la cancelliera, vista la flessione del suo partito, al momento ha meno potere per imporre un nome a lei più gradito come Barroso o Lagarde, l’impressione è che si possa impostare una trattativa su queste basi e che ci siano i presupposti perché nei prossimi cinque anni la linea del rigore venga ammorbidita da una Commissione bicolore PPE-PSE, aspettando tempi migliori sia in economia che in politica.

Detto questo, come previsto, è arrivata anche l’ondata euroscettica. La vera novità di queste elezioni è stato il sovrapporsi del confronto euroscetticismo-eurointegrazione a quello classico sinistra-destra, non sono state tanto le posizioni dei partiti a essere messe in discussione, quanto le fondamenta stesse delle istituzioni europee in primo luogo, e i sistemi tradizionali di governo più in profondità. È interessante notare come i partiti euroscettici abbraccino programmi populisti in patria, e pongano in politica interna istanze riconducibili a una base comune: basta con i vecchi governanti e basta con i vecchi sistemi di governo; sburocratizzazione, spostamento di sovranità, questioni morali e richieste di autonomia.

Nei paesi meridionali ormai il processo sembra essere ad una fase avanzata o aver raggiunto l’apice, ad esempio in Italia il Movimento Cinque Stelle ha fatto segnare addirittura un arretramento — ma in Francia il primo partito è un movimento neofascista e in Inghilterra domina Nigel Farage con lo Ukip. A ben vedere, anche per Renzi e il suo PD vale in parte questa dinamica. Il discorso di Renzi dopo la vittoria è stato molto pacato e istituzionale: ma non sono lontani i tempi in cui il fiorentino era ancora un sindaco eretico che scorrazzava per le feste dell’Unità brandendo come spada lo slogan ‘rottamare!’. L’impressione è che, nell’Europa del futuro, potrebbe imporsi chi riuscirà a coniugare un approccio popolare con un profilo istituzionale. Grillo non ce l’ha fatta, Renzi sì. Chiaro: ogni paese ha le sue dinamiche, e le strade prese partendo da questa voglia di novità sono state radicalmente differenti – si pensi la svolta a sinistra greca che ha condotto Syrza ad affermarsi come primo partito in Grecia.

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La prossima sfida per i partiti euroscettici è la collaborazione.

Come possono mescolarsi forze di chiara identità nazionalista?

Non è un caso che Marine Le Pen abbia invocato, dopo il suo trionfo, l’unione di tutti gli i movimenti di quest’area: sa bene che questa unione al momento non esiste, che sarà fondamentale per poter agire in Parlamento e che non sarà affatto facile da sigillare. Alla luce delle sue politiche divisive, il suo appello all’unità suona quasi beffardo. Farage non vuole avere niente a che fare con lei; in Italia incassa l’appoggio della Lega ma non quello di Grillo per il momento.

Del resto, la frammentazione dei gruppi europei e l’eccessiva rilevanza delle vicende politiche nazionali è sempre stata una tara per le elezioni europee. Quest’anno si è registrata la novità di Syriza, con la lista italiana ‘’L’altra Europa’’ sorta appositamente per sostenere il candidato greco Tsipras alla presidenza della Commissione: è la prima volta nella storia dell’Unione che si è tentata una dinamica così esplicitamente sovranazionale. Senz’altro il fatto è degno di nota ma anche Syriza non è in fin dei conti uscito davvero dalla Grecia: in patria, Tsipras ha potuto contare su un partito ben costruito e sulla sua esperienza di politico; in Italia, su un pugno di militanti, colti, ed entusiasti. Il fatto che nessuno si aspettasse un risultato diverso dell’Altra Europa testimonia come il processo di integrazione politica continentale sia solo all’inizio. Altro caso eclatante è la distribuzione dei voti del PSE: in Francia il Partito Socialista è naufragato fino al 14% sotto l’impopolarità del presidente Hollande, in Italia il Partito Democratico ha raggiunto il miglior risultato di sempre per un partito di sinistra, oltre quota 40%. È evidente che un simile divario non è spiegabile con una diversa adesione degli elettori francesi e italiani al programma del PSE.

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In Germania, la SPD ha scommesso sull’avere un tedesco del proprio partito candidato a guidare la commissione ed è balzata in avanti rispetto alle politiche dell’anno scorso.
Così, queste elezioni sono state presentate come una sorta di referendum sul governo: nel caso del PD la scommessa ha anche pagato. Mai un partito di centrosinistra si era aggiudicato in Italia percentuali così alte. Renzi è riuscito in quello che si proponeva fin dal suo debutto: intercettare i voti di centro e centrodestra dei delusi da Berlusconi e quelli antisistema che esitavano a confluire verso la Lega o il 5stelle; poi li ha saldati alla base elettorale del suo partito, che gli è rimasta fedele nonostante i malumori. È anche grazie a questa retata che il centro orfano di Monti è stato annichilito, invaso da sinistra, complice un’immagine isnignificante o stinta e una campagna elettorale inesistente. Grillo aveva invece scommesso sulla stessa ricetta che l’aveva portato al risultato inaspettato dell’anno scorso, ma non ha ottenuto gli stessi risultati: dopo l’esperienza fallimentare in Parlamento, contro un Renzi iperattivo sui media, la strategia della tensione non ha risuonato tra gli elettori. A suo sfavore ha giocato anche il risollevamento della Lega, che al Nord gli ha certamente sottratto qualche voto.
Infine, il centrodestra si presenta affossato quanto mai nella storia recente. NCD appare come un partito posticcio e destinato a una fine rapida se al termine della legislatura non riconfluirà in Forza Italia, dove però gli alfaniani verranno senz’altro accolti coi coltelli. Il clima nel partito di Berlusconi è pessimo. Tra rancori interni, recriminazioni giudiziarie e perdita di smalto del proprio leader, ci si è fermati al 16%. Spesso si è gridato alla fine del berlusconismo, con toni più o meno retorici: questa volta, invece, quasi tutti si focalizzano su PD e 5stelle, e nessuno parla più di Forza Italia. Ai tramonti si assiste in silenzio.

Stefano Colombo
@Granzebrew
Stefano Colombo
Studente, non giornalista, milanese arioso.

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