Del: 13 Maggio 2014 Di: Sebastian Bendinelli Commenti: 0

Sul taglio dell’Irpef e conseguente bonus di 80 euro, Renzi e il suo entourage stanno investendo tutta l’energia possibile. Il primo risultato è la monopolizzazione dei media: ad ogni intervista, talk show, conferenza stampa, il governo sbandiera il successo degli 80 euro; le opposizioni, di conseguenza, impuntano le proprie critiche sugli 80 euro; i giornali titolano sugli 80 euro, i giornalisti chiedono degli 80 euro; e così non si fa che parlare degli 80 euro. Ne è nato un tormentone politico-mediatico, tra battibecchi di tecnici contro altri tecnici, politici contro altri politici, scontrini della spesa mostrati in TV e cantanti falliti riciclatisi nei talent-show che sentono il bisogno di dire la propria qualificatissima opinione in merito.

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La rilevanza economica del provvedimento è controversa. Difficilmente sarà confermato per il 2015 e la pressione fiscale non ne risulterà intaccata; anzi, lo stesso Def (Documento economico e finanziario) approvato dal Consiglio dei Ministri prevede un incremento della stessa nell’ordine dello 0,2%. Insomma, gli effetti redistributivi e di “scossa” ai consumi non potranno essere significativi. Ci sono polemiche legate all’esclusione dei cosiddetti incapienti, all’assenza di una modulazione del bonus in base al “quoziente familiare”, alla mancanza di una riforma fiscale complessiva.

A fronte di questo scarso valore sostanziale (per cui non meriterebbe certo tutta l’attenzione che gli viene dedicata),
il taglio dell’Irpef, com’è evidente, ha un enorme valore
psicologico — ossia elettorale.


Lo stesso Renzi non ha fatto mistero di voler inviare i primi cedolini maggiorati (di cui qualche giorno fa ha diffuso la foto su Twitter) a tutti i costi entro le elezioni europee. Tra la raffica di promesse snocciolate all’inizio del suo mandato, ha deciso di puntare sull’unica che (a quanto pare) riuscirà a mantenere in tempo; probabilmente la più irrilevante, certamente la più redditizia in termini di consenso. I tecnicismi di una riforma fiscale ben ponderata fanno poca presa, sono difficili da trasformare in slogan da inserire a caratteri cubitali nelle slide di una conferenza stampa. 80 euro al mese (meglio ancora: 1000 all’anno), invece, sono soldi cash: un linguaggio universale, immediato.

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Con un leggero senso di déjà-vu, il pensiero corre a Berlusconi e alle sue ultime due campagne elettorali, impostate sullo stesso schema: prima l’abolizione dell’Ici, poi la restituzione dell’Imu (addirittura di tasca propria). Si trattava di riduzioni fiscali ugualmente tranchant, ugualmente non supportate da una riforma complessiva del sistema, ugualmente compensate da piccoli aumenti disseminati altrove. E, come per gli 80 euro, il dibattito politico ne era ostaggio.

A quel tempo, per controbattere, il centrosinistra utilizzava esattamente gli stessi argomenti che oggi si sentono in bocca agli esponenti di Forza Italia e del M5S: è solo propaganda elettorale, è compravendita di voti, le tasse in realtà aumentano. Si ha l’impressione di assistere ad una commedia già vista, ma a parti invertite; ed è vagamente nauseante.

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Ferme restando le differenze di ispirazione politica che stanno dietro ai due provvedimenti (abolizione indiscriminata di una tassa sul patrimonio immobiliare/riduzione della tassazione sul lavoro), la sostanza, soprattutto dal punto di vista della propaganda e della comunicazione, cambia poco: per la prima volta un leader di sinistra usa le stesse armi del populismo che da vent’anni sono appannaggio della destra berlusconiana. Ve lo ricordate Bersani che candidamente, in piena campagna elettorale, diceva che non sarebbe stato possibile ridurre le tasse? Ecco.

Oggi però le opposizioni non si limitano a screditare affannosamente la validità degli 80 euro: si adoperano per spararla ancora più grossa — cosa che, a due personaggi come Grillo e Berlusconi, non viene affatto difficile. E così ci ritroviamo di fronte a proposte come il reddito di cittadinanza, la detassazione completa del lavoro per le aziende che assumono giovani, l’incremento della pensione minima a 800, anzi 1000 euro. Non che siano proposte politiche malvage in sé. Il problema è che sono palesemente campate per aria.

In campagna elettorale, si sa, a ciascun contendente conviene puntare il più in alto possibile con le promesse, altrimenti lo faranno gli altri. Una volta presa questa china nessuno può tornare indietro – ossia rettificare, specificare, universalizzare, scegliere la via del discorso più complesso in luogo di quello più semplice – pena la sconfitta (vedi Bersani): si può solo giocare al rialzo, con grande danno per la collettività.

Non è detto però che sul lungo periodo questa strategia paghi. La lotta per il consenso è sempre stata condotta senza esclusione di colpi, l’onestà intellettuale è stata bandita dallo scontro politico sin dagli albori della democrazia di massa. Tuttavia, proprio nella dissonanza tra promesse e realtà ha le sue radici la crescente disaffezione dei cittadini verso la politica. Si rischia insomma di inseguire disperatamente un consenso popolare che va sgretolandosi ogni anno che passa. E la retorica della promessa finisce per logorare chi ne fa uso: vediamo oggi come Berlusconi sia costretto ad arrampicarsi su specchi sempre più ripidi pur di racimolare quei due punti percentuali in più. Il Movimento 5 Stelle continua a crescere in virtù della propria novità: nonostante l’inverosimiglianza (e spesso la contraddittorietà, la superficialità) delle sue proposte, i cittadini sono portati ad accordargli fiducia perché non ha precedenti al governo. Ma è un consenso che si sgonfia in fretta, non appena si scontra con la realtà, com’è accaduto nella Parma di Pizzarotti.

In tutto questo, ad essere danneggiata è la democrazia nel suo insieme. Le istituzioni e il dibattito interno vengono bloccati e occupati per mesi da questioni poco più che propagandistiche (com’è stato con l’abolizione dell’Imu nei primi mesi del governo Letta). Allo stesso tempo si aggrava la crisi di consenso che in tutta Europa colpisce i partiti tradizionali; una crisi che, portata alle sue estreme conseguenze, rischia di aprire la strada ad esperienze non democratiche: nella gara a chi la spara più grossa, qualcuno che la spara ancora più grossa arriva sempre.

Ci auguriamo che Renzi e il PD riescano a mettere a frutto nel modo migliore il ritorno elettorale che ricaveranno dall’operazione 80 euro. Ma il momento di rifondare su basi più serie il confronto elettorale, così da rompere questo circolo vizioso, ricucire i rapporti con l’opinione pubblica e riparare a poco a poco i danni provocati da decenni di propaganda e marketing politico, non potrà essere rimandato a lungo.

Sebastian Bendinelli
@Se_ba_stian
Sebastian Bendinelli
In missione per fermare la Rivoluzione industriale.

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