Del: 29 Maggio 2014 Di: Stefano Colombo Commenti: 2

Omaggio alla Catalogna è un ibrido unico tra un memoriale di guerra e un libro di analisi politico-storica a freddo. Spesso ne è stata criticata la scarsa visione d’insieme sulle vicende belliche, ma si può ribaltare questo appunto in un segnale di qualità. Per spiegare cosa accadde a Barcellona nei giorni delle ritorsioni comuniste contro gli anarchici è più efficace l’episodio, il singolo racconto di chi era lì, piuttosto che una digressione magari più precisa e più imparziale, ma meno penetrante. Ad esempio, le pagine sulla vita di trincea sono forse tra le migliori mai scritte sull’argomento, Orwell è prodigo di dettagli ma mai pedante, e non cerca mai alcun genere di spunto retorico — né per esaltare la propria parte, né per suscitare compassione o ammirazione. Quando descrive il momento in cui viene quasi ammazzato da un cecchino fascista, tratta l’argomento come se fosse un aneddoto da caffé (non) letterario,

“L’esperienza di esser colpito da una pallottola è piuttosto interessante e credo che meriti d’essere descritta nel dettaglio.”

catalogna

Perché leggere Omaggio alla Catalogna? Se quella citazione non vi ha convinti, eccone quattro — tra i tanti.

ORWELL. Il primo motivo per leggere un libro di Orwell è proprio Orwell. Se D’Annunzio volle rendere la propria vita un’opera d’arte, quella di Orwell è stata un atto di impegno politico e arte giornalistica, una vita costellata dal rifiuto di aderire totalmente ad un’ideologia in modo da non perdere la libertà di osservarla e giudicarla con freddezza e in qualsiasi momento, dal coraggio delle proprie azioni e dalla sveltezza a gettarsi nella mischia. Orwell rischiò la morte così tante volte per non aver tenuto la bocca chiusa e la penna tappata.

LA STORIA RACCONTATA DA ORWELL. La morte, il nostro, l’ha vista in faccia sul fronte della guerra civile spagnola. Inviato da un giornale Inglese a seguire le prime fasi del conflitto, aderisce alla causa repubblicana e nel giro di un mese si arruola nel fronte popolare tra le file del POUM (Partito Operaio di Unità Marxista). Dopo alcuni mesi di scontri viene gravemente ferito alla gola da un cecchino fascista ed è costretto per qualche settimana nel letto di un ospedale militare, per poi rientrare a Barcellona. Nel capoluogo catalano è testimone delle lacerazioni interne al fronte popolare e delle soverchierie dei comunisti filosovietici ai danni dei loro stessi alleati — tra i quali appunto il POUM. Barcellona in quel periodo è la capitale del governo repubblicano spagnolo contro la reazione franchista: al governo c’è una grande coalizione di socialisti, anarchici, comunisti, che per molti osservatori costituiscono l’esperienza rivoluzionaria più avanzata mai vista in Europa. La resistenza all’avanzata fascista è vista come battaglia ideale in tutto il mondo, centinaia di aderenti al movimento operaio prendono le armi e da tutto il continente arrivano a combattere in Catalogna; all’inizio l’Unione Sovietica sembra patrocinare la rivoluzione, ma con il procedere del conflitto diviene sempre più chiaro come proprio il partito comunista — diretta emanazione dell’URSS — si opponesse alla nascita di una democrazia popolare in Spagna. La rivoluzione non s’aveva da fare. In quel momento la politica di Stalin era quella della ”rivoluzione in un solo paese” e chi si azzardava ad opporsi veniva bollato come trozkista. Proprio questa accusa viene rivolta, del tutto gratuitamente, a chi in Spagna della rivoluzione si stava impegnando fin dallo scoppio della guerra — anarchici e altri partiti marxisti non allineati a Mosca, tra i quali appunto il POUM di Orwell. Le persecuzioni iniziano a farsi feroci e gli scontri armati sempre più frequenti, finché Orwell, ancora convalescente, è costretto a fuggire in modo rocambolesco dal paese per non cadere in mano alla polizia filosovietica.

IL MODO IN CUI LA RACCONTA ORWELL. Il punto di vista di Orwell è interessante a maggior ragione perché proviene da una fonte interna alla sinistra, ma libera e sciolta rispetto ad essa. Le vicende della guerra civile spagnola sono state un argomento spinoso da affrontare per lungo tempo, specie da sinistra appunto. La versione di Orwell dei fatti, nonostante sia solida e suffragata da molte prove, è stata respinta in particolare da quella che sarebbe dovuta essere la sua parte politica. Forse, in questa poca voglia di scoperchiare il passato, c’era un po’ di nausea all’idea di dover ammettere l’incoerenza e la ferocia del Partito comunista sovietico, sabotatore di una rivoluzione in cui il mondo operaio credeva ed era già ben avviata, e la bassezza del suo modo di agire: la propaganda contro chi si opponeva o aveva idee anche solo lievemente discostanti dal comintern è stata brutale e del tutto infondata. Ad esempio, il POUM veniva bollato come una massa di spie fasciste colluse con Franco e il fascismo — nonostante gli iscritti a questo partito fossero stati tra i primi a imbracciare le armi contro il generalissimo. Orwell ribatte a queste accuse scomponendosi il meno possibile — con aplomb britannico, si può dire — ma dimostrando con prove e documenti come siano del tutto infondate.

ORWELL, L’ALFIERE DELLA LIBERTÀ DI PENSIERO. Fa specie pensare che sia un racconto scritto a guerra non ancora conclusa, quando tutto era ancora possibile, questo dà un particolare timbro lirico alla narrazione che non svanisce nemmeno oggi presso di noi che conosciamo l’amaro finale del conflitto. Omaggio alla Catalogna è un’opera divulgativa e d’informazione, prima di essere un’esposizione di pensiero libertario e un’analisi politica: queste cose sono concentrate soprattutto in fondo al libro, nei due capitoli di appendice successive alla cronaca pura. È un libro concepito non tanto per i posteri, quanto per i contemporanei. Ironicamente, la sua fortuna sarà solo successiva. La prima pubblicazione è datata 1938, tra mille difficoltà e ostacoli posti, tra gli altri, dal Partito comunista inglese. Inizierà a essere oggetto di attenzione solo dopo il termine della seconda guerra mondiale. Orwell aveva mostrato di saper vedere lungo e chiaro con la sua analisi dei totalitarismi ed era stato quasi profetico con la conclusione del libro, ”Tutti addormentati nel profondo, profondissimo sonno dell’Inghilterra, da cui a volte temo non ci sveglieremo mai finché non ne saremo strappati di colpo dal boato delle bombe”.
Sono state già scritte pagine e pagine su Orwell come alfiere della libertà di pensiero, tutte meritate, perché pochi nel ventesimo secolo hanno reso come lui onore alla libertà d’espressione. È facile muovere critiche all’avversario, molto più difficile è analizzare lucidamente gli errori commessi da quella che è la propria parte politica.
Secondo alcuni questa frase non è autografa di Orwell, visto che non compare in nessuno dei suoi libri. Ma ci sembra una questione poco rilevante:
“Nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario.”

Stefano Colombo
@Granzebrew
Stefano Colombo
Studente, non giornalista, milanese arioso.

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