Del: 9 Giugno 2014 Di: Alessandro Massone Commenti: 0

“La priorità è il lavoro.”
Come può non esserlo. Ma mentre troppi si perdono in facili critiche sulla mancanza di risultati, pretesa francamente ridicola nei tempi ristretti in cui il nuovo governo ha operato, quello che si è visto latitare è proprio l’impegno.
Sentir dire “la priorità è il lavoro”, in Italia, non riempie nemmeno di troppe speranze e confidenza. Anzi, considerate le posizioni in costante mutamento su articolo 18 e ruolo dei sindacati dell’attuale Presidente del Consiglio, è facile essere molto preoccupati. La priorità è il lavoro, ma quali sono queste “priorità”?

I presupposti che lascino sperare in una politica a difesa delle necessità delle fascie piú deboli ci sono: gli 80 euro mensili ricavati dal dl Irpef, su cui si è fatta ironia, su cui si è sputato in allegria, costituiscono un passo senza precedenti storici in Italia per la redistribuzione della ricchezza verso il lavoro dipendente.
Malgrado la situazione conflittuale con i sindacati, costellata da dichiarazioni dal sapore borderline fascista, il Governo Renzi ha dimostrato, perlomeno, di essere cosciente della necessità di agire in modo rapido sulla crisi, merito che non si può certo riconoscere ai governi che l’hanno preceduto.

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Individuare una soluzione per la disoccupazione di massa è particolarmente difficile perché la situazione economica, sempre più precaria, in cui versano molte famiglie allarga il bacino di persone in cerca di lavoro mentre il mercato si restringe. L’ascesa del tasso di disoccupazione giovanile negli ultimi due anni è stata causata principalmente da un influsso poderoso di ragazzi in cerca di un lavoro per assistere le proprie famiglie.
La Storia insegna che l’unica soluzione è un approccio molto piú diretto delle tanto attese riforme per facilitare le assunzioni. Non si può pretendere che riforme sanino il mercato, è imperativo creare lavoro.
Nel 1933, durante il terzo anno di depressione in seguito alla crisi del ’29, nel contesto delle alphabet agencies del New Deal di Roosevelt è inaugurato il dipartimento della Public Works Administration. Con un budget biennale di 6 miliardi di dollari (per un investimento annuale pari al 5% del PIL statunitense), il PWA è istituito per impiegare lavoratori specializzati e costruttori nel contesto di opere su larga scala.
In seguito agli sforzi della PWA, viene attivata nel 1935 anche un’agenzia per la Work Progress Administration. Finanziata da un investimento di partenza pari al 6.7% del PIL, opererà per nove anni, con un costo totale di 13.4 miliardi di dollari. La WPA è concentrata ed esclusivamente dedicata alla realizzazione di lavori su piccola scala, locali, e per statuto impiega soltanto lavoratori precedentemente disoccupati.

Lo sforzo titanico degli Stati Uniti nel finanziare PWA e WPA produrrà nell’arco di 10 anni piú di 12 milioni di posti di lavoro e sarà fondamentale nell’accompagnare le famiglie attraverso la crisi.

Nei mesi precedenti alle elezioni sono state molte le forze politiche che hanno agitato la bandiera di un “New Deal europeo”. Poche parlano in realtà della stessa cosa, e, sebbene nelle ultime settimane l’idea si stia facendo sempre piú popolare tra i politici dei Paesi piú in crisi dell’Unione, nessun partito si è ancora esposto con numeri, né con una vera progettualità.
Lo sforzo piú encomiabile viene sicuramente dal gruppo della iniziativa di cittadini europei New Deal 4 Europe.
Il piano proposto dalla ICE prevede un investimento di 400 miliardi di euro in tre anni, perfetto parallelo con quello americano degli anni ’30 calcolata l’inflazione. Il gruppo sostiene che l’investimento potrebbe essere coperto da una tassa sulle transazioni finanziarie, una carbon tax e un euro project bond. L’iniziativa ha incassato un appoggio trasversale che va da Syriza all’ALDE passando per i Verdi francesi e tedeschi. Martin Schultz ha apertamente dichiarato simpatia per il progetto — ma ha poi rifiutato di firmare invocando “le difficoltà della campagna elettorale”.

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Anche ignorando i nasi storti dei fondamentalisti religiosi contrari all’investimento in deficit, è comunque impossibile leggere il progetto dell’ICE senza questionarne la fattibilità.
È inoltre vistosa la mancanza dell’edilizia tra i settori in cui il piano dovrebbe investire. Forse colpevole di essere poco sexy, l’edilizia fu la pietra fondante del New Deal americano, garantisce il facile accesso ai fondi da parte di lavoratori non specializzati e permetterebbe anche ai Paesi piú tassati dalla crisi di vedere le proprie strutture fuggire dalla decadenza.
A onor del vero, un progetto di edilizia chiaramente ispirato allo sforzo della WPA è stato punto cardine del programma del Partito Democratico dal 2009 al 2013, sotto il nome di “Piccole opere e manutenzione”. Del piano, ambizioso e di buonsenso, si sono però poi perse le tracce.

L’emergenza del lavoro e l’avanzata di movimenti populisti rende l’attivazione di politiche sul lavoro una necessità vitale sia per le forze che comporranno la grande alleanza europea che per l’organizzazione democratica stessa dell’Unione.
Quasi un indicatore del DEFCON, finalmente percepito da tutte le parti politiche, un appoggio in extremis è arrivato oggi da Renato Brunetta di FI — certo che si troverà un accordo bipartisan in Italia per un New deal europeo.
Malgrado i dubbi di Schultz, con la nuova posizione di primo partito all’interno del PSE il PD ha influenza sufficiente per allineare i socialisti a verdi, liberali e eurocomunisti verso un progetto comune, sempre se “La priorità è il lavoro.”

Alessandro Massone
@amassone
Alessandro Massone
Designer di giorno, blogger di notte, podcaster al crepuscolo.

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