Durante il secondo dopoguerra, tra gli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta, la cultura americana esplose e autori di alto profilo, poeti, ma anche romanzieri popolari divennero improvvisamente famosi e diffusi in tutto il vecchio mondo, formando un calderone dove diversi punti di vista, gusti e cure estetiche si mescolarono in un unico cemento, ponendo le fondamenta di quella che, nel bene e nel male, è la cultura occidentale contemporanea.
In URSS, per contrastare la censura del regime, si diffonde il fenomeno dei самиздат, i samizdat, le auto-produzioni. Romanzi, poesie, ma anche saggi, articoli e svariati documenti altrimenti segreti. Amanuensi del ventesimo secolo, gli autori di samizdat copiavano pazientemente con macchina da scrivere e molteplici fogli di carta carbone le opere che volevano diffondere presso i loro contatti. Così il pubblico si allargava poco alla volta, attraverso conoscenze personali e l’impegno di ogni anello della catena a diffondere quella cultura, quelle idee, quelle opere d’arte.
La circolazione dei samizdat era piú vasta di quanto oggi si potrebbe immaginare, e da una prima pubblicazione attraverso il passaggio di mano in mano e un lavoro di copia incessante, si arrivava spesso a coprire un pubblico superiore ai 20.000 lettori.
Pietre angolari della cultura contemporanea di cui sopra sono senz’ombra di dubbio alcuni generi musicali, prima il pop e il jazz, poi il rock — la musica diventa la lingua della cultura mondiale nascitura. La musica dell’Occidente scavalcò la cortina di ferro per approdare nella Russia sovietica, ma copiarla e distribuirla fu enormemente piú complesso che produrre piccoli volumi samizdat.
La soluzione arrivò dall’Ungheria, dove i controlli della censura erano meno puntuali e oppressivi. Nacquero così i roentgenizdat: usando macchine costruite per copiare registrazioni militari, i russi Ruslan Bogoslowskij e Boris Taigin scoprirono di poter creare bootleg di vinili su fogli sottili — ma il costo dei materiali rendeva l’operazione proibitiva, fino a quando Bogoslowskij non ebbe un’intuizione rivoluzionaria.
Ritagliando lastre di radiografie e scavando un buco al centro, spesso bruciato via con una sigaretta, era possibile creare registrazioni musicali riproducibili da qualsiasi giradischi. La materia prima era gratuita, perché in seguito ad una serie di incendi devastanti una legge aveva vietato agli ospedali di immagazzinare sul lungo periodo qualsiasi tipo di materiale cartaceo. Erano felici di potersene liberare in blocco quando, senza dare troppe spiegazioni, i due giovani russi bussavano alla porta chiedendo radiografie.
Il mercato nero dei roentgenizdat esplose, e la musica occidentale si diffuse rapidamente in tutta l’Unione Sovietica. Nasceva così la scena Rock on the bones, una rete di cultori che si scambiavano i contatti dei rivenditori e alla ricerca continua di nuove uscite.
I roentgenizdat costavano al massimo un rublo e mezzo, contro i cinque rubli di un disco vero. Si consumavano in pochi mesi e la qualità dell’audio era misera. Chi era colto in possesso di musica “ideologicamente straniera” rischiava la prigione e veniva immediatamente licenziato, ma i giovani e gli intellettuali non potevano privarsi di quelle registrazioni proibite.
Bogoslowskij venne arrestato tre volte, nel 1951, nel 1957, e nel 1961. Gli anni di carcere, tre per ogni condanna, non lo quietavano e scontate le pene ritornava sempre alla propria produzione clandestina. Nel 1958 la censura decise di agire drasticamente e dichiarò espressamente illegali i roentgenizdat. Fu tutto inutile, il mercato si era ingigantito e il formato era così diffuso che i bootleg si trovavano in tutte le case, oltre ad essere usati anche nelle radio per materiali non illegali.
La fine delle registrazioni su radiografia non arriverà dalla censura, ma dalla tecnologia, con le musicassette e magnitizdat, che garantivano facilità di riproduzione più elevata.
La riproducibiltà tecnica dell’arte è una tematica particolarmente affascinante per la filosofia estetica. È solo tramite la riproduzione che l’arte vede finalmente garantita per se stessa la vera, genuina, immortalità.
È particolarmente intrigante vedersi scontrare, nel medium tecnologico che garantisce alla musica l’eternità, l’immagine della nostra fragilità, sotto gli strati della vita: le immagini spettrali delle radiografie, insieme al suono deformato dei roentgenizdat, formano una metafora crudele della nostra situazione temporanea e fragile di fronte all’infinito dell’Arte.
Benjamin più volte sottolinea come il valore di un’opera nel proprio contesto storico sia di esaltarne la leggibilità — questi dischi lievi e sottili, prodotti con materiali a cui due giovani avevano accesso, per caso e niente piú, venduti e comprati rischiando la galera, sono un’immagine perfetta dell’Unione Sovietica nel secondo dopoguerra.
Dalle difficoltà nasce l’arte e così come per i samizdat questo è uno dei rari casi in cui il medium stesso su cui l’opera è presentata si fa Arte.
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Potete ascoltare una selezione di registrazioni di roentgenizdat a questo link.
@amassone