Del: 29 Giugno 2014 Di: Maria C. Mancuso Commenti: 1

«Un etero che dice a chi è omosessuale: “Tu non puoi sposarti” è come essere a dieta e dire: “Tu non mangi”».

Parole dure che riecheggiano forti dal palco installato tra Corso Venezia e Piazza Oberdan, meta della parata dedicata all’orgoglio gay che quest’anno ha riscosso un enorme successo — secondo le stime degli organizzatori, i partecipanti sono stati 50.000.

Il ritrovo in piazza Duca D’Aosta di fronte alla stazione Centrale è alle 16, la partenza un’ora dopo. In molti arrivano con l’ombrello, e la pioggia non attende ad arrivare, fortunatamente portata da nuvole passeggere che lasciano il passo ad un timido sole —  ci si aspettava che regalasse un arcobaleno, in tinta con la manifestazione LGBT.

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Ma nessuno si è lasciato abbattere da una Milano un po’ piovosa, nemmeno il sindaco Giuliano Pisapia presente come ogni anno e accompagnato dal vicesindaco Ada Lucia De Cesaris, gli assessori Pierfrancesco Majorino e Pierfrancesco Maran.
Ad aprire e chiudere il corteo la Civica Banda del Comune.

Tante le bandiere presenti: Gay Statale, BEST (Bocconi Equal Students), Le rose di Gertrude, ovviamente Arcigay e Arcilesbica.

Molte anche le famiglie e le coppie etero, a conferma del fatto che è improduttivo scendere in strada soltanto quando ci si sente toccati in prima persona, rinchiudendosi in tante piccole élite disperse e dispersive, ma che è creando rete che si possono raggiungere i grandi numeri e quindi i grandi risultati: “i potenti sono la minoranza, la radicalità è la maggioranza e la radicalità siamo noi” grida a gran voce una tra gli organizzatori dal palco.

Durante la marcia il corteo saluta i curiosi che si affacciano dai balconi delle proprie case per esprimere vicinanza e solidarietà, spesso con in mano uno smart phone pronto per qualche scatto. In via Settembrini però i saluti si fanno più rumorosi per un Lele Mora divertito che ricambia le molte attenzioni rivoltegli.

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Non sono mancati ovviamente i performer con i loro abiti scintillanti ed eccentrici, i clown, i trampolieri e un solo carro, quest’anno, per un Gay Pride più ecologico ed economico.

Dopo aver percorso via Vitruvio, via Settembrini, via Doria, via Palestrina e Corso Buenos Aires alle 19 circa il corteo arriva in Piazza Oberdan: sul palco, assieme gli organizzatori, anche una interprete LIS (lingua italiana dei segni) — unica spesa a carico dell’amministrazione comunale oltre al test ISI di prevenzione contro le malattie sessualmente trasmissibili a cui ci si poteva sottoporre in piazza.

Subito dopo i saluti e le presentazioni viene ricordato l’artista e partigiano antifascista Aldo Braibanti, morto il 6 aprile scorso all’età di 91 anni, accusato e arrestato nel 1967 per delitto di plagio – unico caso nella storia italiana – per aver obbligato due diciannovenni, Piercarlo Toscani e Giovanni Sanfratello, ad intrattenere una relazione omosessuale con lui, prosciolto nel 1969 solo perché ex partigiano.

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Inevitabili gli applausi quando Pisapia prende la parola e, ricordando che Milano ha fatto la sua parte con la Casa dei diritti e il Registro delle unioni civili, aggiunge che ora il prossimo passo spetta al Parlamento che “deve avere molto coraggio” e “deve fare passi da gigante” — il riferimento è alla proposta di legge del governo Renzi che verrà discussa a settembre e che dovrebbe vedere l’introduzione delle unioni civili per le coppie gay.
Ricorda poi l’articolo 3 della Costituzione, che mi sembra doveroso riportare per intero:

«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.»

Il suo discorso termina con un riferimento a chi non era presente alla manifestazione: «Diciamo a chi non c’è: avete perso una grande occasione!».
Chiara l’allusione: la Lega quest’anno sembra aver detto di sì al Pride, il quale ha ottenuto dunque il patrocinio non solo del Comune di Milano ma anche della Regione Lombardia, senza però che il Presidente della Regione Maroni e il Presidente del Consiglio Regionale lombardo Raffaele Cattaneo partecipassero né rispondessero all’invito.

Maroni, durante il Gay Pride, si trovava in Duomo con i cardinali Scola e Tettamanzi per le celebrazioni seguite all’ordinazione di tre nuovi vescovi della diocesi di Milano: Franco Agnesi, Paolo Martinelli e Pierantonio Tremolada.

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La parola va poi a Marco Mori, il presidente di Arcigay Milano, che a gran voce lancia una proposta:
chiudere il registro dei matrimoni per tutti.
Per quanto impossibile da realizzarsi, chissà, forse potrebbe essere l’unico atto talmente clamoroso da far sì che in Italia il Gay Pride non resti soltanto una giornata di festa e di rivalsa che ha inizio e fine in una giornata – troppo spesso presentata come un corteo di pervertiti vestiti in maniera oscena desiderosi soltanto di attenzione mediatica fine a sé stessa.

Se siamo un Paese in cui ognuno guarda al proprio interesse ristretto e lo difende con le unghie e con i denti contro i “cattivi” (e peccatori, perché la morale cattolica ce l’abbiamo nel sangue) che vogliono ottenere gli stessi diritti — come se questi fossero in numero sufficiente soltanto per coprire una quantità fissa di persone— forse provare lo choc di vedersi negati i diritti che un matrimonio civile tutela da qualcuno che si mette in una posizione di superiorità morale ingiustificata, e dall’alto si fa giudice e boia, può riuscire a smuovere finalmente le acque limacciose dove sono invischiati i nostri pseudo-valori.

Maria Catena Mancuso
@MariaC_Mancuso

Foto di Gaia De Luca

Maria C. Mancuso
Scrive di agricoltura, ambiente e cibo. Mal sopporta chi usa gli anglicismi per darsi un tono.

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