Del: 4 Giugno 2014 Di: Giulia Pacchiarini Commenti: 0

Una è già troppo. Così recita la campagna voluta dalla Casa Bianca per sensibilizzare la popolazione, soprattutto quella universitaria, riguardo alla recente ondata di violenze sessuali avvenute tra le mura dei college statunitensi.

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Una è già troppo, eppure sono state necessarie le proteste di ben 23 studentesse della Columbia University –23 vittime di stupro e molestie – per avviare la mobilitazione delle istituzioni e dell’opinione pubblica.
Dopo essersi rivolte per mesi alle autorità universitarie per richiedere, almeno, che i loro aguzzini venissero allontanati se non espulsi, a metà aprile le ragazze hanno deciso di presentare una denuncia federale di oltre 100 pagine, a carico dell’università. Questa è stata formalmente accusata di violare il titolo IX, che protegge gli studenti dalle discriminazioni di genere tra cui la violenza sessuale, il titolo II che tutela gli studenti con disabilità, e soprattutto la Legge Clery che obbliga college e università a divulgare informazioni riguardanti reati avvenuti nei campus.
È stata immediatamente aperta un’inchiesta, ma a questo punto non bastava più, perché per troppo tempo tutto era stato messo a tacere, ed ora tutto doveva essere mostrato. Costituendosi nell’associazione “No Red Tape” le ragazze hanno iniziato a fare rumore, coinvolgere compagni, amici, sconosciuti, e cartelli e striscioni sono comparsi tra le aule e nei corridoi, congressi e riunioni sono state interrotti, nei bagni è stata appesa la lista degli stupratori seriali — così definiti perché molte ragazze si sono ritrovate a denunciare gli stessi violentatori — altro punto a sfavore dell’Università, che prendendo gli opportuni provvedimenti avrebbe potuto scongiurare ulteriori violenze.

Uno dei simboli principali di questa protesta è lo scotch rosso, che rappresenta il silenzio imposto dalle università, e che campeggia in questo periodo nelle cerimonie di laurea in cui gli studenti lo indossano sulle toghe e lo appiccicano su ogni parete disponibile.

no red tape

Rapidamente si sono alzate le voci di molte altre vittime, provenienti da altrettante università, partendo da Princeton per arrivare a Dartmouth, tutte accusate di aver insabbiato le vicende. Ha avuto particolare risonanza la vicenda di una studentessa di Harvard che, dopo nove mesi passati a inviare e-mail alla direzione dell’Università e agli altri organi competenti, si è arresa, denunciando il suo caso in un’ultima lettera aperta “Cara Harvard, hai vinto tu” in cui viene descritta la violenza subita e gli effetti che ne sono derivati — la depressione, gli attacchi di panico, l’assenza di provvedimenti presi dall’università numero uno al mondo. Il suo violentatore infatti non ha ricevuto nemmeno un rimprovero, anzi, i due si incontravano quotidianamente negli spazi comuni come la mensa, la lavanderia, la biblioteca. È proprio per evitare lo strazio del continuo contatto con un tale individuo e l’umiliazione che ne derivava, che la studentessa si è trovata costretta ad abbandonare gli studi ad Harvard.

Lei se ne è andata, lui è rimasto, lei non si laureerà ad Harvard, lui forse sì, ma lei è la vittima, lui lo stupratore.

Il governo statunitense dopo l’iniziale indignazione, non è rimasto a guardare, ma ha costituito una task force copresieduta dal vicepresidente degli Stati Uniti e da un consiglio composito, che ha inaugurato la propria nomina mettendo sotto inchiesta una cinquantina di università, il cui risultato è liberamente consultabile sulla pagina web NotAlone.gov, dove sono presenti anche consigli per le vittime — come comportarsi, quali sono i loro diritti e una lista aggiornata di associazioni a cui rivolgersi, tra cui anche alcune che offrono consulenze con avvocati disposti a seguire i diversi casi pro bono.

Nonostante i provvedimenti presi, o forse proprio grazie a questi, continuano a venire alla luce casi di violenza e discriminazione, uno degli ultimi ha avuto luogo nell’American University, nel covo della confraternita Epsilon. I confratelli erano soliti scambiarsi e-mail – ora di pubblico dominio – riguardanti la possibilità di avere rapporti sessuali più o meno consenzienti con determinate ragazze o con le loro amiche, dichiarando spesso senza mezza termini l’intenzione di arrivare allo stupro.

In Italia, l’assenza di dormitori e di quelli che sono veri e propri village universitari, diminuisce la possibilità che casi come questi si ripetano. Nonostante questo molte università, tra cui la Statale di Milano, hanno preso precauzioni negli scorsi anni, ad esempio invitando studenti e studentesse, ma anche il  personale universitario, a compilare il questionario riguardante le molestie sessuali eventualmente subite all’interno delle mura dell’ateneo. Inoltre è stato pubblicato un Codice di condotta contro le molestie sessuali nei luoghi di studio e di lavoro dell’Università degli Studi di Milano, in cui sono descritte anche le procedure da adottare in caso di molestie.

Giulia Pacchiarini
@GiualiaAlice1

Giulia Pacchiarini
Ragazza. Frutto di scelte scolastiche poco azzeccate e tempo libero ben impiegato ascoltando persone a bordo di mezzi di trasporto alternativi.

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