Oggi si apre la mostra su Marc Chagall a Palazzo Reale e quella “sorella” al Museo Diocesano. Spieghiamo subito: a Palazzo Reale è allestita una retrospettiva che abbraccia un periodo molto lungo (1908-1985), che va dall’inizio della carriera del grande artista a Vitebsk alla sua morte a Saint-Paul-de-Vence in Francia; quella del Museo Diocesano invece, intitolata Chagall e la Bibbia non ha carattere universale ma è una mostra in cui viene messa in evidenza l’indagine sul sincretismo religioso della Gerusalemme erodiana da cui si separarono le strade di ebrei e cristiani.

Come ha raccontato Claudia Zevi, una delle due curatrici della mostra insieme a Meret Meyer, nipote di Chagall stesso, l’idea di questa retrospettiva è nata cinque anni fa quando ad una mostra sul rapporto tra il pittore nordico e le culture del sud Europa si osservò come non fosse mai stata dedicata, in Italia, una retrospettiva il più ampia possibile a uno degli artisti più amati e ammirati del XX secolo. La notizia già di per sé scalda i cuori perché dimostra come anche nel nostro Paese sia possibile mettere in pratica il concetto di Fare squadra” e unirsi per vincere grandi resistenze — infatti la maggior parte delle opere proviene o da collezioni private o da musei che sono poco inclini a concederne gli spostamenti (come “La Madonna del villaggio” del Thyssen-Borper). È anche un inno all’Europa, perché altre opere provengono dal Musees royaux des Beaux-Arts de Belgique di Brussels ed è proprio lì che la mostra emigrerà una volta terminata la rassegna meneghina (1 febbraio 2015), e non si può mettere in discussione quanto la prospettiva di una manifestazione congiunta tra due delle città più attive nel panorama culturale europeo sia stata la chiave vincente per sciogliere anche le più dure resistenze.

C’è dunque tempo per correre ad ammirare le oltre 220 opere esposte al terzo piano del Palazzo di Piazza del Duomo 12; tuttavia ci si permette di fare un accorato appello affinché non si rimandi troppo, perché è probabile che non avrete più la possibilità di vedere dal vivo le opere qui esposte poiché appartenenti a collezioni private — come i celeberrimi “Gli amati in blu” e “La nascita” o anche meno famose come i modelli per le scenografie teatrali di Mazel Tov di Scholem Aleichem o L’Uccello di Fuoco di Igor Stravinskij o ancora Aleko di Rachmaninov.
La mostra ricalca i viaggi e i cicli dell’artista, dai primi vagiti nell’atelier di Bakst a S. Pietroburgo al primo viaggio nella luccicante ma decadente Parigi di inizio secolo, in cui incontra il linguaggio delle avanguardie francesi – dal fauvismo al cubismo – per mescolarlo con elementi della doppia tradizione da cui discendeva, russa ed ebraica. Di questi anni ci sono capolavori come “Figura davanti alla volta blu”, gouache su carta mai esposta al pubblico, o “Nudo con pettine”, in cui risaltano evidenti le influenze cubiste.

Ci si sposta poi agli anni della guerra, visti e vissuti dal quel cannocchiale silenziatore che è la città di Vitebsk: in queste sale riecheggiano l’amore e la passione per l’adorata moglie Bella e gli affetti familiari – come la casa del nonno – e visioni agresti di una campagna russa colorata dalle sfumature e dai pigmenti di quella francese.
Si passa dalla raffigurazione del mondo ebraico — dove si possono ammirare un meraviglioso “Rabbino con cedro” e un altro celebre quadro come “L’Ebreo in rosso” — al rientro in Francia dopo la rovinosa fuga dalla Russia, dove avviene la definitiva trasformazione dello spazio in un non-concetto, ma solo come cornice ideale del mondo immaginifico dell’artista.
Chagall, ebreo russo trasferitosi in Francia, evidenzia il più possibile questa sua triplice tradizione da cui attinge e lo si può notare nel caleidoscopio di soggetti da lui rappresentati.
Sale al potere Hitler e le nuvole nere che sembrano essersi addensate sull’Europa sono raccontate dall’artista attraverso un cambio nell’uso dei colori, che si incupiscono, l’aumento delle ombre e soprattutto l’introduzione delle figure tragiche del Cristo e della Madonna unite con quelle dell’ebreo in fuga e del rabbino che tenta di portare in salvo i rotoli della Torah — sempre per sottolineare quella percezione di unità al principio delle divisioni che lui sente e che vorrebbe che anche il resto del mondo non si vergognasse di ammettere.

La mostra si conclude con gli anni post-bellici in cui, ormai artista famoso, Chagall si dedica con sempre maggiore passione alla pittura monumentale — ne abbiamo un esempio dal gouache “Il trionfo della musica”, maquette per il murale Metropolitan Opera al Lincoln Art Center di New York — non abbandonando mai uno stile personale e intimo, che sembra parli ancora dal cuore stesso del pittore. Sono di questi anni capolavori come “La coppia sopra Saint-Paul” e “Il circo rosso”.
Non si abbia paura della sindrome di Stendhal, in fondo è un dolce soffrire.
Jacopo G. Iside
@JacopoIside