Referendum sull’indipendenza scozzese: quasi tutti ne sono a conoscenza, molti ne parlano, in pochissimi se ne interessano davvero. Vediamo di fissare almeno alcuni punti base per capirne di più.
Un po’ di storia
Le origini del Regno di Scozia si perdono nella leggenda: secondo la tradizione il primo sovrano a regnare sugli Scozzesi fu il mitico Kenneth I, che cinse la corona nel 841 dopo Cristo. Da allora i Reges Scottorum esercitarono il proprio potere su un regno indipendente sino al 1707, quando la Scozia venne associata all’Inghilterra nel Regno Unito.
Negli ultimi tre secoli quindi Edimburgo è stata governata direttamente da Londra, ma il sentimento nazionale degli Scozzesi non si è mai sopito. Da una decina d’anni, però, nella terra di Braveheart le passioni indipendentiste si sono risvegliate con maggior vigore: nel 1997 un referendum approvò un progetto autonomista dei governo Labour di Tony Blair e nel 1999 si tennero le prime elezioni per un Parlamento scozzese dopo secoli.
Un referendum per divorziare da Londra
Da poco meno di una decina d’anni, sulla scena politica si è affermato come partito di governo lo Scottish National Party, guidato da Alex Salmond. Nel 2012 è stato firmato un accordo con Londra che fissava il referendum per l’autonomia dalla Gran Bretagna nel settembre 2014. Cioè tra poco più di una settimana.
Da allora, naturalmente, in tutti e quattro i regni non si parla d’altro. Dopo mesi e mesi in cui il fronte per il “sì” all’indipendenza era dato perdente per oltre venti punti percentuali, è di qualche giorno fa la notizia del sorpasso. Per la prima volta, nei sondaggi, i “sì” hanno superato i “no” per 51% a 49%.
Un’inezia, che però è bastata a scatenare l’isteria di tutti i media, britannici e non solo. La Regina è stata descritta come “inorridita” all’idea di una secessione di Edimburgo, mentre il governo di David Cameron ha cercato di rilanciare all’ultimo minuto, promettendo non meglio specificate “autonomie fiscali” che puzzano di panico lontano un miglio.
Quali prospettive…in Gran Bretagna
Ora, è chiaro che staccarsi da Londra rappresenta un vero salto nel buio, e la paura dell’ignoto potrebbe indurre molti a non andare alle urne o a votare in segreto per il “no”, in barba ai proclami indipendentisti.
I punti interrogativi riguardo a una Scozia indipendente sono molti e decisivi, in grandissima parte irrisolti proprio perché mai affrontati: in pochi, sinora, credevano davvero all’indipendenza come a una possibilità reale.
Ora, però, con i piani alti di Westminster che brancolano nel buio alla disperata ricerca di una soluzione dell’ultimo minuto, il valore della sterlina che precipita e i giornali che sprecano fiumi di inchiostro in editoriali in cui si implora Edimburgo di non rinunciare alla “più importante Unione politica di sempre” (l’espressione, un tantino enfatica, è del sindaco di Londra Boris Johnson), i comitati per il “sì” hanno un’occasione irripetibile. La vittoria è a portata di mano come mai prima.
L’esito del voto è apertissimo, e c’è da dubitare che l’annuncio della nuova gravidanza della Duchessa di Cambridge possa conquistare molti cuori scozzesi alla causa di Buckingham Palace.
Gli argomenti degli unionisti, che fanno leva sulle mille incognite di un’indipendenza verso cui, effettivamente, si marcia forse con troppa disinvoltura, non hanno più la stessa efficacia che avevano dieci giorni or sono.
Quelle che appena qualche settimana fa sembravano considerazioni ragionevoli e ponderate rischiano di apparire ora, agli occhi dell’opinione pubblica scozzese, come la reazione di panico di fronte a sondaggi che per la prima volta aprono davvero una prospettiva che rischia di sembrare poco meno che apocalittica.
…e nel resto del mondo
Le domande sul futuro di una Scozia indipendente sono diverse e tutte ineludibili: quali rapporti manterrà con la Gran Bretagna? Entrerà a far parte dell’Euro? Chi ne assicurerà la difesa? Basterà davvero il solo petrolio a tenerne in piedi l’economia?
Lo scenario più probabile, in caso di vittoria del “sì”, è quello di un’indipendenza graduale, con la Scozia che rimane comunque a far parte del Commonwealth e che almeno in un primo momento mantiene comunque la sterlina inglese. Molto cambierebbe alla morte di Elisabetta II: gli scozzesi potrebbero rifiutare un nuovo monarca imposto da Londra, mentre all’attuale sovrana potrebbe essere concesso di continuare a regnare anche sul Castello di Edimburgo, magari con la forma dell’unione personale dei due regni.
Più dirompenti le conseguenze all’estero: in Catalogna già si rumoreggia su un analogo referendum da tenersi per ottenere l’indipendenza da Madrid e anche nei Paesi Baschi c’è chi guarda alla Gran Bretagna come a un esempio di vera democrazia diretta.
Sono molti i rebus ancora da risolvere: basterà attendere poco più di dieci giorni e almeno alcuni di questi dubbi saranno svelati.
Giovanni Masini
@giovannimasini