Del: 28 Settembre 2014 Di: Guido G. Beduschi Commenti: 1

Questa estate mi sono ritrovato a studiare spagnolo a Comillas, un paese con meno di 2500 abitanti nel nord della Spagna, nella regione della Cantabria. La fondazione che offre i corsi di spagnolo ha sede nell’imponente palazzo della vecchia Università Pontificia; ripercorrendo la storia di questo sfarzoso edificio, mi sono imbattuto nel più famoso tra i nati in questo piccolo comune: Antonio López y López, primo marchese di Comillas, un uomo che visse una vita a dir poco straordinaria.

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Universidad Pontificia di Comillas

Antonio López y López nasce nel 1817 in una famiglia molto umile, descritta da alcuni locali ‒certo con un po’ di malevolenza ‒ di muertos de hambre (morti di fame). Il bambino, figlio di una pescadera” (pescivendola) sarebbe diventato uno degli uomini più ricchi di Spagna, il primo marchese di Comillas, Grande di Spagna e amico personale di re Alfonso XII.

Antonio López vive un’infanzia travagliata: già a due anni rimane orfano di padre, e la madre, che non riesce a badare anche a lui, lo manda da alcuni parenti in Andalusia. A soli 14 anni, il ragazzo parte alla volta del Nuovo Mondo. All’epoca era molto comune tentar fortuna in America, molti erano gli spagnoli che si trasferivano nelle colonie americane, e alcuni riuscivano a mettere da parte una più o meno grande fortuna e a tornare in Spagna: costoro in spagnolo vengono chiamati “indianos”. Giunto a Cuba, Antonio López lavora per un periodo di 10 anni come mozo para todos (garzone per qualsiasi mansione), cercando di risparmiare il più possibile.

Antonio Lopez y Lopez
Antonio Lopez y Lopez

Finalmente, a 25 anni, inizia insieme a un socio un’attività commerciale in proprio, acquistando una nave per il trasporto di farina tra Santander e Cuba; era il 1841. Dalla vendita della farina mettono insieme un non modesto capitale, che permette a López di tornare per la prima volta a Comillas, nelle vesti di un giovane e promettente “indiano”. Ritornato a Cuba incomincia a commerciare ogni sorta di bene: alimenti, oggetti di poco valore, indumenti… fino a che nel 1848 si sposa con Luisa Brú Lassú, figlia di un ricco imprenditore di origine catalana emigrato nell’isola; i soldi della cospicua dote gli permettono di fondare la Compagnia López y Cía: con un capitale maggiore López è in grado di allargare ulteriormente l’orizzonte dei suoi traffici. A seguito dell’epidemia di colera del 1853, decide di trasferirsi con la famiglia a Barcellona, dove il suocero lo inserisce nell’alta società catalana; entra in intimi i rapporti con i Güell, tanto che Eusebi Güell i Bacigalupi — passato alla storia come il grande mecenate di Antoni Gaudí — sposerà sua figlia Isabel. Lo stesso anno a Barcellona nasce suo figlio Claudio, che diverrà il secondo marchese di Comillas.

Nel 1859, a seguito di un conflitto sui confini della città spagnola di Ceuta, scoppia la guerra Ispano-Marocchina: Antonio López ottiene un contratto per trasportare i soldati e i rifornimenti in Marocco; la guerra si conclude a favore della Spagna nel 1860. Questa è la prima volta che l’Indiano di Comillas entra in affari con il governo spagnolo, ma non l’ultima: nel 1861 la sua compagnia ottiene infatti la concessione per il trasporto di passeggeri e posta tra Spagna, Cuba, Santo Domingo e Portorico.
Il suo capitale è in continua crescita, così come la sua fama, ma la svolta avviene durante un’altra guerra, questa volta combattuta proprio nella sua Cuba: la Guerra dei dieci anni. Il conflitto scoppia nel 1868, quando alcuni proprietari terrieri decidono di liberare i propri schiavi e dichiarano l’isola indipendente da Madrid. López ne è direttamente interessato: ha infatti reinvestito parte del suo capitale acquistando piantagioni di caffè, nelle quali viene utilizzata manodopera schiavile.

Alfonso XII
Alfonso XII

La guerra di conclude nel 1878 con la vittoria della Spagna sui ribelli, vittoria possibile grazie all’appoggio materiale e finanziario di López, che nel frattempo aveva ottenuto il contratto per il trasporto dei soldati a Cuba. Questo particolare non era certo sfuggito al re, che decide di ricompensare il salvatore della patria per i suoi servigi in campo militare e civile (nel 1876 aveva infatti fondato il Banco Ispano-Coloniale), nominandolo primo Marchese di Comillas e concedendogli il Grandato di Spagna, la massima dignità nobiliare del Regno, ma non solo: il re gli fa anche dono della propria amicizia. Nel 1881 e nel 1882 Alfonso XII verrà in visita al marchese nel suo nuovo feudo, portando con se la corte al completo, e di conseguenza trasformando il piccolo borgo di Comillas in capitale del Regno di Spagna per la durata dei suoi soggiorni; inoltre, per la visita del re, il marchese decide di fornire Comillas di luce elettrica, rendendola il primo villaggio di Spagna ad esserne fornito.
Nel frattempo la compagnia López y Cía, che ha cambiato nome in Transatlántica Española, conta un totale di tredici moderne navi a vapore che connettono Santader e Cadice alle isole del Golfo del Messico. Nel 1882 inizia a Comillas la costruzione del Pazzo di Sobrellano, monumentale residenza estiva del marchese, nella cui costruzione partecipa lo stesso Antoni Gaudí; tuttavia il marchese non potrà mai vedere ultimato il lussuoso palazzo modernista, morendo nel 1883.

Antonio López y López nato hijo de la pescadera muore marqués, ma nella straordinaria storia di uno dei più grandi self-made man della storia, sembra allungarsi un’ombra: per quanto taciuto dalla storiografia per molto tempo, il marchese avrebbe tratto una parte consistente della propria fortuna dal commercio di schiavi neri.

La tratta degli schiavi verso Cuba e Santo Domingo era già stata abolita nel 1817, ma, poiché non veniva rispettato, il divieto era stato ribadito nel 1835. Due anni dopo era stata invece abolita la schiavitù nella Spagna peninsulare, quanto alle colonie, invece, si sarebbe dovuto aspettare il 1873 per l’abolizione a Porto Rico e il 1886 per Cuba.

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Nel 1885 viene pubblicato La verdadera vida de Antonio López y López, un libretto scritto da un suo cognato, Francisco Brú, in cui il marchese viene descritto come un analfabeta, avido e crudele, per il quale gli affari consistevano nello sfruttamento del prossimo. Brú afferma che l’immensa ricchezza di Antonio López era dovuta quasi esclusivamente al traffico degli schiavi neri a Cuba. Probabilmente Brú aveva ottimi motivi per discreditare Lopez, che, mettendosi in affari con suo padre, aveva finto per prendere il suo posto nei traffici familiari; tuttavia queste pesanti accuse devono avere almeno un fondo di verità. Come abbiamo visto, i soldi della dote della moglie avevano permesso a López di ampliare la propria attività commerciale: in quel momento egli sarebbe stato in grado di inserirsi nel traffico illegale, e per questo molto redditizio, degli schiavi. Per quanto ormai non sia difficile immaginare che egli abbia tratto profitto anche dalla tratta, tuttavia, con le testimonianze disponibili al momento – per molti anni cadute nell’oblio – è difficile quantificare l’importanza che questa attività ebbe negli affari del futuro marchese.

Per quanto la storia sia stata censurata e riscritta, è invece sopravvissuta quella che potrebbe essere definita una leggenda popolare, tramandata di generazione in generazione a Cuba e a Comillas, per la quale López sarebbe stato un vero e proprio negriero, e ogni schiavo in vendita a Cuba sarebbe stato di sua proprietà. È anche vero, però, che la maggior parte degli imprenditori spagnoli con attività commerciali nel Nuovo Mondo ebbero direttamente o indirettamente a che fare con il traffico degli schiavi; allo stesso modo non dobbiamo dimenticare che gli schiavi erano impiegati nelle grandi piantagioni e costretti a lavorare in condizioni disumane — condizioni che comportavano un’alta mortalità e quindi la necessità di importare in continuazione nuova manodopera. È facilmente immaginabile che López, grazie alle proprie conoscenze e alla posizione del ricco suocero, si trovasse nella posizione di poter ignorare le disposizioni della corrotta amministrazione coloniale, e, quindi, di intraprendere indisturbato questa attività illegale.

Forse non casualmente, l’abolizione della schiavitù sarebbe giunta a Cuba solo tre anni dopo la morte del marchese, per volontà dello stesso Alfonso XII, che certo non avrà potuto ignorare gli interessi economici dell’amico nell’isola.

Claudio Lopez Bru
Claudio Lopez Bru

A questo punto non sarà inutile tracciare anche la storia del secondo marchese di Comillas, Claudio López Brú, nato, come abbiamo visto, a Barcellona nel 1853. Quest’uomo passò alla storia come imprenditore e patriota (prestò aiuto nella guerra Ispano-Americana del 1898), ma sopratutto come filantropo, al punto che, ancora in vita, veniva chiamato “el Santo laico” e “el Marqués humilde de la caridad”, e dal 1945 è in corso il processo di beatificazione.

Per ripercorre le pie azioni che hanno portato il secondo marchese alla soglia degli altari, voglio citare una lettera postulatoria inviata a papa Pio XII dal Caudillo Francisco Franco nel 1954, affinché il processo di beatificazione fosse accelerato. In questa lettera vengono infatti indicate le più eclatanti imprese del Santo marchese, tra le quali la costruzione a Comillas dello sfarzoso edificio del Seminario e Università Pontificia, edificato nel 1890 come “plantel (centro di studi) de selectos sacerdotes para España y América hispana”; o l’organizzazione di una titanica “Peregninación Obrera” che portò 18.000 operai spagnoli a rendere omaggio a papa Leone XIII; o ancora il generoso aiuto offerto dal marchese in occasione del “terrible terremoto que asoló (devastò) la ciudad de Messina”. Claudio López, continua Franco, aveva anche fondato l’Acción Católica de España, di cui fu presidente per 25 anni, e per la quale compì numerosi “sacrificios pecuniario”, conseguendo però con essa grandi risultati, come l’abolizione di “leyes impías (leggi empie) en materia de educación”. Aveva inoltre fondato alcune istituzioni sociali come “los círculos católicos de obreros” e il Banco Popolare di Leone XIII. Addirittura Franco afferma che al secondo marchese “deben, en gran parte, su origen las primeras leyes sociales de España”, che, molto prima che lo Stato Spagnolo le promulgasse, egli aveva già “implantadas” nelle sue imprese. “Las riquezas”, conclude il Caudillo, “que afluveron a sus arcas con asombrosa (sorprendente) abundancia, jamás se le pegaron (si attaccarono) al corazón. «Yo sólo las quieros – confesó una vez – para bien de la Iglesia y de la Patria; no perdería la paz aunque las perdiese todas».

Un santo insomma, che avrebbe sacrificato l’intero patrimonio paterno per il prossimo.

Sembrerebbe quasi che il figlio avesse cercato per tutta la vita e con ogni mezzo possibile di espiare le colpe del padre, che si era macchiato di sangue innocente nel mettere insieme un patrimonio immenso.

Guido G. Beduschi

Guido G. Beduschi
Studente di Storia, da grande voglio incastellarmi. Ho una bicicletta.

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