Iguala, Stato del Guerrero, Messico, 26 settembre.
Un gruppo di studenti della Scuola Normale Rurale di Ayotzinapa per la formazione di insegnanti protesta contro la Riforma dell’Istruzione e le discriminazioni subite quotidianamente all’interno della struttura scolastica. Docenti e studenti di Ayotzinapa affrontano da tempo attacchi da parte di gruppi paramilitari che si muovono sotto la protezione dell’esercito, ma il governo non ha mai compiuto gesti di significativa opposizione — anzi, tenta lo smantellamento della scuola, definendola “Improduttiva e combattiva”. Solo gli studenti continuano a manifestare, animati – secondo il giornalista Diego Enrique Osorno – dalla convinzione di poter cambiare le cose, idealisti ma coscienti di ogni rischio.
Durante una protesta di fine settembre prendono possesso di alcuni autobus, per tornare a casa o per barricarsi all’interno: se le versioni sono discordanti ciò che è certo è che a questo punto le forze dell’ordine intervengono e sparano indiscriminatamente sugli studenti disarmati.
Tre ragazzi vengono colpiti a morte, 56 scompaiono dopo aver denunciato l’accaduto, rapiti –secondo i testimoni – da un gruppo armato.
Contemporaneamente un secondo gruppo armato appartenente alla stessa formazione di quello avventatosi contro i 56 studenti, spara contro un autobus che trasporta una squadra di giovani calciatori, uccidendo un ragazzo. Le perizie accettano che le armi utilizzate appartengono all’arsenale detenuto dalle forze dell’ordine locali.
Tre giorni dopo alcuni degli studenti dispersi dopo gli scontri fanno ritorno a casa, non sanno nulla dei 43 compagni ancora mancanti.
Viene aperta un’indagine, 34 persone sono messe agli arresti: 22 sono poliziotti, accusati di aver collaborato con il gruppo criminale Los Guerreros Unidos; sotto inchiesta anche il Capo della Polizia e il Sindaco José Luis Abarca Velázquez, ora latitante con la moglie Maria de los Angeles Pineda.

Il 4 ottobre vengono scoperte a Pueblo Viejo – situato a 15 km da Iguala – tre fosse comuni, contengono 28 cadaveri irriconoscibili, corpi cosparsi di benzina e fogliame e dati alle fiamme.
L’identità delle vittime — secondo Iñaky Blanco, Procuratore Generale di Guerrero incaricato di occuparsi del caso — verrà resa nota tra alcune settimane con i risultati del test del DNA. Il collegamento tra gli studenti scomparsi e i corpi ritrovati, però, appare chiaro e reso ancora più incontrovertibile dal filmato di videosorveglianza di un edificio che mostra una ventina di studenti trasportati su un’auto della polizia, mentre altre testimonianze segnalano l’uccisione di 17 studenti poco lontano da dove sono state trovate le fosse comuni.
Il 10 ottobre è stato annunciato il ritrovamento di altre 4 fosse comuni nella zona circostante le prime, contengono anch’esse corpi carbonizzati e non identificabili.
Oggi le probabilità che i 43 studenti scomparsi siano stati uccisi sono alte, quelle che ad uccidere siano stati agenti della polizia, corrotti e terrorizzati dalle testimonianze che gli studenti avrebbero fornito in merito alla morte dei loro compagni nella prima sparatoria, sono ancora di più.
Al Festival di Internazionale a Ferrara qualche giorno fa, la giornalista messicana Lydia Cacho –—a sua volta arrestata illegalmente e torturata da organi della polizia perché ritrattasse le accuse alzate a seguito di un’inchiesta sul mercato sessuale di minori — ha detto: «I reati compiuti dallo stato messicano si differenziano da quelli dei gruppi criminali comuni, solo perché più disorganizzati».
In Messico infatti appare spesso sottile, se non inesistente, la linea che separa le forze dell’ordine – agenti comuni come dirigenti – dai gruppi criminali legati al narcotraffico, alla tratta di migranti o di donne e bambini per il mercato sessuale.
Il narcotraffico frutta da solo un profitto che si aggira intorno ai 13 miliardi di dollari, rafforzato dalle operazioni antidroga messe in atto dagli USA all’inizio degli anni 2000 nei Caraibi e in Florida. Il 95% della cocaina trafficata passa necessariamente dal Messico, nelle mani dei narcotrafficanti, sotto lo sguardo affamato e tollerante dello stato.
La tratta dei migranti a sua volta porta un enorme guadagno, soprattutto grazie al consolidamento dei controlli alle frontiere che obbliga immigrati provenienti da diversi Paesi ad affidarsi ai gruppi criminali, che spesso procurano loro passaporti falsi e permessi gratuiti per svolgere un lavoro di qualche mese in container dai quali usciranno solo per fare ritorno a casa, con poco denaro in più.
Il traffico sessuale, in particolare di minori, ha subito alcune battute d’arresto dopo due leggi volute dalla popolazione — che per la prima volta si esposta con proteste e rivolte di piazza — dopo le denunce fatte da Lydia Cacho, che coinvolgevano alcuni tra i personaggi più influenti del Paese come gli imprenditori Succar Kuri e Kamel Nacif Borge e i politici Emilio Gamboa Patrón e Miguel Ángel Yunes, oltre che l’ex presidente Vincente Fox, che la Cacho ha indicato come complice omertoso dei fatti.

La grossa anomalia con cui lo Stato Messicano continua a scontrarsi, però rimane unica ed enorme, si tratta dell’Impunità — l’assenza di pene effettive che condannino i colpevoli e la conseguente mancanza di scrupoli che guida le azioni di tutti coloro che si avvicinano alle realtà criminali, partendo dal basso – considerando le gang locali forme di protezione, occupazione, certezza economica – o dall’alto, da un ruolo dirigenziale, di governo, di potere. In entrambi i casi vi è la certezza che il denaro sia metodo e ragione per mantenere lo status quo, l’omertà, il profitto.
Negli scorsi giorni sono state organizzate manifestazioni per il ritorno a casa dei 43 ragazzi scomparsi, sono stati esposti i loro volti, raccontate le loro storie, gridati i loro nomi, si gridava «Li vogliamo indietro vivi», ragazzi che protestavano per il diritto all’istruzione, il diritto a non diventare a loro volta pedine di traffici di esseri umani, scomparsi per questo.
Lydia Cacho ha chiuso il proprio intervento a Ferrara dichiarando di sapere bene quali fossero gli uomini implicati nei traffici, i nomi dei narcotrafficanti, di coloro che ne traggono il maggior guadagno, li conosce, li ha riportati nelle sue inchieste perché possano essere individuati, ha dato le informazioni perché vengano arrestati, sono noti i “cattivi”. Ciò che si chiede ora però è dove si trovano gli uomini e le donne che decideranno di opporsi a loro? Dove si trovano coloro che infrangeranno le regole non scritte del crimine, dove sono coloro che smetteranno di rendersi complici? Ma, soprattutto, quanti nomi dovranno ancora essere perduti prima che vi sia una reazione?
Giulia Pacchiarini
@GiuliaAlice1