Del: 18 Ottobre 2014 Di: Maria C. Mancuso Commenti: 0

Oggi nel mondo quasi un miliardo di persone soffre la fame, 868 milioni sono denutrite e tra queste 36 milioni muoiono ogni anno.

Robert Rhinehart, un ingegnere statunitense venticinquenne, ha pensato di dare il suo contributo alla lotta alla fame creando Soylent: una bibita che dovrebbe fornire l’apporto equilibrato di tutti i nutrienti necessari al fabbisogno quotidiano, piuttosto economica — più per gli statunitensi e i Paesi dell’eurozona, meno per i Paesi che ne avrebbero più bisogno, penalizzati dal cambio col dollaro — e che richiede un tempo di preparazione di pochi secondi.

Secondo Rhinehart infatti, che dalla prematura età di 6 anni ritiene che cibarsi di vegetali sia più una cosa da animali che da esseri umani, mangiare costituisce non solo uno spreco di denaro, ma anche di tempo, motivi che rendono il suo prodotto necessario – a suo dire – a tutti: da una parte a chi non ha i mezzi di comprarsi da mangiare perché povero, dall’altra a chi non ha il tempo di cucinare perché troppo assorbito nelle occupazioni quotidiane.

Da dove nasce l’idea
L’idea non è nuova, ci sono varie diete liquide disponibili sul mercato, ma secondo Rhinehart Soylent è l’unico a poter sostituire interamente ogni pasto — ma non tutti gli specialisti sembrano essere d’accordo.
Il nome viene ripreso dal film fantascientifico del ‘73 di Richard Fleischer Soylent green ambientato nella New York del 2022, immaginata come una città povera e sovrappopolata.

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Il film è ispirato al romanzo del 1966 di Harry Harrison Largo! Largo! basato su una ricerca del Massachusetts Institute of Technology che nel 1972 ha ipotizzato le conseguenze della crescita incessante della popolazione sull’ecosistema del pianeta.
Nel film – uscito in Italia col titolo 2022: i sopravvissuti – a causa dell’effetto serra, la Terra è colpita dal caldo torrido tutto l’anno, ragione per cui l’acqua è poca ed il cibo così come lo conosciamo noi è scarso, appannaggio di pochi e a costi altissimi. La stragrande maggioranza della popolazione vive in condizioni di miseria e può permettersi soltanto il Soylent, una sorta di galletta che può essere gialla, rossa o verde. Il Soylent verde, ufficialmente fatto di plancton, è il leitmotiv intorno a cui ruota la trama.
Il protagonista è un poliziotto che vive con un uomo-libro suo aiutante, grazie al quale – nel tentativo di risolvere un controverso caso di omicidio – scopre un terribile segreto: il Soylent verde è fatto di carne umana.

Speriamo che Rhinehart non abbia preso il film alla lettera.

 

Cosa contiene, dove comprarlo
I due ingredienti principali sono l’amido presente nella farina d’avena e la maltodestrina, un carboidrato complesso idrosolubile. Si trovano inoltre proteina del riso, olio di colza, fibra, sodio, ferro, vitamine. Non c’è traccia di colesterolo.

soylent

Il gusto sembra essere abbastanza neutro, la consistenza molto densa.
In molti lo hanno provato e c’è persino chi è riuscito a cibarsi di solo Soylent per un mese intero — e a sopravvivere.

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E’ possibile comprarlo unicamente online sul sito http://www.soylent.me/.
I tempi di consegna sono abbastanza lunghi: si parla di un’attesa di due o tre mesi che si riduce a una o due settimane in caso di ordini seguenti al primo. Il prezzo varia in base al quantitativo: si va da un minimo di 85 dollari per ventuno pasti ad un massimo di 300 per ottantaquattro.

La nuova frontiera del cibo?
Rob Rhinehart afferma di non credere che i prodotti naturali siano per questo motivo più sani e salutari, anzi, reputa che l’idea di “vero cibo” sia “snob”. Una visione quantomeno peculiare visto che nel campo alimentare ciò che è artificiale e che quindi spesso presenta additivi, conservanti, coloranti non è assolutamente paragonabile in fatto di genuinità agli alimenti coltivati in maniera biologica, anche se in queste senso la normativa europea è decisamente più restrittiva di quella statunitense.

Soylent sarà anche “efficiente”, come sottolinea il suo creatore, ma c’è chi potrebbe trovare discutibile il fatto che un valore moderno e soggettivo come l’efficienza possa essere esteso anche al cibo, bisogno primario dell’uomo legato non solo alla mera assunzione di nutrienti ma anche al benessere psicologico, alla socializzazione, a riti e folklore che fanno parte della storia dell’umanità e del bagaglio culturale di ogni popolo.

Riflettendo in questi termini sembra si crei uno strano circolo vizioso – affatto nuovo in realtà – secondo il quale un essere vivente non sembra avere dignità di esistere se non in funzione di un’utilità, principio al centro di una visione antropocentrica del mondo in cui l’uomo è un dio che crea e distrugge in base ai propri bisogni.
Il giovane ingegnere ha dichiarato di aver voluto creare un alimento che fosse “il più indipendente possibile dall’agricoltura”, anche perché “la stabilità mondiale dipende dal prezzo del cibo”.

Creare un prodotto alimentare, perfetto nella sua composizione, in un laboratorio, può essere una soluzione al problema della fame e della pace nel mondo?
Non possiamo saperlo, ma sicuramente si può notare che sono milioni le persone che soltanto nei Paesi sviluppati lavorano nel campo alimentare, partendo dal piccolo contadino locale, passando per i ristoratori, i commercianti, arrivando agli impiegati e agli operai dei supermercati o delle multinazionali. La stabilità mondiale potrebbe forse traballare se da un giorno all’altro milioni di persone si trovassero senza lavoro.

Si pensi poi alla biodiversità, già fortemente colpita dalle politiche agricole e ambientali degli ultimi secoli -—basti citare anche solo le monocolture che diventerebbero un fenomeno ancora più esteso, ad esempio per la produzione di avena contenuta nel Soylent.
A tal proposito può tornare utile ricordare il rapporto dell’Unctad, la Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo, il “Trade and Environment Report” del 2013 che esorta invece all’abbandono delle monocolture, alla tutela della biodiversità, alla riduzione dell’utilizzo dei fertilizzanti, al sostegno della produzione locale e dei piccoli agricoltori.

Forse più ingenuamente si potrebbe ricercare una soluzione rivalutando, almeno sotto alcuni aspetti, il sistema economico e produttivo attuale che prevede la produzione di beni in funzione della creazione di bisogni non sempre reali e della spinta al consumo, all’acquisto non necessario. Questi comportamenti, lo sappiamo, portano spesso e volentieri ad un enorme spreco di risorse, come abbiamo già spiegato qualche mese fa.
Queste risorse invece, ridistribuite in maniera equa, potrebbero essere un grande passo avanti nella lotta contro la fame: nell’articolo leggiamo infatti che un terzo della produzione annua mondiale di alimenti viene gettata nell’immondizia — si tratta cioè di quattro volte la quantità necessaria per nutrire quegli 868 milioni di uomini denutriti.

In termini di sostenibilità Soylent può indubbiamente risultare preferibile a molti dei cibi che ogni giorno mangiamo, ma purtroppo o per fortuna privarcene del tutto non sembra essere l’unica via percorribile. Potremmo iniziare innanzitutto pretendendo maggiore impegno concreto dai Paesi più ricchi, i primi a poter agire ma soprattutto i colpevoli degli sprechi maggiori.

E ritornando a Soylent green, forse le parole finali del protagonista che dopo essere stato ferito mortalmente viene portato via su una barella senza poter rivelare al mondo il segreto che ha scoperto potrebbero servirci da monito: «Dovete fermare gli sprechi prima che sia troppo tardi! Dovete fermarli prima che sia troppo tardi!».

Maria C. Mancuso
@MariaC_Mancuso

Maria C. Mancuso
Scrive di agricoltura, ambiente e cibo. Mal sopporta chi usa gli anglicismi per darsi un tono.

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