Del: 30 Novembre 2014 Di: Giulia Pacchiarini Commenti: 0

1960, Africa Occidentale. Stretta tra Mali, Niger, Benin, Togo, Ghana e Costa d’Avorio, ottiene l’indipendenza la Repubblica dell’Alto Volta – ora conosciuta come Burkina Faso,“Terra degli uomini integri” – guidata dal Presidente Maurice Yaméogo, leader del movimento politico Union démocratique voltaïque (UDV) che verrà deposto qualche anno dopo nel primo dei quattro colpi di stato che segneranno la fine dei diversi governi nazionali. Ad oggi il Burkina Faso porta sulle spalle 54 anni di storia indipendente, alcuni tentativi di riforme sociali durante gli anni Settanta e 27 anni di governo di Blaise Compaoré, salito al potere il 4 agosto 1983 con un colpo di stato ai danni di Thomas Sankara – definito dal giornalista Kingsley Kobo come il Che Guevara africano e ucciso da ignoti nel 1987 – successivamente rieletto per quattro mandati presidenziali.

Come la sua salita al potere, i quasi trent’anni di governo di Compaoré non si sono mai distinti per trasparenza ed onestà ma si sono caratterizzati per la violazione di diritti umani – tra gli omicidi insoluti che lo coinvolgono vi è quello in cui nel 1998 trovò la morte il giornalista Norbert Zongo, mentre indagava sulla morte di un autista che aveva lavorato per il fratello del presidente Compaoré – corruzione e traffico di diamanti provenienti dalla Sierra Leone. Politicamente non sono passate inosservate le due modifiche costituzionali – del 1997 e del 2000 – che hanno permesso la ricandidatura e la conseguente rielezione di Compaoré.

Nonostante le accuse ventilate e i gesti realmente compiuti, però, il governo del Burkina Faso ha sempre mantenuto un buon sostegno internazionale, in particolare da parte della Francia, di alcuni stati dell’Africa Occidentale – per cui si è dimostrato un ottimo mediatore in diversi conflitti locali – e degli Stati Uniti d’America, che possiedono una base militare presso la capitale Ouagadougou — a cui evidentemente non intendono rinunciare per un paio di morti e qualche scomparso. Anni di dittatura – non eclatante, non particolarmente violenta o sanguinosa, ma pur sempre una dittatura – di cui le realtà internazionali, governative e mediatiche, si sono disinteressate per interesse personale.

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Esattamente un mese fa l’Assemblea Nazionale del Burkina Faso si trovava sul punto di proclamare una terza modifica della Costituzione nazionale – nulla di nuovo insomma – e in particolare dell’articolo 37 che indica il numero massimo di mandati concessi ad un presidente. Le modifiche avrebbero portato ad un nuovo tentativo di Compaoré di riaffermare il proprio potere e verosimilmente il presidente sarebbe riuscito a mantenersiin carica. L’annuncio del provvedimento era stato dato a giugno e la votazione dell’Assemblea Nazionale fissata per il 29 ottobre, senza grosse obiezioni interne o esterne ai confini nazionali. D’altronde il governo stesso non si aspettava alcuna opposizione, non dopo anni in cui la popolazione aveva subito senza fare troppo rumore lo stato di povertà economica, la quasi immobilità sociale e l’alto tasso di analfabetismo che mantenevano in asse il potere governativo.

Il 28 ottobre però, alla vigilia della consultazione dell’Assemblea Nazionale, proteste e manifestazioni – definite di portata storica – sono letteralmente scoppiate per le strade di Ouagadougou, con scontri tra forze dell’ordine e popolazione (circa un milione di persone secondo le stime), roghi, lancio di lacrimogeni da una parte e pietre dall’altra, richieste di sospensione dell’assemblea e di dimissioni presidenziali poi. Infatti, nonostante il frettoloso abbandono dell’ipotesi di modifica del testo costituzionale – annunciato su Twitter da Alain Edouard Traore, ministro delle comunicazioni – nel giro di 48 ore, 5 morti e alcuni feriti, le proteste hanno raggiunto e preso d’assalto la televisione di stato e messo a ferro e fuoco l’edificio del parlamento, quello del comune e il quartier generale del partito al governo – il Congrès pour la Démocratie et le Progrès (CDP) – con il sostegno di parte dell’apparato militare e in particolare del generale Honore Traore, proclamatosi presidente il 31 ottobre dopo le dimissioni di Compaoré, fuggito dal palazzo presidenziale verso Sud, al confine con il Ghana.

Burkinese celebrate after embattled Pres

Salito al governo, Traore ha immediatamente annunciato un governo di transizione che “sarà messo in piedi dopo una serie di consultazioni che coinvolgeranno tutti i partiti”; tuttavia, prima delle consultazioni sono giunte le contestazioni popolari verso il neo presidente, giudicato troppo vicino in passato a Compaoré, che è stato costretto a rinunciare al ruolo in favore del tenente colonnello Issaac Zida, autoproclamatosi anch’egli presidente di un governo di transizione tramite un annuncio trasmesso dalla stazione televisiva Television BF1. Zida ha indicato il cambio di governo come una rivoluzione popolare e non un colpo di stato e ha definito il proprio intervento necessario per evitare l’anarchia. Secondo il New York Times sono state successivamente chiuse le frontiere aeroportuali ed è stato imposto un coprifuoco dalle 19.00 alle 6.00, mentre non vi sono state più notizie dei due precedenti presidenti.

Martedì 19 novembre Issaac Zida è stato nominato primo ministro dal neo presidente Michel Kafando, dando inizio ufficialmente ad un nuovo governo, nato da una rivoluzione forse troppo breve, troppo rapida perché potesse giungere ad un risultato democratico.

Oggi, un mese dopo l’inizio della rivolta, le luci della stampa si sono spente sul Burkina Faso e sulla sua rivoluzione durata poco meno di 4 giorni, definita più volte “Rivoluzione 2.0” o “Primavera nera” con l’auspicio che altri Paesi del continente africano, piegati da dittature trentennali, potessero seguire l’esempio del Burkina Faso. Ciò che è accaduto potrebbe rimanere un episodio isolato, o movimentare le realtà governative di nazioni che si trovano in situazioni non così diverse da quella del Burkina Faso, ma sarà la popolazione a dover di nuovo protestare, manifestare, ribaltare i regimi, perché come più volte è stato dimostrato, il panorama internazionale non girerà lo sguardo e non presterà aiuti se non sentirà abbastanza rumore e, anche in questo caso, non è detto che si esponga.

Giulia Pacchiarini
@GiuliaAlice1

Credits @GettyImages

Giulia Pacchiarini
Ragazza. Frutto di scelte scolastiche poco azzeccate e tempo libero ben impiegato ascoltando persone a bordo di mezzi di trasporto alternativi.

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