«Meno male che abbiamo salvato 800 mila vite e bambini che altrimenti avrebbero avuto il Mediterraneo come culla e come tomba», tuona Renzi dal palco della Leopolda, il 27 ottobre.
«Quando vedete in piazza la Lega contro l’immigrazione, ricordate che gli sbarchi nascono dal fatto che l’intervento militare fatto con la logica della tecnocrazia e non della politica in Libia ha provocato tutto questo.».
Parole sante, quelle del Presidente, che dalla sua Firenze difende Mare Nostrum, l’operazione avviata poco più di un anno fa in seguito ai terribili fatti di Lampedusa. Trecentosessantasei morti e venti presunti dispersi inghiottiti dalle onde: la più grave catastrofe marittima consumatasi nelle nostre acque dall’inizio del XXI secolo.
Peccato che quest’alzata di scudi arrivi tre giorni prima della chiusura dell’operazione, tragicamente naufragata, anch’essa — come il fu serenissimo Governo Letta, da cui era stata creata.
Un’operazione rivelatasi un successo dal punto di vista umanitario, nonostante il numero delle vittime del mare sia cresciuto in termini assoluti — 499 in tutto, a cui si devono aggiungere 1.446 presunti dispersi, a fronte però di 100.250 persone salvate da morte certa, tra cui 22.700 minori — rispetto agli anni scorsi. Cifre da capogiro: una città di medie dimensioni.

La maggior parte dei sopravvissuti, secondo le stime circa il 70%, richiedono asilo politico.
Arrivano perlopiù dalla Siria e dall’Eritrea, molti dalla Libia e dalla Striscia di Gaza, ossia da quelle aree che, direttamente o indirettamente, alternando pugno duro e lassismo a seconda dei casi abbiamo contribuito, come Unione Europea o come Nato, a rendere un inferno in Terra.
Gli effetti di questa conduzione sconsiderata degli affari esteri si sono ripercossi sull’Europa stessa, in particolare, come ben si sa, sull’Italia, lasciata sola a fronteggiare la cosiddetta “emergenza immigrazione”, a gestire migliaia di sbarchi, a ispezionare le coste, ad arrestare scafisti e sequestrare navi. Infine, a far la conta dei cadaveri.
Mare Nostrum richiedeva un budget mensile di 9,5 milioni al mese, spesi per un’attività nell’interesse di tutti gli Stati membri e che aveva creato di fatto un vero e proprio corridoio umanitario. Ma sia l’Italia che la UE sembrano disconoscere i risultati dell’operazione, o quantomeno sembrano ritenerli superflui (dimostrando un invidiabile cinismo) — in particolare la Gran Bretagna di David Cameron, che non solo, per bocca del Ministro degli Esteri Anelay, accusa il governo italiano di aver favorito l’afflusso di migranti nel Vecchio Continente, ma non parteciperà nemmeno al programma Triton.
Questo è il nome della nuova misura adottata da Bruxelles per sorvegliare le coste meridionali dell’Unione, al via dal 1° novembre (salvo poi essere subito sospesa a causa del maltempo), cui nessuno in realtà è obbligato a partecipare. Fra i grandi assenti troviamo, appunto, la Gran Bretagna, ma nel complesso risulta difficile capire chi effettivamente contribuirà all’operazione. Alfano il 16 ottobre parlava di diciotto Stati, mentre il direttore esecutivo di Frontex (l’agenzia europea che si occupa del pattugliamento delle frontiere), Gil Arias Fernandez, faceva riferimento a ventisei iscritti, lo stesso giorno. In definitiva, stando almeno alle dichiarazioni della Commissaria europea agli Affari Interni Malmström, dovrebbero essere ben ventinove gli aderenti, tanto che le risorse disponibili sarebbero addirittura superiori alle cifre richieste, in tutto 2,5 milioni di euro al mese equamente ripartiti.
Un’inezia in confronto ai fondi impiegati dall’Italia per Mare Nostrum.
Perché?
Perché Triton ha scopi e modalità ben diverse dalla nostra operazione e non ha la pretesa di sostituirla, specialmente nella sua funzione umanitaria.

Triton nasce come operazione di controllo delle frontiere marittime, con un range d’azione limitato, ridotto alle 30 miglia marine dalla costa. I mezzi di cui disporrà (due navi d’altura, due navi di pattuglia costiera, due motovedette, due aerei e un elicottero ), nettamente inferiori a quelli dispiegati dalla nostra Marina, non saranno autorizzati a uscire in acque internazionali, dove invece è più facile che gli scafi, carichi all’eccesso, facciano naufragio, e dove si spingevano le vedette delle forze armate italiane, sino al confine delle acque libiche. In altre parole, non sono previste azioni SaR, “Search and Rescue”, proprio quelle che hanno consentito di sottrarre a un destino infausto quelle 100.000 persone.
«Aspetteremo i migranti entro le 30 miglia italiane, sperando che qualcuno arrivi vivo» commenta amaramente l’operatore di Save the Children Italia Roberto Lucarella.
Si tratta di fatto, su tutta la linea o quasi, di una nostra sconfitta; l’Italia da più di un anno chiede a Bruxelles un intervento concreto a sostegno e in sostituzione del governo nella guida di Mare Nostrum, o quantomeno una suddivisione degli oneri che un’azione efficace per la tutela delle vite di civili in fuga e per l’arresto degli scafisti comporta. Le incomprensioni fra Roma e la capitale belga si trascinano da maggio, da quando Malmström e Alfano ebbero un primo, accesissimo confronto, mentre Renzi si scagliava contro l’Europa accusandola di «salvare le banche e lasciar morire i bambini», e non si può dire che si siano risolte.
È ormai da un paio di mesi, infatti, che le istituzioni italiane si stanno dando da fare per far passare il messaggio che Triton andrà a sostituire la nostra operazione. Lo stesso Alfano ha più volte ripetuto che in forza dell’intervento di Frontex, spacciato per una vittoria dell’esecutivo e del semestre europeo renziano, Mare Nostrum sarà interrotto.
Hanno provato a smentirlo sia Malmström, sia Fernandez: Triton non può e non vuole essere una missione umanitaria, perché non ne ha i mezzi e non nasce a tale scopo; non può e non vuole sostituirsi al governo italiano, perché non le compete, perché non ce n’è la volontà politica, perché è stato già difficile coinvolgere l’Unione in un’operazione mirata esclusivamente al controllo delle frontiere, rivelando in tutta la sua drammaticità la sua frammentazione, e non è disposta a impiegare risorse e denaro ulteriori in interventi più intensivi. Hanno sottolineato a più riprese che la decisione d’interrompere Mare Nostrum è una decisione italiana, svincolata da qualsiasi imposizione dall’alto, e che lo Stato dovrà continuare a svolgere i doveri minimi di tutela delle frontiere indipendentemente da Frontex.
È da agosto che la Malmström sostiene che «Frontex Plus [in origine il nome previsto per l’operazione, nda] possa essere complementare agli sforzi italiani di Mare Nostrum. Poi, più avanti, deciderà autonomamente l’Italia come comportarsi», ed è da agosto che Alfano, dal canto suo, lancia trionfanti annunci d’imminente chiusura della stessa, proprio grazie all’avvio di Triton, come se fossimo di fronte a un passaggio di testimone.
Come emerge dai numeri e dalle dichiarazioni d’intenti, niente di più falso.

Tantopiù se si considera che Triton è il frutto della fusione di due altre missioni preesistenti con base in Italia, Hermes e Aeneas, che già lavoravano parallelamente alle istituzioni italiane, mirate al pattugliamento e al presidio dei confini europei nel Mediterraneo, e che nel complesso potevano contare probabilmente (perché le stime, vista l’incertezza degli aderenti al nuovo programma, sono di difficile definizione) su un budget superiore. Il passaggio di testimone, dunque, sembrerebbe tutto mediatico.
Facendo un riepilogo, emerge un quadro allarmante, visto e considerato che l’emergenza immigrazione è tutt’altro che terminata. A fronte di ciò, però, le istituzioni europee e italiane hanno optato per la linea politica di Ponzio Pilato; da una parte l’Unione Europea con Triton può facilmente replicare all’accusa di trascurare il problema dell’immigrazione via mare (una percentuale infima rispetto a quella terrestre e aerea), dall’altra l’Italia può dismettere senza scatenare troppe polemiche la dispendiosa operazione Mare Nostrum, permettendo al Ministro Alfano di dichiarare che «l’Europa ha fatto una scelta: scendere in mare».
Di fatto quello che si è ottenuto, in assenza di qualsiasi programma SaR, è il disimpegno pressoché totale delle istituzioni nel salvataggio dei naufraghi, eccezion fatta per coloro che riusciranno a raggiungere le acque presidiate, e anche in quel caso il recupero dei migranti non sarebbe che una modalità accessoria dell’operazione. Per quelli che verranno fermati prima dal mare, l’unica speranza rimasta è quella d’incrociare una nave mercantile di passaggio che li imbarchi e li porti in salvo a riva, i cui comandanti rischiano di essere per questo processati con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione. Inutile dire che il maggior rischio, quantomai concreto, è che la tragedia di Lampedusa si replichi periodicamente e con esiti ancor peggiori, nell’indifferenza generale.
Lo scorso maggio Matteo Renzi accusava l’Europa di «girare la testa dall’altra parte» di fronte agli sbarchi e alle morti dei migranti-profughi. Dal 2015 potrà farlo anche l’Italia?
Arianna Bettin Campanini
@AriBettin