Il Fiume Seveso è esondato a Milano intorno alle ore 15:00 del 12 Novembre. La zona sommersa è sempre la stessa, una porzione di territorio comunale che va da Niguarda fino a Viale Fulvio Testi e Viale Zara. La mattina di giovedì 13 le stazioni di Marche e Istria della metropolitana linea 5 sono rimaste inagibili e molti mezzi di superficie hanno subito deviazioni. È la settima volta quest’anno che il Seveso esonda.
I milanesi convivono con le piene del Seveso da ben prima che, nel XIX secolo, cominciassero i lavori di interramento nel tratto cittadino del fiume. Si hanno testimonianze archeologiche di un’alluvione del I secolo così furibonda da distruggere il primo porto fluviale della città, predecessore del moderno sistema dei navigli, e le inondazioni sono così radicate nella cultura popolare da aver dato origine a un proverbio – quello che battezza i pendolari brianzoli che si recano in città per lavoro vegnù giò cont la pienna. Oggi il fiume scorre intombinato per 9 dei 52 chilometri della sua lunghezza – da Bresso fino alla confluenza col naviglio Martesana, sotto via Melchiorre Gioia – e spesso torna in superficie per vendicarsi. È uno dei fiumi più inquinati d’Europa.
Si è dovuto attendere il dopoguerra perché si provasse a arginare l’ira del torrente attraverso misure pratiche, con la costruzione del canale scolmatore. Lo scolmatore è un canale artificiale che consente di sfogare le piene scolando acqua dal Seveso all’altezza di Paderno Dugnano e deviandola poi verso il Ticino: il progetto risale al 1954 ma l’opera è stata conclusa solo nel 1980. Inoltre l’idea di scaricare le luride acque del Seveso nel fiume più pulito d’Italia pare una trovata che comporti rischi ambientali al momento incalcolabili. Oltretutto è risultata inefficace nel prevenire le alluvioni a Milano: sul territorio cittadino, il Seveso è esondato quasi 100 volte da quando il canale è stato inaugurato. E se il suo lavoro può portare almeno qualche beneficio a chi sta a valle, non può fare nulla per chi sta a monte.
Le esondazioni non sono un problema esclusivo della grande città: l’8 Luglio di quest’anno il fiume ha rotto gli argini a Masciago (MB), una dozzina di chilometri a nord di Milano, e ha invaso il centro del borgo. Numerose attività commerciali sono state inondate e varie cantine invase, causando centinaia di migliaia di euro di danni e trasformando la provinciale Monza-Saronno in una singolare rivisitazione brianzola di un fiume tropicale.
“Eventi del genere” spiega l’assessore all’ambiente di Bovisio-Masciago, Luca Tomaino, “Si manifestano lungo l’asta del fiume a cicli più o meno di vent’anni”.
Il temporale che ha causato l’esondazione del Seveso si è verificato all’incirca nello stesso momento in cui a Genova il Fereggiano scavalcava gli argini, in seguito a piogge ininterrotte che nel giro di poche ore hanno scaricato oltre 30 centimetri d’acqua sul capoluogo ligure. Un evento di tale portata, se si verificasse in Brianza, inonderebbe mezza Milano.
Si stanno dunque cercando soluzioni volte a prevenire la possibile emergenza con progetti innovativi e altri estremamente datati.
L’opera più facile da realizzare è il raddoppio del canale scolmatore e la rimozione di una strettoia lunga seicento metri che, a Senago, ne limita la portata e l’efficacia. Un occlusione simile è presente nella tubazione sotterranea del fiume sotto piazzale Istria e questo intoppo costringe il fiume a cercare sfogo verso la superficie. Tuttavia, per risolvere definitivamente il problema, oggi si parla di vasche di laminazione – enormi piscine che il fiume potrebbe invadere in caso di piena scongiurando l’esondazione più a valle – che però presentano diversi problemi attuativi, non ultimo quello della collocazione.
Le vasche di laminazione proposte, in teoria da collocare a Senago, dovrebbero essere grandi quanto quattordici campi da calcio e profonde 3 metri. L’amministrazione comunale di Senago non smette di protestare per questa decisione che ritiene ingiusta, tanto più che il fiume non passa per il suo territorio ma scorre cinque chilometri a est. “Si è voluto scegliere il comune di Senago perché è l’unico della zona che, nel corso dei decenni, è riuscito a preservare le proprie aree verdi, mentre tutto intorno si è assistito a una cementificazione folle” ha sbottato il sindaco Lucio Fois. Inoltre, a detta di molti suoi sostenitori, la vasca non garantirebbe affatto la fine delle esondazioni a Milano: in questa tabella si ipotizzano le conseguenze delle piene degli ultimi anni, se a Senago fosse stata attiva la struttura.
Inoltre, è stato calcolato che un temporale molto intenso tra Senago e Milano riuscirebbe comunque a far esondare il Seveso a Niguarda, caricando il fiume solo a valle delle vasche. Sono allo studio anche altri bacini di laminazione lungo il medio corso del fiume, in particolare a Lentate e a Paderno. Un altro problema è rappresentato dai costi proibiti del progetto, che secondo stime iniziali si aggirerebbero sui 100 milioni di euro.
Ma l’incognita più grande è quella ambientale. Nell’alta pianura lombarda la falda acquifera è molto vicina al livello del suolo. A Milano si sta addirittura alzando, per una ragione curiosa: la chiusura delle acciaierie a nord della città. Le grandi industrie pescavano acqua a volontà dal sottosuolo della provincia ma alla loro chiusura, qualche decennio fa, l’acqua ha cominciato a stagnare nel sottosuolo meneghino e ad avvicinarsi pericolosamente alla superficie.
Più la falda è alta, più è difficile smaltire eccessivi carichi di piogge oltre ad esporre la medesima a rischi di inquinamento. Una grande quantità d’acqua accumulata in una singola vasca, che andrebbe peraltro a inserirsi nel parco regionale delle Groane, potrebbe penetrare il cemento e contaminare acqua di uso quotidiano.
Il Seveso, come precedentemente asserito, è tristemente famoso per essere uno corsi più inquinati del paese, sebbene la situazione sia migliorata rispetto a quella drammatica di alcuni decenni fa: la qualità delle acque è leggermente in risalita e in alcuni punti all’altezza di Varedo ci si è potuti addirittura dedicare alla pesca. Durante le piene però, a differenza di quanto ci si potrebbe aspettare, l’acqua è chimicamente più inquinata che nei periodi in cui il livello del fiume si assesta su altezze “normali”. La ragione di questo fenomeno è presto detta: gli scarichi abusivi delle industrie sul medio corso del Seveso approfittano della velocità e della quantità d’acqua nel fiume per scaricare i loro rifiuti liquidi, spesso tossici. Sarebbe questa l’acqua che andrebbe dunque riempire le vasche di laminazione.
Quello del carico antropico è Il problema, per il Seveso. Del resto il suo stesso nome pare derivare dal celtico see usum, ‘’uso dell’acqua’’, e l’industria brianzola del passato godette di grandi benefici dall’abbondanza di oro blu garantita dal fiume. Quando venne presentato il progetto del canale scolmatore, la percentuale di urbanizzazione lungo il suo corso non toccava il 10%. Oggi è superiore al 50%: anche per questo il canale non funziona come dovrebbe. Spesso le sue sponde sono state cementificate e costrette in alvei artificiali malamente costruiti. Una parete di cemento come quella qui sotto, infatti, non è solo uno schiaffo all’estetica, ma rende il fiume più pericoloso durante la piena perché accelera la velocità di scorrimento delle acque.
Questo problema è pressante soprattutto lungo il corso del Certesa, il maggiore affluente del Seveso, che in certi tratti scorrere su un letto pavimentato con un materiale simile alla ceramica. Il torrente Certesa, nonostante dimensioni e portata ridotta, è potenzialmente ancora più pericoloso. Il suo bacino comprende molte antiche rogge della Brianza occidentale, che in caso di temporale possono gonfiarsi ancora più repentinamente del Seveso stesso, contribuendo così all’imprevedibilità della piena. Alla diga di Carugo sul Certesa, durante l’alluvione di Luglio, il livello dell’acqua è salito di un metro nel giro di mezz’ora. Oggi si sta provando a rimediare almeno in parte al problema della cementificazione delle sponde costruendo scogliere più fedeli all’ambiente originario.
A questo proposito, per alleviare il carico idrico sul fiume causato dall’eccessiva cementificazione, qualcuno ha proposto di limitare le acque fognarie da riversare nel fiume attraverso un sistema di pozzi . Questa proposta rientra nella schiera di quelle, al limite della speculazione fantastica, che sono state portate avanti negli ultimi anni. Un’altra sarebbe la riapertura dei navigli in chiave di arma di difesa contro le alluvioni, visto che la rete idrografica in questo modo assorbirebbe meglio l’onda di piena. Di fatto, però, non sembrano esserci soluzioni risolutive all’orizzonte: forse è naturale, visto che per decenni si è ignorato il rischio insito nell’atto stesso di costruire a ridosso di un fiume. Una volta costruito un intero quartiere sopra un fiume che scorre a pochi metri sotto terra, è da ingenui supporre che la vita possa scorrere al riparo da complicazioni.
Inoltre la natura delle precipitazioni è in rapida evoluzione – rendendo più frequenti fenomeni improvvisi, brevi e violenti denominati “bombe d’acqua” – andando ad incrementare il potenziale esplosivo di un corso d’acqua come il Seveso, peraltro spontaneamente incline a piene brevi e brutali per via della propria natura torrentizia. L’unica azione umana facilmente attuabile in tempistiche ristrette nella condizione attuale è limitare gli scarichi abusivi che contribuiscono all’abbrutimento delle acque del fiume, punire con sanzioni pesanti quelle industrie che si macchiano di tali illeciti ambientali.
Chi volesse approfondire questa tematica, può consultare il sito dell’associazione Fiumevivo – www.fiumevivo.it – dove è possibile visionare mappe tematiche, approfondimenti e dettagli tecnici.
Stefano Colombo
@Granzebrew