Del: 16 Novembre 2014 Di: Redazione Commenti: 1

E quindi uscimmo a riveder Interstellar.
Non mi è infatti bastato vederlo una volta, me ne serviva una seconda, per un totale di 336 minuti di vita dedicati a Christopher Nolan e a alla sua ultima opera. Quasi sei ore, tre giorni di pendolarismo Como-Milano, sperando di non beccare ritardi. Non male, per essersi fatti un viaggio verso l’infinito e oltre andata e ritorno.
Interstellar merita quindi una seconda visione, come del resto ogni altro film di Nolan. Non fosse che per apprezzarlo un po’ di più, per capire meglio come funziona questa sofisticata macchina narrativa su scala intergalattica.

Intendiamoci, a livello di complessità Interstellar è quasi lineare rispetto a quell’infernale gioco di scatole cinesi che era Inception o a quella frantumazione totale della memoria che era Memento. Alla seconda volta, però, me lo sono goduto persino di più e ho avuto la sensazione definitiva di trovarmi non solo di fronte a un bel film ma addirittura di fronte a un film importante per gli anni di cinema che verranno.
E quindi Interstellar non è per niente un film INterstiziale, di passaggio, o addirittura un passo falso, come ha scritto qualche critico, poiché – al contrario – si inserisce perfettamente nella filmografia di Nolan e anzi, a volersi divertire coi nomi, si potrebbe dire che con INsomnia e INception, INterstellar va a completare una informalissima trilogia.

Anche la tematica principale del film, ovverosia il tempo, è una costante del cinema nolaniano che parte da Memento e dal suo tempo in soggettiva, individuale, per arrivare a questo Interstellar dove il tempo è quello cosmico dell’universo, il Tempo in assoluto — la sfida definitiva, per certi versi.

Da questo momento in poi, per citare una battuta del film, questa recensione è spoiler-free al 90% e quindi se siete dei puristi e non l’avete già visto, fermatevi qui e tornate fra (almeno) 165 minuti. Per tutti gli altri, come avete potuto vedere, il film – dopo uno strabordante prologo di quaranta minuti – racconta la scampagnata galattica di quattro astronauti che vanno nello spazio per salvare il mondo e la specie umana, condannata all’estinzione da una gravissima carestia che colpisce il pianeta Terra.

Le ambizioni visive di Interstellar sono molto elevate e molto colte, e il film è una titanica wunderkammer che macina decenni di fantascienza cinematografica a partire da quel 2001:Odissea nello spazio che è stato individuato come la fonte primaria a cui si è abbeverata la sete immaginifica di Nolan.
Tutto vero e tutto molto giusto non fosse che, a mio avviso, la critica ha in vari casi male interpretato questa fortissima influenza di Kubrick, presentato come un modello che Nolan non è (ovviamente) riuscito a raggiungere.

interstellar

Ed invece Interstellar si avvicina a 2001:Odissea nello spazio con tutta l’ironia e la sfrontatezza immaginabili, ribaltandone peraltro il senso complessivo. Infatti, laddove il film di Kubrick1 individuava nella macchina, nei robot e quindi filosoficamente nella tecnica, uno dei nemici mortali dell’uomo – che rimaneva sempre e comunque il soggetto principale – il film di Nolan si confronta con il problema della Natura, con le dimensioni di stelle e pianeti aldilà della cosmicamente insignificante specie umana. I robot e le macchine, al contrario, sono ironicamente raccontati – ed è qui che il citazionismo di Nolan si fa più scoperto – come nient’altro che delle propaggini fedeli dell’uomo, dei cani da guardia dal cuore di software, i nostri migliori amici, in definitiva. I conflitti interiori di Hal 9000 lasciano infatti spazio alla cieca obbedienza di Tars e Case che ricordano piuttosto, nella loro carica comica (seppur latente), il fancazzismo stellare di C-3PO e R2-D22.

Al di là dell’umorismo, ci troviamo a questo punto vicini alla tematica concettuale più importante di Interstellar: la Natura come totalità estranea ai nostri piccoli e umani troppo umani concetti di “male” e “bene”, la Natura come mamma che alle volte ci verrebbe da chiamare matrigna e maligna ma che alla fine ci è semplicemente indifferente. Ci sono una serie di battute nel film che esplicitano chiaramente questa idea.
Vi ricorda qualcosa?
A me, con un mash-up cinematografico ai limiti della blasfemia, è venuto in mente Il giovane favoloso di Mario Martone. Io infatti sul razzo di Interstellar, insieme a McConaughey, ci avrei imbarcato Giacomo Leopardi, anche solo per spedirlo a qualche milione di anni luce dall’odiata Recanati. E già però me lo vedo, con quel suo cappottino azzurrino ironia, che veste sempre nel film di Martone, a zompettare sulla superficie aliena del mondo ghiacciato del Dr. Mann, stupefatto dall’incommensurabilità e dall’indifferenza della Natura, quella vera, oltre la siepe.

E lui, lì, a quel punto, sarebbe stato il vero Guardiano della Galassia3, il piccolo Willy Wonka della malinconia con la testa sempre più vicina alla Terra a causa della gobba ma con la mente sempre più lontana, siderale, verso l’Infinito.

Qui, in questo tema, sta buona parte della grandiosità intuitiva di Nolan, nel capire cioè che è la Natura, nell’accezione più ampia possibile del termine, il prossimo grande tema con cui la narrativa — sempre nell’accezione più ampia possibile del termine (serie tv, cinema, letteratura,…) — si dovrà confrontare, una volta sospeso il discorso sull’uomo che diventa nient’altro che una specie animale fra le altre.
Insomma, che la fine del mondo a causa della tecnica, di pasoliniana memoria, non significa più niente e che semmai dovremmo parlare di fine della “specie” (altro termine deliberatamente usato nel film) all’interno di una realtà, di una Natura, che è infinitamente (letteralmente) più vasta.

La nostra è un’epoca in cui tutto ciò che riguarda la Natura sembra dover essere buono: il cibo biologico è buono perché è naturale, l’omeopatia è buona perché è naturale e, viceversa, le unioni omosessuali non sono buone poiché sono contro natura. Interstellar e ben prima Leopardi ci insegnano che, nel migliore dei casi, la Natura è indifferente.

Ed è in questa ottica molto importante la componente scientifica del film, ovverosia la consulenza del fisico teorico americano Kip Thorne, accreditato anche come produttore esecutivo4.
Thorne ha fornito ai fratelli Nolan (Christopher e Jonathan, che co-firma la sceneggiatura) l’abc della relatività grazie a cui il film si imbeve di realtà o perlomeno di possibilità.
Secondo me, quindi, sbaglia la critica che individua nell’ecologia una delle chiavi tematiche di Interstellar. Questo tema, infatti, è uno dei meno riusciti del film, abbozzato nel prologo con un lessico quasi da Hunger Games (la Piaga, i Guardiani,…) e concettualmente sottomesso al film di fantascienza che per il momento ha detto la parola definitiva sull’argomento, Wall.E5.

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=EIVMVIr3q3Y[/youtube]

Insomma, i temi più importanti di Interstellar non hanno niente a che vedere con la carestia che sta flagellando la terra o con i tempi ciclici di coltivazione del mais; al contrario, come abbiamo visto, i temi importanti del film si trovano altrove, molto lontano, nel buco nero e sferico di Gargantua, dove lo Spazio e il Tempo diventano nient’altro che concetti relativi tra gli altri, due strumenti di misurazione con cui è possibile costruire una realtà pentadimensionale.
Ed è però a questo punto del film che ho cominciato ad avvertire la sensazione di trovarmi di fronte allo spettacolo di un prestigiatore ed una battuta scambiata tra Cooper e uno dei due robot mentre stanno per buttarsi a capofitto nel buco nero non ha fatto altro che confermarmela (cito a memoria): “È stato un bel trucco!” “Adesso ce ne servirà uno speciale”.

Il trucco. Il trucco è un’altra importante cifra stilistica dell’immaginario nolaniano, quasi sempre presente a livello narrativo nei suoi continui giochi di scatole cinesi, persino nei suoi buchi di sceneggiatura di film come Il Cavaliere Oscuro – Il ritorno dove il buco era figlio del trucco che Nolan aveva provato a nascondere, come ogni buon prestigiatore, con la messa in scena che devia l’attenzione dello spettatore poiché — come insegna la Setta delle Ombre al giovane Batman in Batman Begins — “la teatralità e l’inganno sono armi potentissime”, per combattere il crimine così come per fare cinema.

Per non parlare di The Prestige, il film in cui Nolan dedicava un’intera bellissima opera al trucco e ai prestigiatori, che sono in fondo gli artigiani dello spettacolo che meno si prendono sul serio poiché sanno che “alla fine è solo un trucco”.

Nello stesso modo funziona Interstellar, nello stesso modo Nolan ironizza definitivamente con Kubrick e con tutta la fantascienza impegnata, la cosiddetta fantasofia. Nello stesso modo anche Interstellar è “solo” un trucco.

Eh già, perché, dopo che Cooper precipita nel buco nero, qualunque regista fantasofico avrebbe imbastito una solenne liturgia di immagini e sagome metafisiche per riflettere su fino a che punto si possa filmare l’infilmabile, ovverosia il centro del buco nero che è al di là di ogni nostra possibilità di comprensione ed immaginazione.

Ma anziché soffermarsi a disquisire di estetica dell’invisibile e di cinema sperimentale – temi e autori che ha già sinceramente omaggiato fino a quel momento – Nolan compie una manovra improvvisa con cui scaglia Cooper giù nel buco nero come se fosse l’ultimo grido in fatto di attrazioni in un parco di divertimento.

interstellar 2

E quindi lui torna a filmare con allegria cazzona quello che nessun Kip Thorne può avergli suggerito: e il buco, e quello che ci sta dietro, e le pentadimensioni, e le città del futuro, e anche la storia d’amore di un padre e della propria figlia, così bella nel suo essere il deus ex machina del film. Una storia di amore padre-figlia (e quindi una storia di sopravvivenza: per il ciclo riproduttivo il padre ha bisogno che la figlia sopravviva) che serve per salvare la specie umana. Tutto così romantico e tutto così darwiniano allo stesso tempo.

Da questo punto in poi, i riferimenti cinematografici cambiano e tornano a essere quelli del prologo, quella fantascienza light alla Steven Spielberg che non a caso era stato indicato come il primo regista del film.
Alcune parti del prologo e le sequenze finali dimostrano che Nolan è in grado di muoversi con agilità tra la fantasofia e la fantascienza più disimpegnata, alla J.J. Abrams.
Ed è proprio ad Abrams e agli altri registi come lui che Interstellar lascia un’importante eredità. Nolan infatti ha realizzato un “manuale di fantascienza cinematografica fino ai suoi ultimi aggiornamenti tecnici” che potrà servire ad Abrams per il suo nuovo Star Wars VII.

In conclusione, Interstellar conferma Christopher Nolan come uno dei due più grandi registi d’autore ad alto budget in circolazione6, un fenomenale talento intuitivo che capisce quasi sempre quali siano le nuove strade da andare a battere sia in termini visivi (splendido il mare verticale) sia di casting — azzeccatissimo l’astro nascente Matthew McConaughey, che di stelle ultimamente ne ha viste parecchie7 — sia di musica (fenomenale la partitura di Hans Zimmer) .

Certo, Interstellar imbocca anche qualche strada cieca, come certi buchi (non neri) di sceneggiatura che potevano essere limati un po’ meglio o come la sequenza visiva sul mondo di ghiaccio che è un doppio riciclo da L’impero colpisce ancora e da Inception.

Ma al di là di queste minuzie i 168 minuti di Interstellar ticchettano veloci sull’orologio Hamilton che Cooper regala a sua figlia Murph. 168 minuti di spettacolo in cui il prestigiatore Christopher Nolan cava dal cilindro mondi e galassie e buchi neri a profusione per poi disporli comodamente nel mondo di finzione che sta andando a creare, per la meraviglia di noi spettatori.
Purtroppo, il prestigiatore Nolan non è disponibile per feste di compleanno coi bambini e per i suoi prossimi trucchi dovremo verosimilmente aspettare ancora qualche anno, a meno di non trovare un wormhole sulla strada che ci semplifichi un po’ la vita.

Davide Banis

  1. Che visivamente è eterno ma che concettualmente è figlio del suo tempo (1968). []
  2. Non c’è bisogno di ricordare che stiamo parlando di Star Wars, vero? []
  3. Mi fermo qui: il mash-up cinematografico sta diventando blasfemo troppo blasfemo. []
  4. A scanso di equivoci, sull’argomento ho dovuto confrontarmi con qualcuno un poco più ferrato di me in materia. Per quanto mi riguarda, Guardiani della galassia ha lo stesso grado di attendibilità scientifica di Interstellar. []
  5. È una provocazione ma solo in parte. []
  6. L’altro è Tarantino. È interessante rilevare, seppur in modo del tutto estemporaneo, come i due registi partano da presupposti estetici diametralmente opposti: Nolan cerca sempre di portare alla luce i grandi temi più o meno sotterranei dell’immaginario collettivo, laddove invece Tarantino impone al pubblico il suo personalissimo e definitissimo immaginario personale. []
  7. Non devo ricordarvi che mi sto riferendo all’ultima scena di True Detective, vero? []
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