Del: 20 Novembre 2014 Di: Guido G. Beduschi Commenti: 0

Nella lingua italiana (e non solo) i nomi di alcune battaglie che hanno segnato la storia sono diventate sinonimi: Waterloo, di sconfitta totale e definitiva; Caporetto, di miserabile rotta. La battaglia di Caporetto fu certamente la più disastrosa disfatta dell’esercito italiano nella Grande Guerra. Il 24 ottobre 1917 cominciò una grande offensiva austro-tedesca (vennero impiegati addirittura 24 divisioni, 353.000 soldati e 2.518 cannoni), lo scontro prese il nome di Dodicesima battaglia dell’Isonzo — la prima della serie era stata combattuta tra il giugno e il luglio del 1915 — o battaglia di Caporetto. Le truppe austro-tedesche riuscirono a sfondare le linee italiane e costrinsero il Regio Esercito Italiano a ritirarsi fino al Piave, ad oltre 100 km di distanza, lasciando indietro 265.000 uomini, 4.882 cannoni, 3.000 mitragliatrici, 300.000 fucili, 73.000 cavalli, 1.600 autocarri, 150 aeroplani e 1.500.000 proiettili di artiglieria (un esercito insomma), oltre all’intero Friuli ed una fetta di Veneto, in tutto circa 10.000 km².

Caporetto collage

I motivi di una vittoria così schiacciante furono sostanzialmente tre: gli avvenimenti russi di quell’anno, le tattiche militari adottate dagli Imperi centrali e l’impreparazione dell’Alto comando italiano.
La Rivoluzione di febbraio (marzo 1917) aveva portato alla fine del regime zarista in Russia; il vuoto di potere, la crisi politica e le lotte intestine, che stavano per sfociare nella Rivoluzione di ottobre (novembre 1917), avevano permesso agli Imperi di concentrare le truppe sui fronti occidentali, tra gli altri: quello lungo l’Isonzo.
Il secondo motivo fu l’adozione, per la prima volta, di una nuova tattica militare – l’infiltrazione – che consisteva nel penetrare il più velocemente possibile nel territorio nemico, senza preoccuparsi di consolidare le posizioni acquisite, ma sfruttando il fattore sorpresa e il panico creato. Decisivi per la riuscita dell’infiltrazione furono l’impiego di un nuovo e più potente gas, significativamente chiamato “Gas dei fedifraghi” (Treubruchgas), e la partecipazioni di brillanti generali — ma anche di valorosi giovani ufficiali, come Erwin Rommel (la futura Volpe del deserto), che, proprio a Caporetto, si distinse per la prima volta come genio militare.
Infine, determinante per la vittoria degli Imperi fu l’incompetenza dimostrata dai comandi italiani: la sconfitta costò a Luigi Cadorna il posto di Capo di Stato Maggiore, che passò al generale Armando Diaz, futuro Duca della Vittoria. Sul Piave gli Italiani resistettero a oltranza; del resto gli austro-tedeschi vi arrivarono ormai esausti, e, passato esattamente un anno dall’umiliante sconfitta, il 24 ottobre 1918 sfondavano le linee austriache nella Terza battaglia del Piave, nota anche come battaglia di Vittorio Veneto. I fatti del resto sono noti, altrimenti, chissà, forse saremmo ancora sudditi degli Asburgo.

La scorsa primavera sono stato con mio padre per la prima volta a Caporetto. Il paese oggi si trova in Slovenia, a pochi chilometri dal confine italiano, e conta poco più di quattromila abitanti. Caporetto ha fatto parte del Regno d’Italia fino al termine della Seconda Guerra Mondiale, quando venne ceduto, insieme a tutta la valle dell’Isonzo, alla Jugoslavia di Tito. Al di sopra del paese troneggia ancora il sacrario militare italiano, inaugurato nel 1938 da Benito Mussolini. Il complesso monumentale ospita 7014 soldati italiani che lì cadettero “valorosamente combattendo” — come recita l’iscrizione.

Nel centro del paese si trova il Museo di Caporetto (in solveno Kobariski-Muzej), che attraverso immagini, filmati, residuati bellici, reperti di ogni genere e un grande plastico della valle dell’Isonzo, racconta le 12 battaglie sul fronte isontino e la guerra in montagna. E lo fa così bene che, nel 1993, il museo ha ricevuto il premio di miglior museo dal Consiglio d’Europa. Friedrich Waidacher, rappresentante della commissione “Museo Europeo dell’anno”, affermò che:

“In the course of my professional career I visited hundreds of museums, among them war museums. Kobarid was the first one where I could not find the slightest trace of chauvinism, bias, or glorification. Its display is deeply touching. It takes its visitors by their hearts and souls and conveys a message which cannot be disseminated too often and too loud: war is insanity, crime, it only generates victims”.

Ma la narrazione museale non è solo contenuta nelle sale dell’edifico: ne fanno infatti parte integrante anche le trincee e le fortificazioni italiane e austroungariche che, preservate con cura, ancora oggi corrono in cima ai monti, su entrambi i versanti della valle isontina. A ovest erano arroccati gli Italiani, a est gli austriaci e nel mezzo l’Isonzo e la terra di nessuno. Questi percorsi storici, veri e propri “musei a cielo aperto”, costituiscono insieme il “Sentiero della pace”, che dalle Alpi Giulie scende fino al mare Adriatico, dove il fiume Isonzo finalmente sfocia. Oltre alla vasta collezione permanente, il Museo di Caporetto allestisce mostre temporanee. La scorsa primavera ve ne era una sull’aviazione austro-ungarica sul fronte isontino.

L’esposizione seguiva magistralmente l’esperienza bellica di alcuni piloti austriaci attraverso lettere, diari, fotografie, cartoline… Il materiale era stato riprodotto su alcuni pannelli, così da ricostruire in modo chiaro e facilmente accessibile le vicende personali e la tragedia della guerra vissuta da questi uomini. Visitando la mostra, abbiamo conosciuto il curatore, Željko Cimprič, che ha voluto accompagnarci attraverso le sale, spiegandoci il meticoloso lavoro che avevano compiuto. Finita la visita, ci disse che stava già raccogliendo del materiale per la prossima esposizione.

Il 25 ottobre è stato infine inaugurato al Museo di Caporetto il nuovo allestimento, che quest’anno — a cent’anni esatti dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale — è dedicato a tutti coloro che, sul fronte dell’Isonzo, hanno preso parte alle ostilità (ufficiali, soldati semplici, crocerossine…), di qualsiasi nazionalità essi fossero. Esplorando la mostra, il lettore potrebbe incontrare perfino il nonno di chi scrive — Paolo Beduschi, classe 1894, pilota di ricognizione e poi di caccia, era stato sul fronte isontino fino a un mese prima della battaglia di Caporetto (al termine, infatti, dell’undicesima battaglia dell’Isonzo).

mostra

La mostra resterà aperta fino a ottobre 2015; il Museo di Caporetto è aperto tutti i giorni dell’anno. Per maggiori informazioni consultate il sito: www.kobariski-muzej.si

Guido Giulio Beduschi
@gg_beduschi

Guido G. Beduschi
Studente di Storia, da grande voglio incastellarmi. Ho una bicicletta.

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