Negli ultimi mesi la situazione in Medio Oriente e soprattutto nel Califfato è diventato uno dei temi principali di telegiornali e quotidiani. Il 14 novembre scorso è stato pubblicato dall’ONU il Report of the Indipendent International Commission of Inquiry on the Syrian Arab Republic dal titolo “Rule of Terror: Living under ISIS in Syria”.
Secondo la relazione, ISIS – che risulta un gruppo coeso, coordinato e dalla struttura gerarchica – indottrina e recluta nell’esercito bambini, sopprime la libertà di espressione, utilizza come mezzi di controllo la coercizione, la paura e condanna a punizioni. Commette crimini di guerra, nega nei territori sotto il suo controllo i diritti umani ai civili, perseguita sulla base del genere, della religione e dell’etnia. Commette omicidi, torture, stupri, violenza sessuale – costringendo a portare a termine la gravidanza – riduce in schiavitù.
La nevrosi e il terrore di nuovi attacchi terroristici ha preso piede anche nel nostro Paese:
Vari sono i delitti e gli atti di violenza perpetrati dagli uomini del califfato anche nei confronti degli occidentali (come la decapitazione di alcuni ostaggi) e dei cristiani, costretti alcuni mesi fa sotto minaccia di morte a convertirsi all’Islam oppure a pagare una tassa.
La “guerra santa” contro il mondo liberale e democratico sembra dichiarata, e intanto si spera che l’esercito statunitense con i suoi aerei straordinari, i fenomenali droni militari, le bombe e i missili intelligenti distrugga l’intera compagine di terroristi perché tutto finisca e la paura cessi.
Nel giorno 11 settembre 2014, tredici anni dopo l’attentato che ha scosso il mondo, il nobel per la pace Barack Obama si impegna in una guerra contro i terroristi con a capo il califfo Abu Bakr Al Baghdadi.
Gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia stanno bombardando lo Stato Islamico, altri ventiquattro Paesi e tre organizzazioni internazionali (di cui fa parte anche l’Italia) si sono alleati e sono pronti a combattere, convinti di vincere grazie alla propria superiorità tecnologica e militare.
Ma, fermiamoci un attimo, cerchiamo di mettere da parte la rabbia e lo sconcerto per le agghiaccianti immagini mostrate in televisione su internet: siamo davvero convinti che la soluzione al terrorismo stia nel cercare di ammazzare tutti quanti i terroristi?
Il rischio di indire una caccia alle streghe è alto e i ‹‹danni collaterali›› delle nostre spedizioni, i civili uccisi dalle nostre bombe, non sono azioni meno atroci di quelle che condanniamo.
Perché non cercare, in un momento tanto disperato, ma prima che sia troppo tardi, di fare un passo indietro?
Questo è quello che si è chiesto Tiziano Terzani all’indomani dalla caduta delle Torri Gemelle l’11 settembre 2001.
Nato a Firenze nel 1938, è considerato uno dei più grandi reporter italiani, ha vissuto la guerra in prima persona e l’ha raccontata nei suoi articoli per il Der Spiegel, la Repubblica, il Corriere della Sera e nei suoi libri.
Lettere contro la guerra è uno di questi. Il libro raccoglie sette ‹‹lettere›› scritte in luoghi diversi (Orsigna, Firenze, Peshawar, Quetta, Kabul, Delhi, Himalaya) e si apre con una riflessione sulla straordinaria occasione che per noi occidentali si è presentata dopo l’11 settembre, sull’opportunità di pensare a un futuro senza guerra, sullo sforzo di arrivare a comprendere chi c’è dall’altra parte, nella convinzione che “Il mondo è cambiato. Dobbiamo cambiare noi”.
Una voce fuori dal coro che non si ferma all’apparenza: “Per mestiere dinanzi a una verità ufficiale ho sempre cercato di vedere se non ce n’era una alternativa, nei conflitti ho sempre cercato di capire non solo le ragioni di una parte, ma anche quelle dell’altra” e verso questa ricerca si sviluppa il libro.
Terzani vuole ascoltare “il dramma del mondo musulmano nel suo confronto con la modernità, il ruolo dell’Islam come ideologia anti-globalizzazione, la necessità da parte dell’Occidente di evitare una guerra di religione, una possibile via d’uscita: la non-violenza.”
Inevitabile il confronto con Oriana Fallaci che il 29 settembre 2001 pubblica un articolo sul Corriere dal titolo “La rabbia e l’orgoglio” – diventato in seguito un libro.
La grande giornalista con le sue parole non solo nega le ragioni del “nemico”, ma nega la sua stessa umanità.
Oggi molti media e politici occidentali sembrano trattare l’argomento ISIS allo stesso modo:
(anteprima)
Ma in guerra non prendere in considerazione la logica e le ragioni del nemico, credere che i suoi atti siano dettati da una follia incomprensibile e immotivata, è vano e autodistruttivo.
Terzani scrive: “La jihad islamica, quella rete clandestina ed internazionale che fa ora capo allo sceicco Osama bin Laden e che, con ogni probabilità, ha avuto la mano nell’allucinante attacco-sfida agli Stati Uniti, è tutt’altro che un fenomeno di «pazzia»”.
Il grande reporter vuole aprire un dibattito, dire “un’altra parte di verità”, proprio quella che servirebbe oggi all’opinione pubblica occidentale per comprendere meglio un quadro definito da un’informazione di parte.
Uno dei motivi di questo astio è da ricercare secondo Terzani nel senso di impotenza e di umiliazione della civiltà musulmana un tempo grandiosa e temuta e ora insignificante e ridimensionata dal potere e dalla prepotenza dell’Occidente.
Per i fondamentalisti dopo la Guerra Fredda il mondo occidentale ha tentato sempre più apertamente di raggruppare il mondo in un unico sistema globale e di cercare, per mezzo della sua tecnologia, di avere accesso alle risorse del pianeta – prime fra tutte il petrolio. Perché sembra chiaro che uno dei crucci occidentali sia che le riserve petrolifere del Medio Oriente rimangano in mani amiche.
Terzani propone di ripensare proprio a questa dipendenza: “Perché non studiamo davvero, come avremmo potuto già fare da una ventina d’anni, tutte le possibili fonti di energia?”
È innegabile: gli atti dell’ISIS sono spaventosi, raccapriccianti, inammissibili, intollerabili. Ma non sono gratuiti, sono atti di guerra.
I loro atti sono gli stessi delle V2 tedesche su Londra o del bombardamento atomico su Hiroshima e Nagasaki durante la Seconda Guerra Mondiale.
Ma il mondo dimentica presto la barbarie, i morti sono troppi e non si possono piangere tutti. Più facile piangere i propri, soprattutto quando gli altri sono del nemico — civili o militari che siano.
Dal 1983 gli Stati Uniti hanno bombardato nel Medio Oriente il Libano, la Libia, l’Iraq, hanno condotto raid militari – compresi attacchi con i droni (non sempre dichiarati ufficialmente) – in Afghanistan, Pakistan, Somalia e Yemen. Ora i bombardamenti colpiscono anche lo Stato Islamico.
I civili che sono morti e che muoiono durante e dopo questi attacchi sono centinaia di migliaia e questa strage produce nel mondo musulmano la stessa collera e la stessa sensazione di impotenza che il crollo delle Torri Gemelle ha generato nel mondo occidentale. Ma “importante è capire che fra queste due rabbie esiste un legame. Ciò non significa confondere le vittime coi boia, significa rendersi conto che, se vogliamo capire il mondo in cui siamo, lo dobbiamo vedere nel suo insieme e non solo dal nostro punto di vista.”
Non si può fare certamente affidamento ai politici “costretti come sono a ripetere formule retoriche (…) e incapaci di ricorrere alla fantasia per suggerire ad esempio che, invece di fare la guerra, questo è il momento di fare finalmente la pace, a cominciare fra israeliani e palestinesi”.
Ma come per palestinesi e israeliani, anche in questo caso è quasi impossibile impedire che la guerra al terrorismo non venga percepita come una guerra contro l’Islam.
Non possiamo credere che il mondo sia davvero diviso in due e che la nostra sia la parte giusta. L’Islam ha una lunga tradizione di crudeltà, proprio come il cristianesimo o l’ebraismo.
Le decapitazioni riprese dalle telecamere sono state definite “barbare”, ma sono forse più civili quelle subìte dai detenuti condannati a morte nelle carceri americane?
Gino Strada, il fondatore di Emergency, in un’intervista al Fatto quotidiano afferma che i jihadisti sono sì sanguinari, ma sono anche il prodotto delle politiche di guerra occidentali. E che anche se “L’Isis non è né democratico, né liberale, quando si decide di andare a combattere una guerra, si peggiorano situazioni spesso già disastrate”. Poi continua: “Se vogliamo che tra due anni qualcuno ci faccia un attentato, siamo sulla strada giusta”, “l’unico approccio umano alla guerra è l’abolizione”.
Riprendendo Terzani, per il quale vivo resta l’insegnamento buddhista: “L’odio genera odio e l’odio si combatte solo con l’amore”.
E come ricorda nella lettera ad Oriana: “Da che mondo è mondo non c’è stata ancora guerra che ha messo fine a tutte le guerre. Non lo sarà nemmen questa.”
Maria Catena Mancuso
@MariaC_Mancuso