Nel novembre dello scorso anno è nata Afrileaks: una piattaforma digitale dedicata alla ricezione di informazioni e di documenti riservati che garantisce la totale protezione degli informatori, i cosiddetti whistleblowers.
L’organizzazione invita i cittadini africani a inviare materiale che possa portare alla luce la condotta eticamente scorretta di governi o aziende. Immediato – come suggerisce anche il nome – è il rinvio a WikiLeaks, l’organizzazione internazionale no-profit che nel 2010 è stata protagonista di una bufera mediatica dopo aver rivelato ai quotidiani The Guardian e New York Times, e al settimanale Der Spiegel, informazioni riservate relative alla guerra in Afghanistan.
Le rivelazioni davano prova dell’uccisione di civili, di occultamento di cadaveri, della presenza di un’unità segreta americana che si riservava il diritto, anche senza conforme processo, di “fermare o uccidere” talebani.
A differenza di WikiLeaks tuttavia, il progetto africano non prevede la condivisione diretta dei documenti sul web, i quali costituiscono invece il punto di partenza di un’indagine.
AfriLeaks è gestita da attivisti e da diciannove organi di stampa; tra questi: Daily Mirror, Botswana Guardian, The Zimbabwean, Maka Angola, Zambian Watchdog e The African Report. Il progetto è supportato da Free Press Unlimited e Hivos ed è coordinato da ANCIR — African Network of Centers for Investigative Reporting.
Attraverso la piattaforma, alla sezione “blow the whistle”, l’utente potrà inviare documenti indicando quale tra le testate aderenti al progetto dovrebbe a parer suo investigare sul caso, scegliendo inoltre se restarvi in contatto e se rispondere ad ulteriori domande — ovviamente ancora nel completo anonimato.
L’Africa è un continente tormentato dalla corruzione dove la negazione dei diritti fondamentali è all’ordine del giorno e decidere di informare un giornalista, per quanto giusto e raccomandabile, non è una mossa prudente. Ed è proprio l’imprudenza la causa di “complicazioni”, dovuta anche dall’imperizia degli stessi giornalisti, che, ignorando spesso le precauzioni basilari da prendere prima di rivelare una notizia, rischiano o sono vittime di gravi “incidenti”, a volte mortali.
Ed è anche di questo aspetto che AfriLeaks si occupa, grazie all’organizzazione di corsi di formazione per giornalisti tenuti da esperti del settore che insegnano come gestire al meglio una fuga di notizie: la verifica delle fonti e dei documenti, la procedura da seguire durante le indagini, il modo in cui realizzare valutazioni incrociate per evitare errori causati da pregiudizi e parzialità.
Secondo i dati di Transparency International, l’Africa è il continente dove la corruzione è più diffusa, secondo alcuni “più della malaria”.
Un’iniziativa come AfriLeaks dovrà quindi prendersi l’incarico di promuovere, seppur nei limiti, una nuova cultura di responsabilità e giustizia.
Maria C. Mancuso
@MariaC_Mancuso