Del: 25 Febbraio 2015 Di: Giulia Pacchiarini Commenti: 1


Giulia Pacchiarini

@GiuliaAlice1

Lunedì 23 febbraio le autorità francesi hanno ritirato i passaporti a sei cittadini che stavano pianificando un viaggio in Siria, contemporaneamente è stato vietato a un’ulteriore quarantina di cittadini di lasciare il Paese. Si tratta della messa in atto – per la prima volta in Francia – delle misure preventive ideate e approvate nello scorso novembre per impedire che cittadini francesi si rechino all’estero per unirsi a guerriglie straniere.
Questi sono i cosiddetti Foreign Fighters, combattenti stranieri, uomini e donne che si spostano in uno stato diverso da quello in cui possiedono nazionalità con il proposito di perpetrare, pianificare e partecipare ad atti militari, terroristici o per dare o ricevere addestramento militare.
Le misure preventive messe in atto in Francia sono però solo l’ultimo esempio di progetti di contenimento del fenomeno – che oggi riguarda principalmente le fila operative dello Stato Islamico, per il quale coinvolge ormai 20.000 combattenti, di cui 4000 provenienti da nazioni occidentali (secondo l’ICSR) – proposti dalle nazioni coinvolte.

Quello dei Foreign Fighiters è infatti un fenomeno che appare preoccupante agli occhi dei paesi occidentali – probabilmente più dell’avanzamento dello Stato Islamico stesso in Paesi come la Libia o l’Egitto – soprattutto alla luce degli avvenimenti degli ultimi mesi che hanno coinvolto Parigi e Copenaghen.

Il Regno Unito – che possiede una tra le più alte percentuali di cittadini coinvolti – sta discutendo negli ultimi mesi uno tra i progetti più controversi, conosciuto come Counter-Terrorism and Security Act, (CTS) e proposto dal ministro degli Interni Theresa May. Si tratta di un progetto di legge che andrebbe ad affiancare i precedenti programmi: Prevent, ideato per impedire il terrorismo o il sostegno dello stesso, e Channel – costola del precedente – studiato per individuare soggetti potenzialmente vicini ad attività terroristiche, valutare la natura e la portata del rischio e sviluppare un piano di sostegno e protezione adeguato per gli individui coinvolti. Entrambi si concentrano sulla prevenzione, lasciando come unica alternativa al rientro di un Foreign Fighter l’arresto e la detenzione.

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Il nuovo progetto prevede diversi punti ambigui e di difficile attuazione, tra i primi vi è l’obbligo per i fornitori di servizi internet di conservare copia dei dati riguardanti indirizzi IP – in grado di collegare specifici individui a determinati indirizzi utilizzati in un arco temporale accurato – e consegnare gli stessi alle autorità nazionali se richiesto. Lo scopo è l’identificazione di soggetti responsabili di aver introdotto materiale illegale in Internet, dalla pornografia infantile alle comunicazioni tra membri di cellule terroristiche.

Un secondo paragrafo del progetto riguarda gli ordini di esclusione temporanea dal Paese di cittadini britannici sospettati di coinvolgimenti in attività di foreign fighting, per un lasso di tempo utile al controllo degli individui stessi, con l’annullamento dei documenti di viaggio e l’inclusione nelle watch lists britanniche. Questo “ritorno sotto controllo” aggirerebbe però le convenzioni internazionali riguardanti gli individui privi di cittadinanza, rendendo sospetti coloro che esitano tra la possibilità di raggiungere il Regno Unito sotto stretta sorveglianza e l’eventualità di essere banditi dal Paese per un massimo di due anni, privi di cittadinanza. Inoltre è sancita la possibilità di sequestrare i passaporti e biglietti aerei di cittadini britannici e non, alle frontiere, per un massimo di 30 giorni se sospettati di essere legati ad attività terroristiche.

Rendere dei soggetti irregolari all’interno di un Paese però non fa che avvicinarli a organizzazioni illegali.

Il progetto di legge coinvolge poi anche collegi, scuole, e università nel tentativo di “prevenire gli individui in fase di elaborazione di terrorismo”, vietando la presenza di relatori “estremisti” nel caso in cui l’Università non fosse in grado di dimostrare di aver messo in atto politiche in grado di affrontare i relatori stessi. Le organizzazioni responsabili di invitare ripetutamente oratori estremisti saranno soggette alle indicazioni di ministri appositamente scelti e a cui dovranno obbligatoriamente sottostare. Questo passaggio risulta particolarmente oscuro perché non viene indicata alcuna definizione di ciò che dovrebbe essere considerato “estremista”, dando spazio a interpretazioni soggettive che paradossalmente potrebbero essere a loro volta estreme.
Misure più severe sono richieste alle compagnie aeree, obbligate a fornire dati dei passeggeri – compresi dettagli di carte di credito – in anticipo, imposizione che metterebbe in difficoltà molte compagnie extra europee ed escluderebbe società ferroviarie o navali che diverrebbero rapidamente facili scappatoie.
Infine, verrebbe vietato alle compagnie assicurative di fornire copertura finanziaria per i pagamenti di riscatti terroristici.

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Si tratta di elementi di un progetto ancora al vaglio, ma che suscitano già molte perplessità sin dalla sua origine, legata al progetto Channel, che otterrebbe una base legale tramite questa proposta di legge. Come dimostra il Centre for Democracy & Technology infatti il progetto Channel – illustrato in una guida online – si basa da anni su elementi astratti quali la ricerca da parte di operatori sanitari, scolastici, amministrativi di segnali di “radicalizzazione” in individui qualsiasi, fondandosi su criteri opinabili e variegati che vanno dal cambiamento del vestiario alla detenzioni di armi o la competenza per compiere azioni terroristiche (ingegneria civile, farmacologia, competenze informatiche, chimiche, addestramento militare ecc). All’elenco di indizi da tenere sotto controllo seguono poi alcune dichiarazioni che sottolineano l’effettiva inesistenza di un vero e proprio profilo dell’“individuo vulnerabile” e il fatto che i criteri sopra elencati possano essere fuorvianti o inesatti.

Nonostante Channel assomigli più a un gioco pericoloso che cerca un colpevole in una folla di sconosciuti, gli eventuali soggetti individuati e dichiarati “vulnerabili alla radicalizzazione” sono costretti a seguire programmi governativi indirizzati all’allontanamento dei soggetti stessi dalle fonti estremiste e l’avvicinamento a realtà più moderate. Channel – che fa riferimento a “estremismi” senza citare l’islamismo o altri terrorismi – fonda quindi la propria forza sull’integrazione più o meno volontaria degli individui nella società britannica, imponendo un aiuto indiscriminato e rigido. Come un genitore invadente e presuntuoso entra forzatamente nella vita privata dei figli, scrutando negli abiti indossati, le conoscenze intrattenute, le professioni, frugando sui social network, cercando disperatamente prove di elementi radicali, ideologie appassionate, a prescindere dalla possibilità che queste siano legate ad atti violenti. Facendo del diverso un colpevole.

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Anche in Danimarca – triste sede dell’ultimo attacco terroristico di matrice islamista – il governo sta finanziando un progetto definito, come quello britannico, di “deradicalizzazione” e conosciuto come Modello Aarhus — dalla città universitaria che ha svolto un ruolo i primo piano nella sua creazione. Il modello danese assomiglia a un programma di recupero per individui soggetti a una dipendenza, con annesso reintegro nella società: viene proposta una consulenza psicologica ed è considerato basilare il supporto famigliare e della rete di persone che circonda l’individuo. L’obbiettivo è sfruttare l’effetto a catena tra soggetti coinvolti nella rete, tra cui un mentore personale, per indebolire il legame con le fonti estremiste. Contemporaneamente, però, le autorità mantengono i contatti con la moschea di Aarhus, apertamente favorevole all’IS. Si tratta di un programma più morbido, che permette di scegliere come e se rinunciare alle ragioni che hanno portato al compimento di azioni violente. Non sempre è sufficiente ma permette di conoscere a fondo le motivazioni e i processi che hanno condotto diversi individui di unirsi a guerriglie straniere e quindi poterli prevenire — la necessità non è solo quella di aiutare, ma soprattutto di comprendere.

Esiste la possibilità che i Foreign Fighters rientrino in patria e sono necessari progetti che rispondano alle loro necessità e, contemporaneamente, vigilino su un possibile e pericoloso riavvicinamento a organizzazioni terroristiche. Si tratta di un contesto complesso, drogato dal terrore che organizzazioni come l’IS diffondono a proprio vantaggio e dalle reazioni spropositate di alcuni governi. Non vi è una facile soluzione, ciò che indubbiamente resta essenziale è la necessità di informare in merito a ciò che avviene all’interno e all’esterno delle milizie, portare prove e motivazioni che superino ogni ideologia in grado di avvicinare al terrorismo, fare in modo di prevenire senza necessariamente cercare un colpevole nel mucchio.

Giulia Pacchiarini
Ragazza. Frutto di scelte scolastiche poco azzeccate e tempo libero ben impiegato ascoltando persone a bordo di mezzi di trasporto alternativi.

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