
Giulia Pacchiarini
@GiuliaAlice1
Alberto Nisman, procuratore federale argentino deceduto in circostanze ancora poco chiare nella notte tra il 18 e il 19 gennaio, aveva redatto, stampato e corretto un mandato di arresto per la Presidente argentina Cristina Kirchner e per alcuni funzionari governativi.
A rivelarlo è stato il 3 febbraio il quotidiano Clarin, con la tempestiva pubblicazione di estratti della bozza di un documento che richiede l’arresto della Presidente, del Ministro degli Esteri Héctor Timerman e di Andres Larroque, deputato e dirigente del movimento giovanile a sostegno della Presidente. Il documento – fondamentale per ricostruire le ultime ore di vita del procuratore – pare figurare tra gli atti dell’inchiesta della Divisione Omicidi che indaga sulla morte del procuratore sin dal giorno dopo il ritrovamento del cadavere, eppure Viviana Feim, pm incaricata di seguire il caso ne ha fortemente smentito l’esistenza poco dopo la pubblicazione del Clarin.
Il 3 febbraio la Pm ha invece ritrattato le proprie affermazioni attribuendole ad un “involontario errore di comunicazione” tra le diverse istituzioni che si occupano dell’indagine. Successivamente ha confermato le voci circolate sulla propria prossima assenza dalle indagini, causata dal periodo di vacanze precedentemente richiesto. La sostituiranno – tra il 18 febbraio e il 5 marzo – Fernando Fischer e Adrian Perez, definiti dalla Fein “procuratori indipendenti”.

Così come la Fein, pare che anche il capo di gabinetto della presidenza sia stato vittima di un disguido, quando ha affermato in conferenza stampa che il quotidiano responsabile della pubblicazione della bozza del documento d’arresto – oltre che, in precedenza, delle intercettazioni tra esponenti del governo iraniano e argentino che mostrano evidenti legami di diplomazia parallela – pubblicherebbe “spazzatura e bugie”. Le dichiarazioni del capo di gabinetto non sono state ancora ritrattate né giustificate.
Tra equivoci e mancate comunicazioni è stata effettivamente confermata però la presenza della bozza del documento d’arresto, che aggrava la posizione della presidenza argentina, già piuttosto critica a causa delle prime accuse che Alberto Nisman le aveva indirizzato e successivamente dalla morte del procuratore stesso.
Tuttavia, nonostante esistano elementi più che concreti per proseguire l’indagine guidata per più di 10 anni da Alberto Nisman, sembra che riprendere in mano l’inchiesta non sia così facile. Lunedì 2 febbraio infatti il giudice federale argentino Ariel Lijo – individuato precedentemente dallo stesso Nisman per gestire il caso – si è rifiutato di procedere adducendo come giustificazione l’assenza di giurisdizione nel campo in cui sono avvenute le indagini.
Inoltre Lijo ha dichiarato: «Il semplice fatto che vi sia un qualche tipo di collegamento diretto o indiretto con l’attacco alla Amia, come nel caso di specie, non costituisce un motivo sufficiente per girare le accuse compiute da Nisman su altri». Dopo di lui anche il giudice Daniel Rafecas si è autodefinito incapace di prendere in mano l’inchiesta Amia. Il caso quindi passa necessariamente ad una camera federale che nominerà un terzo giudice incaricato di sovraintendere le indagini. Sembra quindi che la situazione della Kirchner e dei suoi collaboratori riesca a rimanere in un equilibrio precario ma vigente ancora per un po’.
In questo clima di immobilità e confusione giudiziaria, la stessa Cristina Kirchner ha scelto di non rimanere in disparte, infatti ha definito e ridefinito la propria opinione tramite accorati messaggi pubblicati sui più noti social network e annunci televisivi. Proprio in uno di questi ha dichiarato, il 27 gennaio, di voler sciogliere i servizi segreti argentini – Secretarìa de Intellicencia (SI) – spiegando che la loro struttura è da troppi anni stabile – l’ultima modifica infatti risale al periodo della dittatura militare – e per questo molto sensibile a meccanismi di corruzione. La stessa Kirchner aver precedentemente sostenuto che la morte di Nisman fosse dovuta ad un suicidio istigato da un complotto ordito da servizi di intelligence governativi fuori controllo.
Oggi queste prese di posizioni più o meno giustificate, concepite da coloro che dovrebbero indagare sulla morte di un procuratore che lavorava da anni su un caso internazionale e che stava tentando di accusare elementi primari del sistema governativo argentino, hanno rallentato e continueranno a rallentare una giustizia sempre più retorica e astratta, sempre più lontana dalla concretezza processuale a cui Alberto Nisman stava riuscendo, faticosamente, a giungere.
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