Jacopo G. Iside
@JacopoIside
È notizia di pochi giorni fa, il neopremier greco Alexis Tsipras ha sospeso tutti i campionati di calcio a data da destinarsi, di comune accordo con il Ministro dello Sport Stavros Kontonis che ha dichiarato: «La decisione del governo di combattere la violenza è definitiva e irrevocabile.
È impossibile continuare a tollerare questa situazione. Solo per miracolo non abbiamo avuto morti
e tutto quello che è accaduto durante l’assemblea della Super League ha creato una terribile atmosfera. È impossibile giocare nel prossimo weekend e ho chiesto con forza alle autorità calcistiche di rafforzare i provvedimenti nei confronti dei tifosi. Ci incontreremo nuovamente mercoledì prossimo e capiremo come hanno deciso di agire. Se non avranno trovato un accordo, ci sarà un’altra sospensione».
La motivazione ufficiale si riferisce agli ultimi episodi di violenza negli stadi, come quelli accaduti nel derby del 21 febbraio tra Panathinaikos e Olympiacos e anche per il censurabile comportamento di due tra i massimi dirigenti delle squadre, il vicepresidente dei verdi Vasillis Costantinou e il presidente biancorosso Vangelis Marinakis, che durante la riunione delle due leghe più importanti della Grecia, martedì 24 febbraio, si sono insultati e lanciati oggetti a vicenda.
La sospensione del campionato non è una novità: solo quest’anno la Super League (la lega di Serie A greca) è stata fermata altre due volte, la prima per la morte di un tifoso dell’Ethnikos Pireo a Creta in uno scontro con gli ultras dell’Irodotos nel campionato di terza divisione, il secondo è avvenuto dopo il pestaggio subito dal vicepresidente dell’Associazione degli Arbitri, Christoforos Zografos, in cui pare sia implicato Melissanidis, presidente della terza squadra di Atene, l’AEK. Mentre per debiti era stata sospesa la Football League (la serie B) a settembre.
Ascoltiamo con familiarità la stressata cantilena che segue ad ogni episodio di violenza anche in Italia: le condanne verbali, la proclamazione definitiva di buone intenzioni e il desiderio di risolvere la situazione subito, senza subire i ricatti delle tifoserie.
Il problema è che nulla si realizza in un giorno solo e anche le minacce, come quella di non far iscrivere le squadre greche alle prossime competizioni internazionali per club, sono soltanto un feticcio sventolato in faccia a coloro che credono che un palliativo possa curare una grave malattia: il Ministro dello Sport dimentica che durante i match europei, gli accesi ultras greci si guardano bene dal commettere certe follie sotto l’occhio vigile dell’UEFA.
Il paradosso in questo caso è del tutto simile a quello italiano: i proprietari dei grandi club preferiscono avere dentro agli stadi gruppi organizzati, così da usufruire di una spinta maggiore in termini emotivi e finanziari per vincere i campionati (o comunque raggiungere piazzamenti di prestigio), condizione che vale l’accesso diretto alle competizioni europee, privilegio che al calcio greco frutta la bellezza di 162 milioni di euro — stando ai dati dell’ultimo bilancio del calcio ellenico, divisi tra i 92 milioni dell’Olympiacos, che ha partecipato alla Champions League, e i restanti 70 milioni fra tutte le altre squadre — e allo stesso tempo pagare multe salatissime per l’intemperanza delle frange più violente del tifo.
Anche in Italia si parlò dell’eventualità della sospensione del campionato di Serie A – era il 2012 e l’allora premier Mario Monti propose questa misura come risposta all’ennesima inchiesta sul calcio-scommesse – e allora subito si fecero i conti su quanto avrebbe danneggiato l’economia questo provvedimento; ebbene, pare che quell’impatto, valutato in circa 9mld cioè lo 0,6% del PIL, non fosse neanche lontanamente paragonabile all’effetto devastante che potrebbe avere la sospensione per l’economia greca: si parla di 180 milioni di impatto diretto, che con l’indotto salgono a 2,1 miliardi, l’1% del PIL. Dà lavoro a 44.000 persone su 3.438.550 occupati – l’1,27% della popolazione totale occupata – e dal calcio entrano nelle casse dello Stato ben 550 milioni di euro in termini di gettito fiscale.
Sembra quindi che questa partita rischiosa non sia stato iniziata solo per frenare le violenze ma anche per cercare di attaccare dall’interno alcuni tra i grandi mali del calcio della penisola ellenica, come riporta il grande esperto di calcio greco Francesco Piacentini:
«Tra calcio-scommesse, gruppi di potere, guerre intestine e posizioni non proprio limpide di alcuni presidenti, il calcio greco ha molto altro a cui pensare».
Come se Tsipras e il suo ministro volessero azzerare i vertici del movimento pallonaro greco per ripulirlo dalla corruzione e dalle lotte di potere. Perché la violenza è solo l’aspetto più esteriore di un movimento ormai marcio che ha bisogno di una scossa molto più violenta.