Del: 16 Aprile 2015 Di: Marta Clinco Commenti: 0

Marta Clinco, Pietro Repisti
@MartaClinco

“Non è un film su di me. Questo è un film su di noi.”

Global surveillance disclosures: in questi termini sulle maggiori testate del mondo si parlava di quello che sarebbe diventato lo scandalo globale sulla sorveglianza informatica di massa, che a giugno 2013 avrebbe travolto in prima battuta l’NSA americana (National Security Agency) per poi allargarsi a macchia d’olio, arrivando a coinvolgere tutti i suoi partner internazionali e le agenzie collaboratrici associate – in particolare, la GCHQ (Government Communications Headquarters) britannica. Scandalo fomentato da una serie di rivelazioni del whistleblower statunitense Edward Snowden – ex tecnico della CIA e fino al 10 giugno 2013 collaboratore della Booz Allen Hamilton, l’azienda di tecnologia informatica consulente della NSA – catalizzato poi da diverse inchieste giornalistiche condotte dalle principali redazioni giornalistiche – anzitutto, quelle del Guardian e del Washington Post, seguiti successivamente da New York Times, Canadian Broadcasting Corporation, Australian Broadcasting Corporation, Der Spiegel, Globo, Le Monde, L’Espresso, NRC Handelsblad, Dagbladet, El País, Sveriges Television.

Citizenfour 1


Datagate è il termine coniato dalla stampa italiana, che all’epoca dei fatti segue in modo discontinuo e superficiale la vicenda, per qualche occulta ragione convinta che non ci riguardasse da vicino.

La serie di articoli pubblicati a catena da Guardian e Washington Post iniziano a far luce sulle implicazioni di diversi trattati segreti firmati dai membri della comunità UKUSA con diverse agenzie d’intelligence al fine di mettere in atto la cosiddetta “global surveillance”: grazie a tali accordi, enormi quantità di dati – o di metadati – vengono intercettati e trasferiti direttamente agli archivi NSA (persino dati raccolti via cavo dalla televisione svedese sono stati consegnati alla NSA in forza di un trattato segreto stipulato nel 1954 che prevedeva la cooperazione bilaterale in materia di sorveglianza).

Le maggiori agenzie d’intelligence coinvolte sono quelle di Australia (ASD), Gran Bretagna (GCHQ), Canada (CSEC), Danimarca (PET), Francia (DGSE), Germania (BND), Italia (AISE), Paesi Bassi (AIVD), Norvegia (NIS), Spagna (CNI), Svizzera (NDB) e Israele (ISNU).

Edward Snowden è Citizenfour quando contatta la film-maker Laura Poitras. Siamo a gennaio 2013, la Poitras sta già lavorando da due anni a un film sulla sorveglianza di massa e sulle attività dell’intelligence e ha già in curriculum – tra gli altri lavori – My Country, my Country, documentario del 2006 sulla situazione in Iraq durante l’occupazione americana, che le vale l’inserimento nella “Watch list” del Department of Homeland Security (DHS) e una notifica di massima allerta per la sicurezza aeroportuale. Inoltre aveva girato nel 2010 The Oath – film sulla guerra senza frontiere intrapresa dagli Stati Uniti contro il terrorismo, quella che l’ex Presidente George W. Bush definiva senza mezzi termini “Guerra al terrore”: questo il corpus della trilogia che con l’ultima pellicola – Citizenfour per l’appunto – completa la critica all’atteggiamento americano post 11 Settembre.

Snowden contatta la Poitras attraverso e-mail criptate. Viene coinvolto anche Glenn Greenwald, blogger del Guardian che si occuperà della pubblicazione dei primi articoli sul caso Snowden-NSA – pubblicherà il libro dal titolo No Place to Hide esattamente un anno dopo. I tre si incontrano la prima volta solo a metà maggio 2013 in una camera d’albergo dell’Hotel Mira a Hong Kong, set di buona parte del documentario in uscita oggi nelle sale italiane, presentato in anteprima martedì 14 aprile e tra i must see dell’International Journalism Festival in corso in questi giorni a Perugia.
Il film è il risultato della serie di incontri tra Snowden e i giornalisti: assistiamo di fatto alle strategie adottate nella scelta dei tempi e delle informazioni da rivelare – in particolare, si discute della possibilità di rivelare l’identità di Edward Snowden, prendendo infine tale decisione in data 9 giugno 2013.

La Poitras lascia la narrazione delle vicende allo stesso Snowden e, tramite un gioco di piani e contro piani con il giornalista Glenn Greenwald, racconta i frenetici giorni durante i quali l’ex contractor NSA rende pubblici i documenti altamente riservati che costituiscono le prove della sistematica invasione della privacy operata dall’intelligence americana. A metà tra un servizio giornalistico e documentario d’inchiesta, Citizenfour colpisce in pieno l’obiettivo, lasciando un pervasivo senso di ansia e di sconcerto nello spettatore dopo la fine della proiezione. Presentato al New York Film Festival e al BFI London Film Festival nell’ottobre 2014, ha in breve tempo raggiunto i vertici della piramide hollywoodiana, vincendo il premio Oscar per il miglior documentario all’edizione del 2015, che si aggiunge al precedente premio BAFTA conquistato e ai numerosi altri riconoscimenti.

Citizenfour 2

Apprezzato più dal pubblico che dalla critica, Citizenfour ha ricevuto dagli spettatori una valutazione media di 8.3/10, secondo il sito di recensioni cinematografiche Rotten Tomatoes, segnale inequivocabile di una sete di verità da parte del pubblico – americano e non solo – nei confronti di questa pagina nera nella recente storia dei servizi. Laura Poitras si mantiene fedele al suo stile narrativo, tipico del giornalismo d’inchiesta, fatto di fredde immagini, spesso mosse e poco curate nella forma, realizzate senza l’ausilio di cavalletti o supporti, in modo da suggerire allo spettatore – più che una ripresa pensata e programmata – l’immediatezza della narrazione.

Come precedentemente accennato, la pellicola si sviluppa quasi tutta all’interno della stanza dell’Hotel Mira di Hong Kong dove Snowden alloggia, frammentata e inframezzata da un montaggio “in macchina” violento e invadente che, senza ellissi e attraverso cesure forti, divide i giorni e l’incessante svilupparsi degli eventi.
Quello che viene proposto è un documentario di forte impatto. Si divide tra i toni pesanti e claustrofobici delle rivelazioni e delle ripercussioni cui Snowden va incontro e un aspetto più umano e sentimentale, rappresentato attraverso il rapporto con la fidanzata Lindsay Mill, rimasta negli Stati Uniti, dove Snowden non può fare ritorno.

In 114 minuti Laura Poitras concentra tutti gli umori di una storia scomoda e sconvolgente, senza perdersi in inutili divagazioni e sganciando senza enfasi una rivelazione dietro l’altra, al fine di mostrare allo spettatore una serie di dati e informazioni che finiscono necessariamente per convincerlo, tratteggiando una realtà inesorabile.

Marta Clinco
Cerco, ascolto, scrivo storie. Tra Medio Oriente e Nord Africa.

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