
Stefano Basilico
@StefBasilico
Si avvicinano le elezioni generali nel Regno Unito e la situazione pare essere tra le più equilibrate di sempre. Gli ultimi sondaggi danno i due partiti storici, Conservatori e Laburisti, rosicchiarsi a vicenda qualche punto percentuale intorno al 33%. Sebbene il risultato, dopo 5 anni di governo dei Tories coadiuvati dai Liberal-democratici di Nick Clegg, possa far pensare ad un fallimento del centrodestra, in realtà a doversi guardare le spalle è sopratutto il contendente di David Cameron, Ed Miliband.
Solo un anno fa infatti i Laburisti staccavano i Conservatori di oltre dieci punti percentuali nei sondaggi, tutti recuperati sia grazie ad una nuova ondata di consensi verso il Governo, che per la mancanza di incisività di “Mili”, tanto da far pensare ai vertici del partito di cambiare candidato a soli sei mesi dalle elezioni.
Cameron possiede in effetti alcuni assi nella manica da sfoderare al momento opportuno: dalla crescita economica – +2.7% la stima del Fondo Monetario Internazionale per il 2015 contro l’1.2% dell’Eurozona – alle stime sull’occupazione, dalla centralità in politica estera fino alla sicurezza, una delle parole chiave di questa campagna elettorale – nonché storico cavallo di battaglia di tutti i partiti di centrodestra nel mondo.

Dal canto suo, Miliband, che rappresenta l’ala sinistra del partito contrapposta al “lib-lab” della terza via blairiana, propone di aumentare la tassazione verso le classi più agiate per poter finanziare alcune concessioni alle fasce più deboli della popolazione.
Uno dei campi di battaglia su cui si giocherà la partita elettorale è quello della riforma dell’NHS – il Servizio Sanitario Nazionale: i Conservatori spingono per una maggiore liberalizzazione e privatizzazione di alcuni servizi, mentre i Laburisti vorrebbero mantenerne l’assetto statale, ma pagano dazio su questa specifica tematica per via della gestione non proprio cristallina ai tempi di Gordon Brown, predecessore di Cameron a Downing Street e di Miliband alla guida del Labour.
Sul tema dell’Europa, invece, gli unici a poter fare la voce grossa sono i nazionalisti dello UKIP di Nigel Farage: i Laburisti sono lontani dall’onda federalista dei loro colleghi europei di centro-sinistra, i Conservatori rincorrono Farage proponendo un referendum sulla permanenza nell’UE entro il 2017 e gli unici che sono sinceramente europeisti convinti sono i Lib-dem, ma hanno rilevanza relativa nel panorama politico anglosassone.
Il sistema elettorale britannico dei collegi che eleggono un solo deputato, premierebbe però i centristi di Clegg rispetto alle basse percentuali previste nelle proiezioni di questi giorni, visto che sebbene UKIP abbia nei sondaggi quasi il doppio dei consensi, i Lib-dem riuscirebbero a portare a casa più collegi, quindi più seggi – 28 contro 4.
Le stesse proiezioni danno Conservatori e Laburisti praticamente alla pari, con 260-270 seggi a testa; la parte del leone in queste elezioni tocca allo Scottish National Party.
Dopo il referendum sull’indipendenza bocciato per un soffio, i nazionalisti scozzesi hanno cambiato guida, dal padre-padrone del partito Alex Salmond alla più dinamica Nicola Sturgeon, che ha vinto a mani basse il dibattito televisivo pre-elettorale trasmesso da ITV.
Lo SNP dovrebbe portare a casa 50-60 seggi e si sarebbe detto disponibile a garantire un appoggio esterno ad un eventuale governo Laburista.
Ci sono retroscena imbarazzanti per la leader del partito Nicola Sturgeon, di cui sarebbe filtrata una registrazione segreta durante un colloquio con l’ambasciatore francese a Gennaio, in cui il Primo Ministro Scozzese avrebbe dichiarato al diplomatico di preferire David Cameron alla guida del paese perché “Miliband non sarebbe in grado”. Non il migliore dei complimenti per il tuo probabile alleato.
Al tempo stesso ci vorrebbe un exploit non semplice da ottenere sia dei Tories che dei Lib-dem per vedere replicato il governo di coalizione dell’ultimo quinquennio.
Un altro fattore da considerare è che se David Cameron, da una posizione di Governo naturalmente attira su di sé la maggioranza delle critiche ma riesce nonostante tutto a nicchiare, chiosare e spingere i suoi rivali a scannarsi fra di loro, Ed Miliband non si trova affatto in una posizione migliore: se infatti UKIP va contro tutti, i nazionalisti gallesi del Plaid Cymru e i Liberal-democratici cercano di coltivare il loro piccolo orticello, gli altri partiti stanno tutti ferocemente attaccando il Labour per provare a ritagliarsi uno spazio a sinistra.
I Verdi si propongono come l’unica vera alternativa, mentre al tempo stesso lo SNP nonostante gli intenti affettuosi verso Mili, lo sta bastonando per contendersi i voti della tradizionalmente rossa Scozia.
Le altre carte a disposizione di Cameron sono rappresentate dai suoi migliori collaboratori di Governo, quelli che più di lui hanno contribuito allo sviluppo effettivo delle politiche proposte dai Conservatori: Theresa May, Ministro degli Interni, Boris Johnson – agguerrito Sindaco di Londra che polarizza su di sé grandi passioni e altrettante polemiche – e soprattutto George Osborne, il Cancelliere dello Scacchiere che in molti in Gran Bretagna ritengono il principale artefice della ripresa economica.
Dal canto suo Miliband ha ottenuto il non scontato endorsement di Tony Blair e può fregiarsi della stretta collaborazione di Ed Balls, vecchio arnese del socialismo britannico e spauracchio dei Conservatori che non lo possono letteralmente soffrire.
Il successo alle europee di Farage sembra difficile da replicare – i toni da campagna elettorale permanente da parte di UKIP potrebbero non pagare sul medio periodo; l’ultima guerra meidatica scaturita dalle parole del leader di UKIP è esplosa durante il dibattito televisivo: Farage si è scagliato contro il 60% di stranieri malati di HIV che beneficerebbero della sanità nazionale, una frase già pronunciata in passato ma che ha rinfocolato antiche polemiche.
L’immigrazione, oltre all’Europa, è un cavallo di battaglia di Farage, rincorso da Cameron su alcune di queste tematiche: se UKIP infatti propone la chiusura praticamente totale delle patrie frontiere, il Primo Ministro ha ventilato l’ipotesi di espellere gli stranieri comunitari che campano esclusivamente di benefits senza aver mai lavorato nel Regno Unito.
Lo storico bipolarismo quasi bipartitico britannico pare essere ormai sul viale di quel tramonto cominciato dal 2010 con il primo governo di coalizione del dopoguerra.
I partiti minori si stanno affermando e hanno ormai fidelizzato uno zoccolo duro di elettorato, mentre quelli tradizionali vedono calare i propri consensi.
Questo rischia di provocare minore stabilità nell’azione di governo ma al tempo stesso garanzia di maggiore pluralismo, rappresentanza e libertà di scelta per gli elettori. Per gli osservatori esterni e i giornalisti si tratta invece di uno spettacolo da non perdere, un’arena politica mozzafiato che rompe con l’antico schema della polarizzazione politica – basato su una lotta romana fra due carismatici (o meno) contendenti – e apre alla più anarchica e affascinante guerra nel fango del tutti contro tutti.