
Jacopo Musicco
@jacopomusicco
Partendo da un omaggio al cineasta western per eccellenza, Vulcano Statale presenta la nuova rubrica sul mondo dei trailer: The Good, the Bad and the Trailer.
Nel 2008 – agli albori di YouTube e siti di video sharing – tra circa 10 miliardi di video visti online annualmente i trailer si posizionavano al terzo posto, dopo news e contenuti creati dagli utenti; oggi Google ci dice che nel 2015 più di 35 milioni di ore di trailer sono state visionate su YouTube attraverso smartphone e tablet.
Queste cifre non devono sorprendere, basta pensare che la quantità di dati prodotti ogni anno potrebbe riempire la Biblioteca del Congresso – la più grande biblioteca al mondo – 37.000 volte. Il concetto è che viviamo in una società sovraccaricata (e sovraeccitata) di informazioni, in cui la prima impressione è quella che conta.
E tale impressione, nel business cinematografico, si traduce in una sola parola: trailer.
La nascita del trailer è comunemente ricondotta al nome di Nils Granlund – manager pubblicitario della catena di movie theater Marcus Loew – che per primo produsse un corto promozionale da inserire alla fine dei film in proiezione. Inizialmente tale pratica fu un fiasco: il pubblico non veniva trainato (da qua l’uso del termine trailer) allo spettacolo successivo ed usciva comunque dalla sala, la tecnica pubblicitaria venne allora anteposta al film proiettato, senza dover aspettare il fatidico ‘The End’.
Fu un successo.
Nel 1920 nasce la National Screen Service (NSS), compagnia creata per produrre e distribuire trailer su rischiesta degli studios. Nel 1940 la NSS firma con le major un contratto esclusivo che sancisce il monopolio della società nella creazione e distribuzione di materiale pubblicitario. La conseguenza di tale accordo è l’omologazione della produzione artistica dei trailer, che – anno dopo anno – diventano sempre più simili tra loro.
https://www.youtube.com/watch?v=EJvlGh_FgcI
Influenzato dalle nuove correnti cinematografiche e dall’estro di talentuosi registi, anche il mondo dei trailer inizia a cambiare.
È con l’avvento dei blockbuster però che il trailer assume le sembianze del prodotto che conosciamo oggi; spronato dagli incassi in crescita il marketing hollywoodiano rende i filmati pubblicitari il cuore pulsante dei kolossal di fine secolo.
Dai classici diventati cult.
Ai più intraprendenti.
Negli ultimi decenni le tecniche di produzione si sono affinate: le esigenze dei videomakers sono state colmate da un editing più sensibile e i produttori hanno iniziato a diversificare le opere secondo i target di riferimento, allontando i trailer dal mondo della pubblicità e avvicinandoli alla sfera artistica. Un esempio? Tre.
https://www.youtube.com/watch?v=7iggyFPls4w
Certo, la critica è facile: “il trailer è bello perché il film da cui è tratto è bello.” Sì e no. Il trailer possiede una doppia anima: quella di chi l’ha creato e quella del regista che ha diretto il film, l’unione delle due da vita a qualcosa di altro rispetto all’opera originale.
Vsevolod Illarionovič Pudovkin – pioniere russo della teoria del montaggio cinematografico – diceva che “l’arte del cinema è basata sulle clip”.
Così è per i trailer: un mondo in cui ciò che appare spesso non è e ciò che sembra potrebbe non essere. L’essenza del cinema.
Riprendendo l’incipit, lo scopo di questa rubrica – lo suggerisce il nome – sarà quello di capire cosa rende buono o cattivo un trailer. Tolta la prolissità di questo articolo, i vari episodi saranno brevi e diretti, il trailer sarà accompagnato da un trafiletto di presentazione al film e da due simpatici simboli – in pieno stile vulcaniano – che indicheranno il lato positivo e/o negativo dell’opera.
Buona visione.
Carol è l’ultimo film di Todd Haynes, regista di Safe e Io non sono qui. La pellicola è stata presentata in anteprima alla 68ª edizione del Festival di Cannes il 17 maggio 2015 e uscirà nelle sale italiane il 1 gennaio 2016.


Ma questo è solo il trailer, il film è ancora tutto da vedere.