Del: 24 Novembre 2015 Di: Erin De Pasquale Commenti: 0

Il 31 ottobre scorso è terminato il 2015 League of Legends World Championship, la quinta edizione del campionato mondiale di League of Legends, uno dei videogiochi più famosi e giocati del momento. Se a queste parole state pensando ad un mezza dozzina di ragazzini chiusi in un qualche scantinato o sala giochi di paese, cancellate subito quest’immagine dalla vostra mente: è un evento a cui hanno partecipato venti squadre composte da dieci giocatori l’uno – con relativi coach e staff tecnico – provenienti da tutto il mondo, dalla Cina agli Stati Uniti passando per la Corea e l’Europa, che si sono sfidati in palazzetti dello sport e stadi davanti a migliaia di persone dal vivo e decine di milioni online per contendersi un montepremi di oltre 2 milioni di dollari.

Proprio questo è ciò che si intende quando si parla di eSports. Crasi del sintagma “electronic sports”, con questo termine si definiscono tutti quei videogames che vengono giocati a livello competitivo in svariate parti del mondo, con tanto di federazioni, tornei ufficiali organizzati dalle software house e montepremi al pari di attività più comunemente definiti sport come il calcio, il basket, l’atletica, eccetera.

La cosa non dovrebbe stupire più di tanto: i videogiochi fin dalla loro creazione  sono stati concepiti come metodo per mettere in competizione due individui a colpi di riflessi e abilità manuale, senza avere inizialmente altro scopo o funzione (basti pensare a Spacewar o Pong, considerati i primi videogames mai creati).

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La prima competizione ufficiale di un videogioco viene fatta risalire al 1980, quanto l’Atari organizzò lo Space Invaders Championship, un torneo itinerante lungo tutti gli Stati Uniti d’America, seguita poi nel corso dei due decenni successivi da altre grandi case di sviluppo, come la Nintendo, o aziende e multinazionali come Blockbuster, ma è solo alla fine degli anni Novanta che si inizia a parlare in modo più specifico di eSports con i primi tornei di Quake e Warcraft.

Queste attività iniziano ad avere un certo successo prima di tutto in Corea del Sud grazie soprattutto alla diffusione sempre più capillare di internet, tanto che nel 2000 viene fondata dal Ministero della Cultura, degli Sport e del Turismo la KeSpa, ossia la Korean e-Sports Association, una federazione con il compito di regolamentare e promuovere gli sport elettronici. La popolarità degli eSports nella repubblica coreana è enorme, tanto che su internet è ancora piuttosto diffusa la falsa convinzione per la quale Starcraft – un popolare gioco di strategia e uno dei primi giochi ad essere identificato come eSport – sia considerato lo sport nazionale coreano. Vera è invece l’esistenza di ben due canali satellitari sui quali vengono trasmesse 24 ore al giorno  partite di vari sport elettronici; tale situazione però rappresenta un unicum se paragonata al resto del mondo.

Benché gli eSports stiamo guadagnando anno dopo anno sempre più successo anche in Occidente soprattutto grazie all’enorme fortuna di League of Legends e di conseguenza di tutti gli altri MOBA, l’opinione pubblica fa ancora molta fatica a riconoscere ai videogiochi competitivi lo statuto di sport. Un esempio su tutti è l’enorme diatriba che ha coinvolto l’ESPN – Entertainment and Sport Programming Network, uno dei network televisivi dedicati allo sport più seguiti negli Stati Uniti – e gli appassionati di eSport.

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Quando a luglio 2014 venne trasmesso su ESPN 3 l’intero torneo mondiale di Dota 2, i fan degli sport tradizionali si sono riversati su internet per dimostrare il loro disappunto come solo una folla inferocita di persone può fare: tramite una serie di insulti sia nei confronti del network televisivo sia contro gli appassionati di videogiochi. Anche a seguito di queste vicende, qualche mese dopo John Skipper, presidente dell’ESPN, ha dichiarato in un’intervista per il The New Yorker l’intenzione di continuare a trasmettere i più importanti tornei di videogiochi, ma che i giochi in questione debbano essere considerati “competizioni” anziché “veri sport”. Inutile dirlo, questa volta è stato il turno degli appassionati di gaming a riempire la rete di insulti e critiche nei confronti del presidente.
Come se non bastasse, ad inasprire ancora di più gli animi ci ha pensato Colin Cowherd, famoso commentatore dello stesso network, che lo scorso aprile, a seguito della trasmissione su ESPN 2 della finale del torneo mondiale di Heroes of the Storm ha affermato che “si sarebbe licenziato se costretto a commentare una partita di un videogioco online” perché per lui equivarrebbe a “puntarsi una pistola in bocca” (incidentalmente, poco tempo dopo è stato davvero licenziato a causa di alcuni commenti razzisti nei confronti dei giocatori di baseball provenienti dalla Repubblica Domenicana, ma questa è quasi un’altra storia).

Nonostante tutte le polemiche sollevate, l’ESPN non ha smesso di coprire almeno in parte i grandi eventi degli eSport –  di sicuro l’enorme giro di pubblicità e i corrispondenti guadagni non avranno giocato nessun ruolo in questa decisione – ma la discussione riguardo gli sport elettronici è lungi dall’essere conclusa.

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Eppure ci sono diverse somiglianze tra videogiochi e gli sport tradizionali, sia a livello di struttura interna che a quello di organizzazione: i così detti pro gamer, così come gli atleti a livello agonistico, si sottopongo a ore di allenamento tutti i giorni per migliorare le proprie prestazioni, che possono essere i riflessi piuttosto che la conoscenza delle strategie, a seconda del videogame in cui sono professionisti; come già detto, i team degli eSports sono formati da un determinato numero di giocatori e di staff tecnico, dall’allenatore al manager, e ogni squadra è sponsorizzata da una grande marchio – spesso collegato al mondo del gaming; per accedere ai campionati mondiali, poi, molti eSport prevedono una selezione simile a quella degli sport tradizionali come il basket, con una stagione lunga diversi mesi e dei play-off alla fine di essa.

Si potrebbe andare avanti a lungo nell’elencare le similitudini tra questi due mondi – come sarebbe altrettanto facile trovare molte differenze – ma forse è più importante riflettere su quanta strada abbiano fatto i videogiochi dalla loro creazione, da puro mezzo di intrattenimento fino a diventare un fenomeno mondiale attorno al quale gravitano milioni di dollari e milioni di fan – proprio come il nostro calcio.

D’altra parte, la discussione su ciò che può essere o non essere definito sport è da sempre aperta: sempre per tornare sullo stesso esempio, l’ESPN tramette anche tornei di poker, Scarabeo e… gare di spelling. Perché non dare anche ai videogames la stessa possibilità di intrattenere le masse?

Erin De Pasquale
Studente di Lettere. Amo i videogiochi, fumetti, serie tv e libri: se esiste qualcos’altro là fuori, non voglio saperlo.

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