Del: 22 Dicembre 2015 Di: Nicolò Tabarelli Commenti: 1

Attorno alla mezzanotte del 20 dicembre 2015 si è concluso lo spoglio dei voti delle elezioni generali spagnole. Queste elezioni sono già passate alla storia del Paese: segnano, infatti, la fine del sistema bipartitico che ha caratterizzato la Spagna dal 1982 – anno della dissoluzione dell’UCD, il partito che fu protagonista della transizione dalla dittatura  franchista alla monarchia costituzionale.

Da allora ad oggi al governo si erano alternati il PSOE, il partito socialista, e il PP, il partito popolare di centrodestra. A scompigliare lo stato delle cose sono stati due partiti di recente fondazione, Ciudadanos, formazione che potrebbe essere definita liberale – non fosse che rifiuta ogni denominazione politica – e “Podemos”, partito antieuropeista fondato nel 2014 da alcuni partecipanti al movimento degli indignados, anch’esso di difficile collocazione dal momento che rifiuta la dicotomia destra-sinistra considerandola superata, ma che ciononostante nel parlamento europeo aderisce alla Gauche Unitaire Européenne.Una descrizione, per quanto imprecisa, potrebbe essere abbozzata presentando Podemos come una commistione di ideologie del nostrano M5S e di quelle del partito greco Syriza.

Il PP di Mariano Rajoy ha ottenuto 123 seggi, il PSOE di Albert Rivera 90, Podemos è il terzo partito con il 20% dei voti, quindi 69 seggi, mentre a Ciudadanos ne spettano 40. I restanti 28 seggi si dividono quasi equamente tra partiti minori tra cui Unidad Popular e il partito indipendentista catalano. Questi risultati non solo non consegnano la maggioranza assoluta, pari a 176 seggi, a nessuno dei quattro principali partiti, ma nemmeno ad alcuna delle due più ragionevoli, tra le possibili, coalizioni. Se si alleassero il Partito Popolare e Ciudadanos, otterrebbero 163 seggi, se invece fossero il PSOE e Podemos a creare un’intesa di sinistra non andrebbero oltre i 159 seggi. Una possibile via d’uscita sarebbe un governo di larghe intese formato da i due storici rivali, il PP ed il PSOE, opzione che riscuote l’approvazione di Bruxelles, che si augura che l’incarico di governo vada alla coalizione più stabile e meno anti-europeista possibile.

elezioni spagna2In senso orario: Pablo Iglesias (Podemos), Mariano Rajoy (Pp), Pedro Sanchez (Psoe), Albert Riva (Ciudadanos)

Pablo Iglesias, segretario e fondatore di Podemos, ha dichiarato di temere un’alleanza PP-PSOE, ma nelle ultime ore Pedro Sanchez, segretario del PSOE, ne ha escluso l’eventualità.

L’unico punto su cui tutti i partiti sono d’accordo è che tocchi a Mariano Rajoy, presidente uscente, il primo tentativo di formare un governo, pur nella consapevolezza che la probabilità che ci riesca sono molto basse.

Si preannuncia uno stallo che in Spagna già definiscono “uno scenario all’italiana”. Un articolo di Inigo Dominguez, comparso su El Paìs, ha titolato “Bienvenidos a Italia”, comparando l’emergente sistema multipartitico all’instabilità politica che ha accompagnato tutta la storia della repubblica italiana. Il giornalista riporta una dichiarazione di Felipe Gonzalez, Primo Ministro spagnolo dal 1982 al 1996, che già a maggio preannunciava: “La Spagna rischia uno scenario italiano, però con il grave problema di trovarsi senza italiani a gestirlo”.

Le previsioni di Gonzalez oggi risaltano ancora di più per via del contrasto col commento di Matteo Renzi sulla situazione spagnola: “Tutti dichiarano di aver fatto un buon risultato, tutti dicono che bisogna fare accordi per creare un governo di coalizione, tutti dicono che servono riforme: è la Spagna di oggi, ma sembra l’Italia di ieri. Ma con la legge elettorale abbiamo cancellato ogni balletto post-elettorale”. Dunque mentre crolla lo storico bipartitismo spagnolo, nasce in Italia un bipartitismo forzato dalla legge elettorale nota come Italicum, quasi i due Paesi si fossero scambiati i rispettivi scacchieri politici.

Dopo questo ribaltamento nella rispettiva stabilità politica, ciò che accomuna le due nazioni rimane la crescita costante dei partiti antieuropeisti e antisistema, generati da politiche d’austerità troppo rigidamente applicate e mal sopportate, decise da governi percepiti come ammorbati da corruzione e privilegi.

Zelante burocrate zarista, più per dispetto che per convinzione.

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