Del: 25 Gennaio 2016 Di: Aura M. Parra Commenti: 0

Sabato 23 gennaio è stata organizzata una giornata mondiale contro le frontiere — manifestazioni hanno avuto luogo sul confine fra Grecia e Turchia, a Lampedusa e ovviamente a Calais.

Cittadina industriale del nord della Francia, Calais sembra uscita da un romanzo di Dickens, con le case in mattoni bruciati, le vie strette e le mille fabbriche che circondano la zona. Il porto, con due fari, uno antico in pietra e uno nuovo in cemento, ospita gabbiani che si appoggiano nelle migliaia di barche che sostano sulle coste. Città animata da 75.000 abitanti, è il promontorio francese più vicino al Regno Unito, la porta del Canale della Manica e, proprio per questo, la chimera di milioni di migranti.


La Giungla è il nome di uno dei campi profughi più grande d’Europa, abitato da un numero di persone tra le 5000 e le 7000. Lo scorso novembre, il Consiglio di Stato francese e il Tribunale Amministrativo di Lille avevano dichiarato che il campo sarebbe stato messo in sicurezza e riorganizzato per migliorare le condizione “deplorabili” nelle quali vivevano – e vivono ancora – i migranti.

Vi è la necessità di procedere entro 48 ore al censimento dei minori non accompagnati in difficoltà e avvicinarsi al dipartimento del Pas-de-Calais per la loro collocazione. Inoltre è essenziale iniziare a sviluppare, entro otto giorni dei punti d’acqua, servizi igienici, di raccolta di immondizia e dispositivi aggiuntivi per condurre una pulizia del sito, creando un accesso per i servizi di emergenza.”

Il giorno, dicono, inizia presto nella Giungla. Impossibile dormire con il freddo mattutino nelle case improvvisate dove abitano i migranti.

Già alle porte della Giungla però è chiaro che le misure ordinate dal Tribunale non sono state implementate.

Nella Giungla di Calais non esiste l’asfalto, il fango mangia le ruote delle bici e soltanto i più fortunati indossano stivali per la pioggia, quasi tutti sono così avvolti nei propri abiti da lasciare scoperti soltanto gli occhi.
Il freddo e il vento del mare entrano nelle ossa, il riscaldamento non esiste, ci sono soltanto bagni pubblici. Le case sono di legno e plastica, tutto il campo è circondato da enormi cancelli bianchi collegati da sottile filo spinato. Ogni sera i camion nella polizia pattugliano i confini del campo per sventare le fughe quotidiane. La sensazione che si percepisce è la stessa che si proverebbe trovandosi in zone devastate da una catastrofe naturale. Le condizioni nelle quali vivono le persone sono paragonabili, e addirittura peggiori, a quelle delle favelas Sudamericane o gli slums del Sud-est Asiatico. Esistono alcuni piccoli negozi, scuole e centri di prima assistenza, totalmente autogestiti, ma le denunce degli organismi umanitari evidenziano come all’interno della Giungla il mercato reale sia controllato principalmente dalle organizzazioni criminali.
Gli abitanti della giungla sono però principalmente bambini, donne e uomini di passaggio, o almeno, che cercano di passare.


La manifestazione è iniziata alle porte della Giungla alle 14:00, con 2500 manifestanti fra rifugiati e esterni, giunti da collettivi inglesi, italiani e da altre zone della Francia come Marsiglia e Parigi, da cui sono partiti 5 autobus. L’obiettivo finale era raggiungere la Piazza di Arme, nel centro della città, limite tra porto e zona commerciale.

Camminavano gli occhi profondi, color mandorle tostate, degli arabi che hanno visto la guerra nel deserto e la distruzione delle proprie città, come i Siriani, insieme agli africani scappati dalla perenne guerra contro l’Eritrea. Insieme, accompagnati da tamburi, cantavano per le strade, gridavano chiedendo libertà e giustizia. La manifestazione si è compiuta pacificamente, gli abitanti di Calais si affacciavano dalle finestre e alcuni bambini piangevano nascosti nelle gonne delle madri, diverse persone mostravano un segno di approvazione per i migranti e altri alzavano la bandiera francese.

Verso le 16:00 la manifestazione è giunta a Place des Armes e lì i manifestanti hanno iniziato a cantare e ballare fino alle 17:00. Intorno a quell’ora un ristretto gruppo di rifugiati si è spostato verso il porto scontrandosi con un posto di blocco della polizia. Lì, approfittando di una falla nella recinzione sono riusciti a raggiungere il porto dove hanno occupato un traghetto con l’obiettivo di raggiungere il Regno Unito. Alcuni manifestanti esterni, fra cui due studentesse italiane, si sono ritrovati coinvolti negli scontri e successivamente le forze dell’ordine lì presenti hanno condotto il gruppo alla stazione di Polizia, dove sono stati dichiarati in stato fermo per 24 ore.

Nei prossimi giorni i detenuti subiranno un processo in direttissima con capi d’accusa di “invasione di zona posta sotto sicurezza” e “disturbo dell’ordine pubblico”. Le tre ragazze italiane sono state trasferite nel Centro di Detenzione Amministrava di Lille e rischiano di essere espulse dal territorio francese.

Intanto a Calais e nella Giungla di Calais arriva la notte, lunga e gelida, e i migranti devono tornare prima che vengano chiusi i cancelli bianchi, dove non dormiranno però — scossi da un freddo insopportabile, ogni notte in quel limbo, attendendo il giorno in cui troveranno quell’Europa accogliente e civilizzata che era stata promessa loro dopo il confine greco. E mentre le donne provano a cucinare, i bambini si aggrappano alle proprie madri e gli uomini vagano per le strade di fango, inizia presto un altro lungo giorno in quella Giungla crudele e fredda, la dimora di 7000 esseri umani che per il governo francese e per le autorità internazionali sembrano aver perso la propria condizione di umani una volta sbarcati su suolo straniero.

Aura M. Parra
Immigrata. Pazza per i dati. Aura.

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