Del: 22 Febbraio 2016 Di: Redazione Commenti: 0

Francesco Porta

Nel mondo dello sport sono fin troppe le occasioni nelle quali si può urlare al miracolo: gli scettici possono dire che i risultati ‘miracolosi’ sono frutto del duro lavoro e della disciplina dell’atleta, magari con l’aiuto del caso, ma queste tre componenti non sarebbero mai bastate da sole alla squadra di ice-hockey americana per conquistare la medaglia d’oro contro l’imbattibile squadra russa alle Olimpiadi invernali del 1980.

I tredicesimi giochi olimpici invernali si sono tenuti dal 14 al 23 Febbraio 1980 a Lake Placid nello stato di New York qualche mese prima dei giochi Olimpici che si sarebbero tenuti a Mosca. In quell’anno la squadra di hockey statunitense era composta da soli giocatori non professionisti e fu valutata settima tra le dodici squadre che riuscirono a qualificarsi ai giochi. La squadra Russa d’altra parte era già data per vincente: in quella squadra militavano alcuni tra i più grandi giocatori entrati nella leggenda dello sport, come il capitano Boris Mikhailov, Vladislav Tretiak, considerato da molti il miglior portiere del mondo e il difensore Viacheslav Fetisov. La Russia inoltre aveva dominato le ultime competizioni, riuscendo a confermarsi campione di hockey su ghiaccio nelle precedenti cinque edizioni dei giochi olimpici. In quell’anno in un’amichevole tra Russia e USA giocatasi il 9 Febbraio (neppure un mese prima dall’inizio dei giochi) gli statunitensi furono sconfitti per dieci a tre.

Nonostante i pronostici sfavorevoli la squadra americana riuscì a superare il girone eliminatorio, battendo anche la fortissima squadra della Cecoslovacchia. Una vittoria che stupì non solo i tecnici dello sport, ma infiammò tutto il Paese: il team statunitense godeva dell’attenzione di tutto il mondo e il pubblico di casa era innamorato di quei giovani e talentuosi atleti. Passata la fase dei gironi eliminatori iniziò quella del girone delle medaglie: tutte le squadre che avessero superato la prima fase del torneo si sarebbero affrontate tra loro, quindi l’oro olimpico sarebbe andato alla squadra con il miglior record di vittorie.

A meno che il ghiaccio non si sciolga, o a meno che la squadra americana non compia un miracolo, come fece quella del 1960, ci si attende che i russi vincano la medaglia d’oro per la sesta volta negli ultimi sette tornei.

Così si leggeva sul New York Times alla vigilia della partita, e Stati Uniti contro Russia non si poteva considerare solo un match. Quella non poteva essere una sfida come un’altra: il clima della guerra fredda era ancora incandescente e nello stesso anno il presidente americano Jimmy Carter considerava di boicottare le Olimpiadi che si sarebbero tenute a Mosca lo stesso anno, a causa dell’occupazione sovietica dell’Afghanistan.

La partita decisiva per la vittoria venne seguita da tutto il mondo, il palazzetto era gremito di 8.500 spettatori che cantavano “God Bless America” e “U-S-A! U-S-A!” .

Il risultato al termine del primo periodo era già un avvenimento incredibile: due pari, dopo che i Russi si erano portati avanti nel confronto due volte e gli americani avevano sempre rimontato. Il secondo tempo è stato invece tutto a favore dei sovietici che segnarono il goal del tre a due. Tutto si decise nell’ultimo periodo, nel quale gli americani avevano venti minuti per recuperare lo svantaggio.  Dopo due segnature, e la difesa del vantaggio, il risultato finale fu USA 4 USSR 3.

Quell’impresa, in effetti, non consegnò la medaglia agli statunitensi, ma grazie a quel risultato l’oro tornò a essere conteso da tutte e quattro le squadre che aevano superato le eliminatorie: in gioco c’erano anche Svezia e Finlandia. Fu proprio la partita contro la Finlandia, vinta quattro a due a decretare campioni olimpici gli americani, che ricordano quel match come “the golden game”.

usaNonostante la sconfitta, l’hockey su ghiaccio sovietico venne ancora apprezzato per il gioco e il talento e i giocatori russi iniziarono a comparire nell’NHL (la National Hockey League) con più frequenza – anche se molti inizialmente dovettero abbandonare la loro cittadinanza. Da quell’anno, quasi tutti i componenti del team USA cominciarono la carriera da professionisti nella NHL.

Redazione on FacebookRedazione on InstagramRedazione on TwitterRedazione on Youtube

Commenta