Del: 24 Febbraio 2016 Di: Redazione Commenti: 0

Francesco Albizzati

Vent’anni dopo, come Dumas, l’Olimpia Milano torna a vincere le Final Eight di Coppa Italia di basket, disputate quest’anno al Forum di Assago. Da Stefanel ad Armani; da Gentile Padre (Nando) a Gentile Figlio (Alessandro): la storia si ripete e sa cogliere l’attimo, per la gioia dei cabalisti. L’altra finalista, la Scandone Avellino, interrompe sul più bello una striscia di 9 vittorie fra campionato e coppa. Striscia che l’ha portata a essere l’attuale quarta forza della Serie A dopo un inizio di stagione alquanto sincopato. 82-76 il risultato finale, con la squadra meneghina sempre a condurre le redini del gioco. Tutto ciò potrebbe sembrare scontato – visto che l’EA7 è la società più ricca della Serie A e oltretutto giocava in casa – ma non lo è. Alla vigilia della manifestazione, nessuno avrebbe saputo dire con esattezza quale fra le otto franchigie in gara l’avrebbe spuntata (debiti scongiuri a parte).

Le partecipanti

Dal 2000 la Coppa Italia viene assegnata tramite un mini torneo a eliminazione diretta, denominato “Final Eight”, in cui si scontrano le prime otto squadre del campionato al termine del girone d’andata. Nell’edizione 2016 le partecipanti (in ordine di testa di serie decrescente) sono state: Reggio Emilia, Milano, Cremona, Pistoia, Trento, Sassari, Venezia e Avellino. Gli accoppiamenti sono fatti seguendo lo stesso schema dei playoff (o, per intenderci, come in un torneo di tennis): la prima con l’ottava, la seconda con la settima e via dicendo. Molte fra le otto regine però sono in un diverso stato di salute da quello che il tabellone professa. Reggio Emilia – sebbene guidi il campionato, alla pari con Milano e Cremona – arriva al Forum con la panchina decimata dagli infortuni; pesano soprattutto le assenze di Pietro Aradori e di Stefano Gentile, fratello del più noto Alessandro. Pistoia, di gran lunga la miglior rivelazione di questo campionato fino a un paio di mesi fa, ora vive di montagne russe fra vittorie conquistate a fatica e sconfitte pesanti. Fra le grandi potenze, Sassari e Venezia sono quelle maggiormente in crisi. I sardi, dopo la cacciata di coach Sacchetti in seguito al deludente girone di Eurolega, faticano a trovare una nuova identità. L’ex squadra di Charlie Recalcati (già c.t. della nazionale, argento ad Atene 2004), orfana dell’assenza dell’ala Peric, arriva da tre sconfitte in campionato, di cui due contro Sassari e Cremona.

Il percorso delle finaliste.

Avellino, sebbene i bookmakers diano la sua vittoria finale a 25, conferma il suo stato di ottima salute battendo prima Reggio (94-87) e poi Trento (71-69) in una semifinale giocata in perfetto equilibrio. Prova ne è che nessuna delle due squadre sia mai riuscita a imporre un vantaggio a due cifre all’avversaria. La Scandone la spunta grazie alla filosofia di gioco che coach Sacripanti ha saputo trasmettere ai suoi. Gran circolazione di palla, difesa a zona, con il play Marques Green e il neo acquisto James Nunnally a far da padroni. L’Olimpia ha vita facile sia con Venezia (88-59), sia con Cremona (90-58). Nonostante l’assenza del capitano Gentile e il forfait in semifinale di Bruno Cerella (un Gattuso nato in Argentina e prestato al basket), i ragazzi di Jasmin Repesa, guidati da Krunoslav Simon e Rakim Sanders conquistano la finale. Manca solo l’atto finale, ma l’impresa è tutt’altro che compiuta. Infatti, i campani non solo hanno sconfitto Milano in campionato (81-80), ma l’hanno fatto davanti al pubblico del Forum, interrompendo una striscia casalinga lunga 41 vittorie. Senza contare poi che le “Scarpette rosse” patrocinate dal noto stilista hanno una certa vocazione per l’harakiri nei momenti clou. Chiedere a Sassari per conferma.

armani2

La finale.

La palla a due è fissata per le ore 18. I quintetti di partenza vedono Magro, Sanders, Simon, Jenkins e Cinciarini per l’EA7; Cervi, Nunnally, Leunen, Acker e Green per gli ospiti. Nel corso dei quaranta minuti di gioco la partita si mantiene su stabili rapporti di forza: Olimpia avanti, Scandone a rincorrere. Il punto di non ritorno è la fine del primo quarto: con il punteggio di 21-11, Milano segna un confine che non verrà più sorpassato. Green, Acker, Nunnally e compagni cercano di ricucire lo strappo, ma non riescono a piazzare un parziale pari a quello degli avversari. Grande assente è il centro Riccardo Cervi, tanto brillante nella gara contro Trento quanto desaparecido nella finalissima. A nulla valgono i 25 punti dello stesso Nunnally e 13 di Buva: i pesi massimi casalinghi (Randers su tutti) non solo segnano, ma catturano rimbalzi. È proprio a fronte di questo dato che si palesa la superiorità dei meneghini: 47, di cui 19 in attacco, contro 37, di cui solamente 9 in fase offensiva.

MVP del match e della manifestazione è, a furor di popolo, Rakim Sanders, già miglior giocatore con Sassari delle passate finali di campionato. Quello stesso Sanders che nel giugno scorso, a gara 7 delle semifinali playoff, induceva a pianto e stridore di denti i tifosi lombardi, condannando l’Armani a una prematura uscita di scena. Reca proprio la sua firma una tripla a metà terzo quarto che porta i padroni di casa sul +8, dopo un mini parziale di 6-0 di Avellino.

Menzione d’onore spetta a Cerella, in campo dopo soli due giorni – sì, proprio due – da un’operazione al menisco: in 6 minuti di gioco porta a referto 5 rimbalzi e il solito lavoro difensivo da marchio D.O.P. Un plauso va inoltre a Cinciarini, fin troppo bistrattato in questa prima stagione nella città più blasonata del basket nostrano. 10 punti e una tripla sul -3 della Scandone che tronca sul nascere qualsiasi velleità di recupero. La partita si conclude a circa quattro minuti dalla fine: il solito Sanders tira giù la “cler”, con un +17 a fare da requiem.

Alle 19:30 la festa può cominciare. Per l’occasione Armani in persona si lascia scappare un sorrisetto: Dio solo sa quanti rospi questa squadra gli ha fatto ingoiare dal 2008 ad oggi. Ma già da questa stagione, il bilancio dei successi – al momento deficitario – potrebbe iniziare a ripianarsi: Eurocup e Campionato sono ragionevolmente alla portata del roster. L’abito non fa il monaco, è vero; ma se il capo è di re Giorgio chissà che non ci faccia un pensierino.

Redazione on FacebookRedazione on InstagramRedazione on TwitterRedazione on Youtube

Commenta