Del: 26 Marzo 2016 Di: Redazione Commenti: 0

Carlotta Ludovica Passerini
in copertina, Fabrizio Di Nucci, foto Ervin Shulku

Idomeni è un piccolo paese di provincia, in Grecia, a pochi metri dal confine con la Macedonia. Idomeni fino a pochi mesi fa era un paese, un luogo di passaggio per i migranti che attraversavano i Balcani, direzione Nord Europa. Ora a Idomeni vivono più di quindicimila persone, quindicimila profughi, abbandonati a se stessi.

Fabrizio Di Nucci, fotoreporter italiano, si trovava al confine greco-macedone lunedì 14 marzo, quando le autorità macedoni lo hanno arrestato insieme a una cinquantina di altri giornalisti, con l’accusa di essere entrati illegalmente nel Paese.

Cosa facevi a Idomeni? Ho deciso di fare il fotografo perché voglio raccontare ciò che gli altri fanno finta di non vedere. Ero a Idomeni per questo motivo. Lì ci sono migliaia di profughi abbandonati a se stessi. Sono quindicimila, di cui molti bambini. Vivono in tende, fra il fango, il freddo e la pioggia. E per questo accendono falò per riscaldarsi, con qualsiasi cosa trovino, che sia legno o plastica o vecchi vestiti.

Cosa è successo lunedì scorso? Lunedì mattina mi trovavo al campo di Idomeni insieme ad altri colleghi. Nei giorni precedenti c’erano state numerose proteste in cui i profughi chiedevano l’apertura dei confini. Siamo stati avvisati che quel giorno la manifestazione sarebbe stata diversa, e i profughi si sarebbero riuniti per rompere il cordone di poliziotti greci ai bordi del campo. In quel modo avrebbero potuto raggiungere la Macedonia e proseguire il loro viaggio.
Ci dicono di aver trovato una strada sicura per arrivare alla fine del muro di filo spinato che segna il confine. Nei giorni prima, infatti, nel campo giravano dei volantini scritti in arabo che indicavano un passaggio sicuro attraverso un fiume in secca, il Konska. E quella era la strada che volevano seguire.
I profughi, una volta riusciti a rompere il cordone di polizia greca, con GPS alla mano hanno seguito le indicazioni per il fiume Konska. Erano in più di mille, con sulle spalle le loro case, racchiuse in piccoli zaini. E noi li seguivamo.

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Idomeni, foto Fabrizio Di Nucci

 
Dopo una decina di chilometri in salita, su strade piene di fango e sentieri siamo arrivati al Konska, il fiume che doveva essere attraversato. Abbiamo attraversato il fiume con i profughi, e abbiamo proseguito, fino alla fine del muro di filo spinato. Lì c’era l’esercito macedone. I militari ci guardavano, io ero con dei colleghi e alcuni volontari. Non ci hanno detto nulla, ma dopo un centinaio di metri ci hanno fermati. Ci hanno sequestrato macchine fotografiche e cellulari. Non potevamo proseguire, dovevamo stare fermi. Non potevamo usare i telefoni, né fotografare, né scrivere. Ci hanno tenuti un’ora seduti a terra al freddo, siccome avevamo i vestiti bagnati per aver attraversato il fiume. Poi ci hanno spostati nella stazione di polizia di Gevglija dove abbiamo aspettato fino alle 23, per essere liberati. Non ci hanno chiesto niente, né i tesserini delle agenzie, né per che giornali lavorassimo.

Con che capi di imputazione vi hanno fermati? Siamo stati accusati di aver attraversato illegalmente il confine, e per questo abbiamo dovuto pagare una multa di 260 euro. Ci hanno dato un foglio scritto in macedone, e a voce ci hanno spiegato in inglese che era un foglio di ammissione per aver superato il confine in modo illegale. Poi ci hanno dato un foglio di via: avevamo 24 ore per abbandonare il Paese, e per i prossimi sei mesi non ci possiamo rientrare.

Come vi hanno trattati? Quello che ci è successo è dovuto a un abuso di potere. Non potevamo muoverci, dovevamo stare fermi. Non ci dicevano niente. Non ci hanno chiesto niente. Siamo stati fermati verso le 14.30 del pomeriggio, e rilasciati verso le 23.

Le agenzie con cui collaborate sono intervenute? L’agenzia NUR con cui collaboro ha scritto un articolo per raccontare l’accaduto, perché dopo che sono stato liberato li ho contattati immediatamente. Prima non hanno potuto fare niente, perché la polizia non ci aveva chiesto se fossimo giornalisti o volontari, e tanto meno ci ha permesso di contattare qualcuno.

Cosa è successo ai profughi che erano con voi? Dopo aver oltrepassato il fiume e il confine immaginario tra Grecia e Turchia, dico immaginario perché non c’era nulla che lo indicasse, siamo stati bloccati subito. I profughi invece sono stati bloccati dopo altri duecento metri. E nel giro di un’ora sono stati riportati in Grecia, a Idomeni.  

Come si erano comportati i Macedoni giorni precedenti? Non abbiamo avuto nessun contatto con loro nei giorni prima. I militari macedoni ci guardavano e basta, senza alcun tipo di intervento.  

Secondo te perché i Macedoni si sono comportati così? Secondo me la vicenda è stata architettata in modo perfetto per allontanare i giornalisti da quel territorio, per spaventarli e per fare in modo che meno di loro vadano al confine.
I giorni precedenti, a Idomeni, quando qualcuno cercava di superare il blocco di militari greci in assetto antisommossa ai bordi del campo veniva bloccato. I militari usavano addirittura lacrimogeni per fermarli. Quel giorno però l’esercito non ha fermato nessuno. È stato semplice per i profughi rompere il blocco, e così sono riusciti a raggiungere il fiume Konska.
Poi quando superato il fiume i Macedoni ci hanno fermati, ho chiesto loro se potevo andare avanti, mi hanno risposto di sì, ma dopo qualche passo in più mi hanno fermato, senza la possibilità di tornare indietro.

Ti sei immedesimato nei profughi essendo che a loro capita ogni giorno di essere fermati e ricevere fogli di via?  Secondo me quello che mi è successo non serve per immedesimarsi in loro. Dopo tre ore nel campo di Idomeni, sei già vicino alla loro condizione. Tra di noi c’era un legame. Quando siamo stati fermati dopo il confine e i macedoni ci stavano scortando alla stazione di polizia, i profughi ci guardavano e vedevamo che ci chiedevano aiuto con gli occhi, ma non potevamo fare niente. Una ragazza ha provato ad avvicinarsi, ma è subito stata allontanata dai militari.

Tornerai in Macedonia?  Tornerei a Idomeni anche domani.


“Ragazzi vi ringrazio tutti per i mille messaggi ricevuti e per i complimenti, ma non ho fatto nulla di speciale, non sono un eroe!! Ora riportiamo l’attenzione su ciò che è veramente importante: 15000 persone bloccate da settimane in tenda, nel fango e al freddo. Spero che questa storia non distolga l’attenzione da loro.

#STAYHUMAN ”  — le parole di Fabrizio su un post su Facebook, il giorno dopo l’arresto.

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