Del: 24 Marzo 2016 Di: Redazione Commenti: 0

Elena Cirla

A cento anni dalla morte di Umberto Boccioni (1882-1916), Palazzo Reale allestisce – dal 23/03 al 10/07 – una mostra monografica interamente dedicata al maggiore esponente del futurismo italiano e il suo indiscusso genio.
Con una serie di opere provenienti dai più autorevoli musei del mondo, fra cui la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, la Peggy Guggenheim Collection di Venezia, il Musée Picasso e il Musée Rodin di Parigi, l’Osaka City Museum of Modern Art, il Kunsthistorisches Museum di Vienna e molti altri, la mostra si snoda in una serie di sale comunicanti che, seguendo un andamento quasi labirintico, sembrano suggerire le diverse fasi della vita dell’artista e della sua parabola artistica.
Slack for iOS Upload-13Il programma della mostra si propone infatti di rappresentare, mediante le tre fasi più importanti del suo iter, il percorso formativo-artistico di Boccioni. Una prima, risalente alla maestosa opera che è l’Atlante della Memoria (o Mnemosyne), una sorta di diario visivo in cui Boccioni raccoglie le tavole del primo Novecento, per la precisione 216, e che coincide con la sua esperienza divisionista; una seconda, coincidente con i Tre Diari (1907-1908), fase dell’apprendistato e delle prime esperienze internazionali; e infine una terza, quella più propriamente futurista, che si snoda fra il 1906 e il 1916.
Fondamentale, in ognuno dei periodi citati, rimane il viaggio. È nei musei internazionali, in particolare in Russia e a Parigi, che Boccioni assorbe la maggior parte delle nozioni e degli spunti, che si riverseranno successivamente nelle sue numerose esperienze. Ed è grazie al finanziamento dei genitori che il giovane Umberto riesce a trasferirsi a Milano, città in cui conosce Balla, artista già affermato che diventerà il suo maestro e da cui imparerà l’arte del ritratto, specialità del primo Boccioni, affascinato anche dalle molte opere apprezzate nelle collezioni dei maggiori ritrattisti europeri (Van Dyck, Dürer, Rembrandt).
Da questi studi e dalle amicizie di tutti giorni nascono tre ritratti – a Giorgio Gopchevic, a Tramello e a Brocchi – in cui iniziano ad emergere le grandi caratteristiche della pittura boccioniana: le pennellate decise e materiche, con un notevole accumulo di prodotto, e l’accostamento di colori molto singolare, volto e all’esaltazione dei colori stessi e all’intento di stupire lo spettatore.
Ma a Milano Boccioni non collabora solo con Balla, bensì si avvicina ad altri due grandi pittori, molti prolifici in quegli anni: Segantini e Previati.
Da entrambi, egli sa carpire gli elementi chiave: dal primo riprende la rappresentazione in chiave simbolica della natura, mentre dal secondo la modernità della visione e l’originalità del disegno – per altro fondamentale nell’opera di Boccioni e soprattutto nell’ultima fase della sua produzione, in cui si concentra sugli studi plastici del movimento.

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Risalgono a questo periodo – ma non oltrepassano il 1908 – le opere commissionate nel capoluogo lombardo e che si accostano maggiormente allo stile divisionista. Tangenzialmente, il genio di Boccioni si avvicina anche ad un’altra corrente artistica in voga in quegli anni, il Simbolismo, da cui rimane molto affascinato (in particolare da quello di area tedesca, che si richiama a Von Stuck) e da cui nascono opere di singolare bellezza, come “Il sogno – Paolo e Francesca” e la litografia “Beata solitudo sola beatitudo”.
L’estro artistico di Boccioni non si limita alla sola pittura, ma spazia attraverso numerose altre forme rappresentative quali la scultura e il disegno: molte sono le incisioni nordiche, che mostrano un tipo di donna molto caro all’artista, la donna voluttuosa e tentatrice di poeti maledetti. Non si deve dimenticare, infatti, che l’esperienza artistica di Boccioni non si esaurisce solo in campo figurativo, ma coinvolge anche la sfera delle Lettere, in quanto, nella sua prima giovinezza, egli aveva scritto un romanzo, indice di massima poliedricità.

Al 1909 risale il momento della rottura: è la svolta futurista, il momento in cui ogni schema precedente viene rotto in funzione della novità e dell’avanguardia.

Cambia radicalmente anche il modo di concepire l’opera d’arte e i suoi fruitori: “ I pittori ci hanno sempre mostrato cose e persone davanti a noi. Noi [futuristi] porremo lo spettatore al centro del quadro”.
La novità è sconvolgente: la fusione dinamica, ormai, non avviene solo attraverso soggetto scelto, ma anche mediante lo spettatore stesso, che non guarda semplicemente, ma rimane coinvolto nell’inarrestabile energia dell’opera.
L’introduzione di nuovi contenuti è una risposta alla modernità imperante e privilegiate saranno macchine, velocità ed energia, nonostante, quasi religiosamente, Boccioni continui a mantenere la sua musa, uno dei suoi primi soggetti e il suo ultimo: sua madre.
È lei, infatti, che troneggia nel famosissimo “Materia”, dai tratti cubisti — e in effetti Picasso e Cézanne saranno i maggiori ispiratori delle ultime opere, per quando Boccioni si sforzi di discostarsi idealmente dal cubismo e dalle teorie di Apollinaire — e nel suo ultimo dipinto, “Sintesi plastica di figura seduta”, in cui dimostra la sua continua ricerca di approfondimento del linguaggio futurista fino alla morte, avvenuta a Chievo, durante la guerra, a causa di una fatale caduta da cavallo.
Rimangono le opere e la creatività di un genio che mai si è stancato di studiare le possibili unioni fra arte e fisica e che ha fondato un nuovo concetto di creare e di concepire l’opera d’arte.

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