
Duecento euro al mese possono fare la differenza, soprattutto se sei un dottorando della Statale, guadagni 1000 euro e vuoi vivere a Milano. Il Consiglio d’Amministrazione di via Festa del Perdono e il Senato accademico hanno accolto la richiesta di un aumento del 20% sulle borse di studio, portando così lo “stipendio” mensile a 1.216 euro netti, uguale a quello dei colleghi dell’Università Bicocca.
Convincere il rettore Gianluca Vago non è stato semplice. A gennaio Giulio Formenti, rappresentante dei dottorandi nel Senato accademico, ha presentato ai vertici della Statale un dossier in cui sono contenuti i dati con i costi della vita e della ricerca a Milano. Lo studio si basa su un sondaggio realizzato dai dottorandi del Nasp — Network for the advancement of social and political studies — inviato ai 1050 ricercatori al quale, in meno di tre giorni, più del 40% ha risposto alle domande.
I risultati possono far cadere in uno stato di sconforto: il 45% dei ricercatori vive ancora con la famiglia (molti tra questi aiutano i parenti a pagare l’affitto o il mutuo), il 33% convive con il partner, il 13% vive da solo e l’8% condivide l’appartamento. Anche se Milano non è Beverly Hills, il costo medio dell’affitto è di circa 500 euro. Visto che anche i ricercatori devono mangiare e spostarsi con i mezzi, tra le voci prese in esame ci sono le spese per il cibo, 200 euro al mese, e quelle per i trasporti, 100 euro (cifra molto più alta per i fuori sede). Il dato più basso è quello delle cure mediche, in media 34 euro al mese. Facendo un breve calcolo, la somma complessiva è 834 euro. E visto che la matematica non è un’opinione, i dottorandi hanno a disposizione solo 166 euro per altre spese. E non parliamo di shopping o serate per locali, ma di cifre anticipate (e non sempre rimborsate) dagli stessi dottorandi, per l’acquisto di materiali necessari per condurre la propria ricerca, l’accesso a banche dati e i costi per le trasferte.
I 200 euro non sono l’unico cambiamento approvato dal rettore Vago.
Dal prossimo bando accademico, i posti di dottorato verranno assegnati in base alla valutazione dei risultati dell’anno precedente e non più seguendo il criterio storico.
All’interno del sistema universitario italiano, dove le borse di dottorato sono considerate un vero e proprio feudo per i professori, questa rappresenta una grossa novità.
“Inserire la valutazione significa “sacrificare” i corsi che non funzionano. Verranno invece premiati i tre dottorati migliori con una borsa in più”, sostiene Formenti, “Il rettore Vago si è mostrato lungimirante. È un vera riforma del sistema con la valorizzazione dei dottorandi”. Dopo aver ottenuto questi due grandi risultati, il rappresentante dei dottorandi, si è già posto nuovi traguardi. Alla vigilia delle elezioni comunali, si stanno organizzando due incontri con i candidati sindaco Stefano Parisi, il 22 aprile, e Giuseppe Sala, il 26 aprile, per capire cosa può fare il Comune per gli studenti e i dottorandi.
Altri obiettivi sono: la creazione di una consulta dei rappresentanti dei ricercatori e l’eliminazione di posti di dottorato per i quali non è prevista la borsa di studio.
Se la situazione dei ricercatori sembra migliorare, quella degli studenti delle Scuole di Specializzazione è tragica. Lo statuto dell’Unimi non prevede, infatti, un organo di rappresentanza per gli studenti delle scuole di specializzazione, che vengono lasciati soli in un contesto di anarchia. Per esempio, in ambito sanitario, le borse di studio erogate a quattro studenti su dodici, sono di circa 900 euro al mese.
Dopo anni di staticità all’interno del sistema universitario milanese, si inizia a respirare aria di cambiamento: per gli iscritti alle scuole di specializzazione, questo potrebbe essere il momento giusto per avanzare richieste e rivendicare i propri diritti.