Si dice che Sala e Parisi siano uguali. Non è vero: uno è cattivo, l’altro è pessimo.
Tutti e due non piacciono alla sinistra, tutti e due non sono politici — o meglio, sostengono di non esserlo. Tutti e due sono stati scelti dai rispettivi schieramenti a denti stretti. Poi, se uno sta da una parte e uno dall’altra, è frutto del caso: tra di loro non ci sono vere differenze ideologiche e pratiche, potrebbero tranquillamente scambiarsi le cravatte e non cambierebbe niente. La pensano così in tanti. E questo è grave, perché se in un sistema elettorale a doppio turno i due candidati danno l’impressione di essere identici significa che il sistema elettorale stesso è inadeguato o marcito. Questo però non implica che un’opinione — per quanto diffusa — sia vera.
A ben guardare, infatti, Parisi e Sala sarebbero due sindaci piuttosto diversi. Facciamo qualche confronto partendo dall’edilizia popolare e non, un argomento centrale nel dibattito politico milanese. Chi abita le case popolari difficilmente amerà uno dei due candidati. Entrambi vengono da condizioni sociali, politiche e — viene da dire — di vita così diverse che il massimo da aspettarsi è una distaccata empatia. Sala ha inserito la riqualificazione delle case popolari tra i primi punti del suo programma, prendendosi l’impegno di rendere agibili e abitate entro due anni i 3300 alloggi sfitti di proprietà del comune. In più occasioni, inoltre, ha dichiarato di voler vendere una parte di aziende come SEA, di proprietà del Comune, per ricavare le cifre necessarie alla ristrutturazione delle case stesse.
Ecco invece un post di Parisi sull’argomento.
Sala sugli sgomberi ha manifestato opinioni ambigue: durante la scorsa puntata di Matrix, ha dichiarato che “vanno fatti sgomberi selettivi, sarebbe un bluff dire che si può fare domani mattina”. Ma nella stessa puntata della stessa trasmissione, Parisi ha sostenuto che “bisogna riportare la legalità, sgomberare, la sinistra in questi anni ha coperto politicamente i centri sociali che impedivano alla polizia di intervenire”.
In sostanza: la politica di Sala sulle case popolari è lontana dall’essere ottimale, ma per lui la prima cosa da fare non è sgomberare. Per Parisi sì. Chissà, magari anche Sala rilascerebbe dichiarazioni simili se la giostra politica l’avesse portato a candidarsi col centrodestra anziché col centrosinistra. Però oggi non lo fa, e questo è un dato di fatto.
Continuiamo con il confronto. Riguardo alle case popolari più fatiscenti, Beppe Sala ha dichiarato che azzererà gli oneri di urbanizzazione per le imprese edilizie che sono disposte a demolire e ricostruire la stessa cubatura. Parisi, interrogato non sulle case popolari ma sui prezzi degli affitti troppo cari per le tasche degli studenti, ha dichiarato che offrirà un consorzio a chi può essere definito un grande affittuario — proprietario magari di intere palazzine sfitte: affittare i locali vuoti a prezzi calmierati e concedergli agevolazioni per costruire altrove.
Sia Sala che Parisi propongono una convenzione con i costruttori: questa scelta la dice lunga sulla loro estrazione e sulle loro idee: intendono la politica soprattutto come un regolatore e incanalatore di iniziative private, un disegno mentale spiccatamente liberista. Sala spera di eliminare il problema degli alloggi più degradati strizzando l’occhio a quella parte di borghesia imprenditoriale che necessita di essere rassicurata: sì, ho cominciato a bazzicare i circoli ARCI per racimolare voti, ma non mi sono dimenticato di voi — potete ancora affidarmi il vostro. Parisi invece fa un passo oltre: non si limita a proporre vantaggi per costruire là dove si deve demolire, lasciando dunque invariato il totale di cemento, ma propone di aumentare il consumo di suolo. A Milano, la seconda grande città italiana per suolo consumato dopo Napoli. Se gli si chiedono chiarimenti, come noi abbiamo fatto in occasione di un incontro alla Facoltà di Scienze Politiche, Parisi sostiene che nei prossimi anni l’economia crescerà e dunque serviranno case. Non è il triste e canonico liberismo brianzolo di Sala, è una visione del mondo, ma soprattutto della città, arbitraria, mercantilista e distorta. La proposta di Sala di vendere un pezzo di aereoporto per restaurare le case popolari al confronto sembra quasi innocua.
Parisi interpreta i problemi di Milano con schemi mentali molto simili a quelli di un certo centro-destra pre-Monti di dieci anni fa, che aveva appena scoperto internet e stimava Berlusconi come eroe della sedicente rivoluzione liberale: fiducia nel mattone e un’enfasi esasperata sull’“interconnettività”, sull’attrarre “i giovani”, condite da un uso imbarazzante di anglicismi. Se qualcuno gli domandasse se vuole “una Milano veloce”, qualsiasi cosa voglia dire, risponderebbe con gli occhi luccicanti di sì, senza pensarci nemmeno. Parisi è l’ultimo uomo che ancora oggi, a maggio 2016, pronuncia ancora Expò con l’accento sulla O.
Quando non ci sono in ballo soldi, non a caso, la divisione tra i due si fa più netta. Sulla questione unioni civili Sala si mostra addirittura caloroso: quando il Corriere qualche giorno fa gli ha chiesto se sarà disposto a celebrarle come previsto dalla nuova legge, ha risposto “Certamente sì. Anzi: se verrò eletto, ci sono già alcune coppie che si sono prenotate con me”. Una risposta un po’ scontata ma, almeno, netta. Parisi, invece, sull’argomento è sempre stato in difficoltà. Appena candidatosi, a gennaio, aveva dichiarato che avrebbe cancellato il registro delle unioni civili inaugurato dalla Giunta Pisapia: “Penso che l’amministrazione non debba fare azioni dimostrative: il registro delle coppie di fatto non ha nessun valore legale. Il Comune deve applicare le norme. Quando ci saranno quelle sulle coppie di fatto saranno applicate”. E infatti, a onor del vero, si è poi detto disposto a comportarsi come richiesto dalla nuova normativa, dichiarando che celebrerà le unioni civili secondo la legge. La disponibilità di Parisi a piegarsi alla legge ha irritato il suo patrono Matteo Salvini, che sta guidando una crociata contro l’atto legislativo incitando i sindaci leghisti a boicottarlo.
E questo ci porta a uno dei punti focali della questione, forse quello principale: alle spalle dei due candidati ci sono le rispettive forze politiche; è bene non dimenticarlo. Se dietro Beppe Sala c’è il PD, un partito ormai non spiccatamente di sinistra ma comunque un po’ più attento alle richieste di quell’area politica, dietro Parisi ci sono Salvini, Berlusconi, Lupi. Ovvero: la Lega, Berlusconi, Comunione e Liberazione. Parisi, che ha un’estrazione politica laica, può anche essere personalmente favorevole alle unioni civili e difendere la sacralità della legge scritta ma, come ha osservato giustamente Salvini, “se Parisi sarà sindaco farà le sue scelte, ma se molti milanesi voteranno la Lega, Parisi dovrà tener conto dei suggerimenti leghisti”. Ad esempio sulla questione sgomberi: la tesi di Parisi sulla sinistra-che-copre-i-centri-sociali è trita e pretestuosa. Chissà, forse l’ha cavalcata per smarcarsi da chi lo definiva la copia di Sala. Chissà, forse la trova eccessiva e stucchevole anche lui. Ma in questo caso non c’è nessuna legge da rispettare, e se anche Parisi non fosse un reazionario salviniano, è disposto ad accontentare quella parte di destra che vorrebbe si comportasse come tale. E probabilmente lo farà in molti altri campi, se non altro per accontentare il proprio elettorato e scendere a compromessi con chi lo sostiene. Un gioco obbligato per lui, ma molto pericoloso per la città.